FOTO Il maestro Roman Vlad
Roman Vlad, la mia vita straordinaria
di Sandro Cappelletto
A volte, è come leggere una sceneggiatura: l’esercito romeno che si ritira, quello russo che avanza, «ma riuscii a trovare un cavallo e una carrozza sulla quale caricai i miei genitori, mia sorella e la vecchia nonna materna e prima di abbandonare la grande casa avita vi entrai per l’ultima volta e suonai sul mio pianoforte un Preludio di Chopin». Regione della Bucovina, nel Sud della Romania, giugno 1941. Roman Vlad e la famiglia riescono a mettersi in salvo. Lui raggiungerà l’Italia e sarà per sempre.
Il maestro Vlad, che oggi ha 92 anni – «La testa funziona bene, la carrozzeria meno, continuo a scrivere musica ogni giorno» -, si è finalmente deciso a raccontare la propria rarissima vita. Con l’aiuto di due musicisti e amici, Vittorio Bonolis e Silvia Cappellini, ha scritto Vivere la musica. Un racconto autobiografico, in uscita per Einaudi. Persone, luoghi, fatti, giudizi, vicende private e pubbliche: il libro (pp. 229, e14) è un atlante del nostro tempo culturale e politico. La dedica è alla moglie, l’archeologa Licia Borrelli, «che illumina la mia vita».
Maestro, lei parlava molte lingue, aveva disponibilità, perché ha scelto l’Italia?
«È stato spontaneo, come fosse prestabilito. L’Italia era e resta per me il Paese della cultura. Ho viaggiato molto, nessun’altra nazione ha altrettanta sostanza artistica. Anche se spesso viene celata dalla volgarità, dal degrado. Il raggio del banale si sta allargando. Bisogna reagire».
Lei arriva, per studiare ingegneria e musica, durante gli anni del fascismo. Nel libro sostiene che la libertà di espressione per gli artisti era comunque garantita.
«Grazie a Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione Nazionale, si poteva fare in Italia quello che in Germania e Russia era proibito. Tra gli artisti c’erano i fascisti onesti, come Goffredo Petrassi, al quale devo molto. E altri diciamo disonesti, che poi vorranno negare di essere stati fascisti, come Luigi Dallapiccola, che rimane comunque un grande compositore. Casella non era fascista, ma naturalmente per poter lavorare ha dovuto pagare i suoi prezzi».
L’artista, la sua libertà, la sua verità: accenna spesso a questo triangolo. A che conclusione è giunto?
«L’unica verità possibile per l’artista è l’adeguamento dell’oggetto che lui crea alla sua realtà interiore. Una verità soggettiva, che inverte la verità oggettiva inseguita da Tommaso d’Aquino».
Lei scrive: «Sono religioso, ma non ho la fede».
Può spiegarsi?
«Mio padre era ortodosso, mia madre cattolica e mi ha educato lei. Amo la figura e le parole di Gesù Cristo. Ma non posso dire, come Pascal: “Dio, tu mi cerchi, dunque mi hai trovato”. Magari potessi. Studiando ingegneria e matematica mi sono reso conto, soprattutto, dei limiti dell’uomo. Il nostro pianeta, l’universo intero, sono inspiegabili».
Ha cominciato a mettere le dita su un pianoforte prima di imparare a leggere e scrivere. Ha composto il suo primo pezzo a 4 anni, ancora oggi la musica non l’abbandona mai, nemmeno quando dorme. Davvero Bach le appare in sogno?
«Ero al Cairo. Nel sonno, sento una voce che mi parla in tedesco antico e mi dice in quale passaggio della viola nella Messa in si minore è nascosto il nome BACH, quattro lettere che nella notazione anglosassone corrispondono a quattro note. Annoto tutto, controllo ed è proprio così. Anche l’inizio della Messa che ho appena terminato, l’ho sentito sognando».
«Stravinskij e Schoenberg, i dioscuri del pensiero musicale del Novecento. Lei su Stravinskij ha scritto un libro importante. Sceglie lui?
«Scelgo Verdi e scelgo Wagner, amo Stravinskij e amo Schoenberg. Quando sei di fronte ai titani, puoi solo amarli, perché scegliere, cioè escludere? Certo, di Stravinskij sono stato anche amico. Oggi, continua a emozionarmi Mahler: lui non banalizza il sublime, porta il banale della vita al sublime. Lo conduce in Paradiso».
Riccardo Muti, Giuseppe Sinopoli, Leonard Bernstein: i tre direttori che ricorda con maggior affetto. Verso i colleghi è sempre piuttosto generoso. Gli uomini politici le piacciono meno?
«Bill Clinton suona il sassofono e ha mostrato molta attenzione per i problemi degli artisti e del diritto d’autore. Edward Heath, ex primo ministro inglese, venne a Firenze tentando di portare via Muti dal Maggio Musicale e farlo trasferire a Londra. Sono episodi che fanno la differenza. Da noi ci sono solo delle eccezioni, come i Presidenti Ciampi e Napolitano, frequentatori assidui di concerti. Non voglio nemmeno parlare di quel ministro che ha detto “con la cultura non si mangia”: forse intendeva scherzare, ma le conseguenze sono state gravi».
Molti sono stati i suoi incarichi: direttore artistico di tante istituzioni, compresi il Teatro alla Scala e l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino, presidente della Siae, ancora oggi «presidente onorario» dell’Accademia Filarmonica Romana. Il grande pubblico televisivo la conosce soprattutto per la serie di concerti dedicati ad Arturo Benedetti Michelangeli, di cui ha curato le introduzioni. Come reagì Michelangeli?
«Registrai tutte le puntate in un unico fortunato pomeriggio, senza mai sbagliare una frase o una nota al pianoforte. Da Michelangeli nessuna reazione, mai. Anni dopo, leggendo il libro della vedova, scopro che guardava quei programmi spesso, seduto in poltrona. E si commuoveva, dicendo che lo avevo capito alla perfezione. Era un uomo di infinito pudore».
Oltre la vetrata della bella casa alta nel cuore di Roma, il sole e il cielo al tramonto stanno facendo il loro spettacolo. Brindiamo «alla musica» con un gin tonic molto carico.
Maestro, ma quel pianoforte su cui ha suonato il Preludio di Chopin nel 1941, l’ha mai cercato, ritrovato?
«Poco tempo fa un giovane studente di musica romeno mi ha scritto che ce l’ha lui, è sicuro, è proprio quello. Misteriosi, affascinanti giri della vita».
Fonte: La Stampa.it