UNA LINGUA E-ROMENA? di Armando Santarelli
ogliamo davvero impoverire la lingua che Norman Manea, nell’esilio statunitense, non volle mai abbandonare, perché rappresentò sempre, per lui, uno strumento di salvezza, «il rifugio infantile della sopravvivenza?»
La lingua che invece Cioran lasciò a favore del francese, ma rimpiangendola – come leggiamo nei Cahiers 1957-1972 – così: «La straordinaria lingua romena! Ogni volta che torno a immergermi in essa (o meglio, che ci penso, perché, ahimè, non la uso più), ho la sensazione di aver commesso una criminale infedeltà a distaccarmene. La sua facoltà di dare a ogni parola una sfumatura di intimità, di farne un diminutivo; un addolcimento di cui beneficia persino la morte: morţişoara… C’è stato un tempo nel quale in questo fenomeno non vedevo che una tendenza a sminuire, svilire, degradare. Ora invece mi sembra un segno di ricchezza, un bisogno di conferire a ogni cosa un “supplemento d’anima”».