Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Italia e Romania. Migrazioni a confronto (1)

Nov 1, 2011

Italia e Romania. Migrazioni a confronto

 di Focacci Federico

Abstract.   La prima fase ha inizio diverso tempo prima della grande guerra e si differenzia dalle altre per il suo flusso migratorio a senso unico. Interi gruppi di operai italiani provenienti dalle principali regioni del nord Italia si trasferivano in Romania per contribuire all’ammodernamento dello stato romeno in quegli anni. La seconda fase di scambio riguarda l’emigrazione dei romeni in Italia dopo la rivoluzione dell’89 e contemporaneamente quella di alcune importanti realtà economiche ed industriali italiane in Romania. La terza fase è quella che si registra negli anni 2000 e che riguarda principalmente aspetti di natura economica ed imprenditoriale. La quarta ed ultima fase coincide inevitabilmente con l’ingresso della Romania nell’Ue che se da una parte ha fatto registrare una forte crescita di romeni diretti in Italia, dall’altra ha messo in luce un moderno ed interessante flusso di alcuni particolari gruppi dall’Italiaaeroport-otopeni-640 in Romania.

 

I fase – L’emigrazione italiana in Romania a cavallo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900

 

Lo scambio dei flussi migratori ha origini antiche. La domanda che ci si deve porre è: “Romeni in Italia o italiani in Romania?”. Un tempo i flussi migratori tra Romania e Italia avevano una tendenza inversa a quella attuale: fin dai tempi dell’Impero Austro-Ungarico erano intere comunità del Trentino, del Friuli o del Veneto a trasferirsi in Romania e in particolare nelle sue regioni geograficamente più vicine all’Italia. Di molte di queste comunità, in cerca di un futuro migliore, si è perso il ricordo1.

L’emigrazione italiana in Romania è stata soprattutto temporanea. Gruppi di operai lasciavano l’Italia a inizio primavera e vi rientravano nel tardo autunno. In realtà le prime presenze di gruppi di operai italiani in Romania sono antecedenti al periodo che prendiamo in considerazione: ad esempio nel 1868 si trovavano, impegnati su tutto il territorio della Romania, oltre 600 operai italiani per la costruzione di strade, ferrovie, porti e grandi edifici pubblici, contemporaneamente con l’avvio delle attività di ammodernamento dello stato romeno in quegli anni.

È difficile in realtà stabilire con precisione quando l’emigrazione temporanea italiana in Romania abbia acquistato ampiezza e una certa costanza, ma a quanto pare assume carattere regolare subito dopo il 1890. L’afflusso massimo degli operai italiani si verifica all’incirca tra il 1894 e 1897-98. Secondo i dati trasmessi dal Console Generale Giulio Tesi, il numero degli operai assunti per una stagione, quelli che si trovavano sul territorio distrettuale consolare di Galati (le province Moldova e Dobrogea), era aumentato a 7000 circa, superando di 2000 la cifra registrata nel 1893. Essi lavoravano di solito nelle saline o nelle cave di pietra, ma la maggior parte, più di 2000, lavoravano al gran ponte ferroviario ed al piccolo porto di Cernavoda.

 

Precisamente verso il 1895, le imprese italiane esercitavano il primato nel settore delle costruzioni pubbliche e private riuscendo ad aggiudicarsi la maggior parte dei lavori promossi dallo stato romeno. Secondo le stime del Ministro Beccaria Incisa, tra il 1890 e il 1895, il valore totale di questi lavori aumentò a 21,5 milioni di franchi francesi. Molte delle imprese italiane assumevano e portavano in Romania, preferibilmente, operai italiani: ad esempio nel 1897 in Moldova e Dobrogea funzionavano non meno di 13 imprese italiane.

Gran parte della emigrazione temporanea proveniva dal Veneto, in particolare dalla provincia di Udine. Il Veneto rappresentava di fatto il principale serbatoio dell’emigrazione temporanea italiana in Romania, ma secondo lo stesso Giulio Tesi, a partire dal 1986, oltre al Veneto, cominciavano a comparire anche operai provenienti da altre zone dell’Italia, ad esempio dal meridione e dalle province adriatiche.

Grazie soprattutto al fatto di poter sopraffare la concorrenza, gli operai italiani riuscivano ad ottenere salari vantaggiosi tanto da poter permettere loro di risparmiare2. Anche il Ministro Beccaria annotava, nel 1897, che le condizioni morali e materiali degli emigranti in Romania erano piuttosto buone e non pochi erano gli operai che riuscivano a risparmiare. I taglialegna ad esempio risparmiavano in media 1000 lire in una stagione. Gran parte di queste rimesse – come accade oggi per i romeni emigrati in Italia – venivano spedite in Italia tramite posta.

