Centro Culturale Italo Romeno
Milano

La repressione comunista in Romania.

Nov 29, 2009




La repressione comunista in Romania/Rapporto sulla dittatura comunista (4)

a cura de Davide Zaffi

Sulla base dei documenti disponibili viene avanzata l’ipotesi che le persone direttamente coinvolte nelle repressioni comuniste siano state poco più di due milioni. Una vera e propria decimazione. Le condizioni dei penitenziari erano già pessime in epoca pre-bellica ma le circolari del governo comunista istruivano i direttori dei penitenziari su come inasprirle. Fino al 1948 ad Aiud si aveva ancora accesso ai giornali, si ricevevano visite di famigliari, la sorveglianza non era aggressiva. Dal 1948 le cose cambiarono drasticamente e in peggio.

Il carcere di Sighet rimane famoso per essere stato utilizzato negli anni 50 esclusivamente per i detenuti politici, la maggior parte dei quali arrivava qui per decisioni del Ministro degli interni, senza passare da organi giudiziari, con l’etichetta “ostile al regime” oppure “nemico del popolo”. Come si fosse manifestata concretamente l’ostilità o l’inimicizia non era di regola specificato. Sighet rimase operativo fino al 1977.

Le carceri non sono mai un luogo ameno ma dalle testimonianze e dalla rara documentazione emerge un quadro particolarmente crudo: fame freddo e isolamento erano armi usate sistematicamente contro i detenuti politici.

Il Rapporto ricostruisce, nei limite del possibile, le cifre delle detenzioni per motivi politici per ogni centro del sistema concentrazionario comunista rumeno, e il regime di vita lì imposto. A quest’ultimo fine il Rapporto si è avvalso, fra l’altro, della memorialistica (citiamo qui il romanzo Gherla di Paul Goma), di testimonianze di storia orale e anche soprattutto di inopinati documenti comunisti.

Negli anni 60, per avvalorare l’impressione che fosse impegnato nel ristabilimento della ‘legalità socialista’, ma in realtà con l’obiettivo di denigrare l’epoca di Dej, all’ombra del quale era cresciuto, Ceauşescu ordinò una serie di indagini condotte da Commissioni ad hoc sulle illegalità di stato degli anni 40 e 50. E una parte cospicua delle relazioni finali vertono proprio delle condizioni, anch’esse illegali, di detenzione. Secondo la legge infatti non avrebbero dovuto aver luogo pestaggi da parte dei sorveglianti o privazioni di cibo tali da condurre alla fame. Ma era proprio quello che accadeva, assieme a una lunga serie di altre irregolarità commesse col beneplacito, se non su commissione del potere politico. Una terza opzione repressiva accanto al carcere e alla deportazione erano negli anni 50 i campi di lavoro forzato nei quali, secondo le stime di una Commissione di indagine comunista degli anni 60, vennero utilizzate circa 30.000 persone, cui il Rapporto ritiene se ne debbano aggiungere almeno altre 20.000, poiché a tanto ammonta il numero dei dossier che da altri documenti risultano distrutti fin dal 1954.

Se le incarcerazioni e le deportazioni erano spesso abusive, del tutto illegali risultavano gli invii nei campi di lavoro che si effettuavano su semplice indicazione, talora neppure scritta!, della Securitate. In queste condizioni, non avendo una determinata pena temporale da espiare, il ritorno a casa della persona sanzionata era quanto mai aleatorio.

Lo stesso vale per gli assegnamenti a domicilio coatto: sui motivi di questa misura che colpì diverse migliaia di persone fra cui molti esponenti dell’intellighentia rumena, sui suoi termini di durata gli interessati non ricevevano informazione alcuna. Il diritto anche se solo formale alla difesa, pure previsto dalla Costituzione, rimaneva una chimera.

Benché negli anni 60 gli stessi comunisti abbiano riconosciuto il carattere abusivo delle misure sopra descritte neppure una fra le vittime è stata riabilitata e nessuno fra i responsabili perseguito penalmente.

L’anticomunismo in Romania – La resistenza armata

Il Rapporto fissa una periodizzazione del fenomeno dal 1944 al 47 e quindi dal 1947 al 1960. Nella prima fase si può parlare di conseguenze del conflitto mondiale: taluni gruppi si costituirono e presero le armi in funzione antirussa ovvero antisovietica. Il Rapporto menziona i gruppi maggiori che ebbero comunque un seguito assai limitato.

Tentativi di trovare una sponda politica vennero appena abbozzati senza che si arrivasse ad esiti concreti. Anche le azioni armate concretamente eseguite furono molto poche, facendosi piuttosto propaganda con manifesti illegali. All’inizio del 1947 questi gruppi erano stati repressi, i responsabili tutti condannati. Quando a poca distanza di tempo il fenomeno della resistenza armata riappare, esso continua ad essere caratterizzato dall’isolamento dei partigiani dalla popolazione civile. Se il Rapporto depista gruppi armati anticomunisti in quasi tutte le regioni della Romania post-bellica, esso deve però giungere alla conclusione che “le manifestazione di opposizione al comunismo sono state numerose ma isolate”. Senza un centro che le coordinasse, senza la minima intesa fra i vari gruppi, esse appaiono in primo luogo come espressione di una ribellione spontanea a un potere insopportabilmente oppressivo. In molti casi insomma, anche se non in tutti, si trattava più di una disperata lotta per la sopravvivenza più che di una consapevole per la libertà. Il numero dei componenti di un gruppo non è mai stato alto: si andava da due o tre persone a un massimo di qualche decina.

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