Numerosi edifici pubblici in Romania costruiti prima della grande guerra, hanno goduto del contributo della forza lavoro degli operai italiani. Tra le opere più importanti ricordiamo: la vecchia sede della Camera dei Deputati, il Palazzo Comunale di Buzau, il Teatro Nazionale di Iasi; così come ponti, linee ferroviarie, strade e tunnel. La loro consistente e costante presenza sul territorio

romeno ha contribuito al perfezionamento delle tecnologie autoctone e ha lasciato tracce individuabili ancora oggi3.

L’emigrazione italiana temporanea in Romania scomparirà con l’avvento del primo conflitto mondiale. Il 1918, anno in cui è avvenuta l’Unione della Transilvania con la Bucovina e la Basarabia – dando vita così alla Grande Romania – significò per il Paese una notevole crescita della forza lavoro, sufficientemente aumentata per soddisfare la richiesta interna, e quindi rinunciare alla manodopera straniera4.

 

II fase – La reciproca immigrazione dopo la Rivoluzione romena dell’89

 

All’inizio degli anni ’90 la Romania è emersa sullo scenario europeo come paese a forte pressione migratoria. Inizialmente furono le minoranze etniche ad emigrare (quella sassone, ungherese e in parte rom) unite alle fasce della popolazione culturalmente più attrezzate in cerca di migliori opportunità. Con la caduta del regime, sono state chiuse le fabbriche in cui gli operai romeni lavoravano e molti di coloro che non sono sopravvissuti al passaggio da una economia pianificata e centralizzata a una economia di mercato, si sono trasformati con il tempo in pendolari transnazionali pur di conservare quello “status” economico e sociale relativamente privilegiato.

Secondo le stime ufficiali dell’Istituto Nazionale di Statistiche italiano5, a partire dal 1990 sono stati 380 mila i cittadini romeni emigrati all’estero in maniera permanente. L’Italia, insieme a Spagna e Germania, la meta prescelta. La lingua, basata per più dell’80% su termini di origine latina, a differenza dei paesi confinanti, tutti slavofoni (ad esclusione dell’Ungheria), faceva da trait d’union. Soltanto una parte di essi aveva un regolare permesso di soggiorno e un contratto di lavoro6. Nel 1990 in Italia si registravano appena 8.000 romeni e la presenza è andata aumentando ogni anno sempre di più. Sono per lo più colf, badanti, camerieri, infermieri, agricoltori, elettricisti, operai etc. Se nella prima fase degli anni ’90 si svilupparono le cosiddette migrazioni “circolari” o “informali” – ovvero migrazioni non istituzionalizzate e ai margini della legalità – che prevedevano soggiorni a tempo determinato e funzionali alla sopravvivenza delle famiglie, col passare del tempo l’emigrazione prendeva sempre più la forma di un esodo sistematico, basato su reti parentali e amicali precedentemente stanziate e in grado di dare una prima accoglienza all’immigrato. Prendeva sempre più piede una immigrazione “economica” che ha visto coinvolte più ampie fasce della popolazione romena attratte dalle maggiori opportunità di reddito dei paesi occidentali dell’Europa78.

Contemporaneamente all’emigrazione dei romeni in Italia dopo la caduta di Ceausescu, si è aperto ufficialmente il periodo della c.d. delocalizzazione di alcune piccole e medie imprese italiane in Romania attratte dalla manodopera a basso prezzo. In realtà L’Italia è sempre stata uno dei principali investitori in Romania. Sotto il regime di Ceausescu la presenza italiana era soprattutto caratterizzata da grossi gruppi industriali che operavano nel settore della realizzazione di grandi impianti, tra questi alcune Società dell’Eni, ed in particolare il Gruppo Ansaldo che cominciò la sua attività contribuendo alla costruzione della centrale nucleare di Cernavoda9.

Dopo il 1989 hanno cominciato a venire in massa piccole aziende che operavano, e tutt’ora alcune di esse ancora operano, nel settore dell’abbigliamento, delle calzature e delle infrastrutture. Tra queste ultime le più importanti erano l’Enel, l’Eni, che comunque erano già presenti, e Italstrade, che ha costruito l’Aeroporto di Bucarest Hanri Coanda.

Gli investimenti stranieri dopo l’89 erano concentrati prevalentemente su produzioni a basso costo, ovvero su lavorazioni “per conto” di materie prime o semilavorate provenienti dall’Italia, destinate ad alimentare mercati esteri più “ricchi” tanto che quasi l’80% della produzione veniva esportata10. Questo fenomeno era dovuto al fatto che non essendoci un elevato potere d’acquisto la produzione per il mercato interno non poteva svilupparsi11.

III fase – I due flussi migratori negli anni 2000

Secondo un’indagine svolta da Unioncamere12, le imprese italiane avevano preventivato nel 2006 un fabbisogno aggiuntivo pari ad almeno un 160 mila lavoratori stranieri. Già nel 2000 si poteva dire che il contributo degli immigrati romeni al sistema produttivo italiano andava assumendo sempre più un carattere strutturale. Così molti romeni, per lo più giovani neo-laureati, operai, ma anche studenti, sono arrivati in Italia numerosi. A causa anche della difficile congiuntura economica del paese e perché attratti dalla possibilità di un lavoro e di un guadagno nettamente superiore. Alla fine del 2003 la Romania risultava, secondo il Ministero dell’Interno, il paese maggiormente rappresentato tra gli stranieri titolari di permesso di soggiorno (quasi 240.000 romeni)13. Alcuni di loro si sono stanziati e integrati positivamente continuando a svolgere il lavoro per cui erano stati reclutati; altri, forse quelli socialmente e culturalmente più deboli, hanno vissuto, e vivono tutt’ora, di piccoli espedienti commettendo spesso atti di inaudita violenza; altri ancora invece hanno sviluppato un importantissimo sistema industriale su gran parte del territorio italiano creando delle vere e proprie imprese, soprattutto nell’edilizia. Infatti, netto è stato l’incremento del numero di imprese con titolare nato in Romania negli ultimi anni. Addirittura Unioncamere14 ha stimato che tra il 2005 e il 2006 si è registrato un incremento del 24% (da 14.505 a 17.926), tra il 2006 e il 2007 l’incremento è stato invece del 50% (da 17.926 a 26.907). Infatti, le imprese individuali con titolare nato in Romania – al 31.12.2007 – erano 26.907, pari al 13% delle imprese individuali con titolare extracomunitario nello stesso anno, concentrandosi per il 78% nel settore delle costruzioni. Il 22% nel settore del commercio all’ingrosso, il 7% al dettaglio, il 5% nelle attività manifatturiere. Secondo le stime di Unioncamere, aggiornate al 31.03.2008, le imprese individuali con titolare nato in Romania sono nel primo trimestre del 2008 passate da 26.907 alla fine dell’anno 2007 a 28.694 ed hanno contribuito, insieme al tutto il resto dei lavoratori romeni regolari per lo stesso anno, al 1,2 % del prodotto interno lordo. La regione con il maggior numero di imprese romene è la Lombardia con 5.545 presenze. Segue il Piemonte con 5.328 e il Lazio con 4.76115.

 

1 Tratto da: Tesi di Laurea Specialistica di Federico Focacci: “Branding Romania: trasformazioni sociali e nuova immagine”, Luglio 2007.

2 Il Console Generale Giulio Tesi rapportava, nel 1986, che molti dei muratori, minatori, tagliatori di pietra raccoglievano in media circa 5 franchi a testa al giorno.

3 Solo una parte trascurabile di operai stagionali italiani apparteneva ad altre categorie professionali: fornai e venditori ambulanti di coltelli.

4 Tratto da: Dall’adriatico al Mare Nero: veneziani e romeni, tracciati di storie comuni, Grigorie Arbore Popescu.

5 ROMANIA, Immigrazione e lavoro in Italia – Statistiche, problemi e prospettive., pag. 81, Caritas Italiana, ed. Idos, Roma, 2008.

6 Tratto da: Rapporto 2008 dell’Osservatorio sulla reciproca percezione d’immagine tra italiani e romeni – Fondazione Università IULM di Milano.

7 Alla fine degli anni ’90, la comunità romena in Italia era stimata intorno alle 50 mila unità per poi superare quota 100 mila nel 2002.

8 Dossier Statistico Caritas/Migrantes 2007/2008.

9 Oggi la centrale di Cernavoda eroga quasi il 18% del fabbisogno nazionale con l’apertura della 2° unità nel 2008.

10 Tesi di Laurea di Federico Focacci: “Branding Romania: trasformazioni sociali e nuova immagine”, Luglio 2007.

11 La presenza italiana ha manifestato, soprattutto alla fine degli anni ’90, la tendenza a concentrarsi in alcune aree geografiche. Tra queste, rilevante è la presenza dei nostri imprenditori nei distretti nord-occidentali della Romania, ed in particolare nella provincia di Timisoara, dove si è ricreato un vero e proprio distretto industriale italiano.

 

12 ROMANIA, Immigrazione e lavoro in Italia – Statistiche, problemi e prospettive. Caritas Italiana, ed. Idos, Roma, 2008.

13 Altre 130 mila domande di assunzione di lavoratori romeni sono state poi presentate in occasione del decreto flussi del 2006, arrivando così a 271 mila presenze secondo la Caritas.

14 Tratto dal sito www. osservatorioitro.net, Le imprese romene in Italia: un trend in crescita.

15 Se la regione Lazio è al terzo posto come numero di presenze, la sola provincia di Roma è al secondo posto con ben 3.973 unità rispetto alla provincia di Torino – che occupa invece il primo posto con 4.121 imprese – e di Milano con 1.631 imprese individuali.

 

 

federicofocacci@inwind.it

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