Siamo su un’isola nel nord della Russia: in un monastero ortodosso uno dei monaci mette in imbarazzo i confratelli con il suo comportamento stravagante e indisciplinato, nonostante la povera gente si rivolga speranzosa a lui considerandolo alla stregua di un santo. Ma padre Anatolij si comporta così in quanto è scosso da un forte dissidio interiore, segnato com’è dai rimorsi per una colpa tremenda di cui si è macchiato in gioventù.
Pavel Lungin, regista moscovita da anni trasferitosi a Parigi, testimonia con questo suo ultimo sentito lavoro una svolta spirituale nella sua vita di autore finora dedicatosi alle nuove figure sociali della sua patria di origine (Le nozze, 2000, L’oligarca, 2002, fra i più recenti).
Il russo punta molto in alto con questo suo L’isola, racconto drammatico di una vita vissuta nella penitenza e nel rimorso, che unisce echi tolstojani a certa cine-topografia di Kim Ki-duk (fin dal titolo che richiama il capolavoro del coreano del 2000): siamo infatti in un luogo isolato dal mondo, in mezzo ad una natura selvaggia in cui l’essere umano ha la possibilità di confrontarsi con i suoi demoni e con il senso della propria vita.
Il monaco Anatolij ha commesso un atto vergognoso, uccidendo un commilitone durante la Seconda guerra mondiale (pur costretto dai nazisti e per potersi salvare la vita). Si rifugerà appunto in un convento e impiegherà tutta la sua esistenza ad “elaborare” (diremmo noi con linguaggio psicanalitico) il suo atto di viltà; ma è meglio espiare un peccato indelebile, secondo l’ottica ascetica del tormentato eremita e secondo le parole di un Lungin che con questo lavoro sembra riscoprirsi uomo di fede.
Qui la storia è coinvolgente, il personaggio si fissa nella mente dello spettatore come uno di quei “santi idioti”, o “pazzi in Cristo” della tradizione ortodossa, ma anche uno scioglimento finale fra lo spiritistico ed il sensazionale non ci convince a spendere l’altrove spesso abusato termine di “capolavoro”.
di Massimo Tria
Pubblicato sabato 9 settembre 2006 – NSC anno II n. 24
Titolo originale: Ostrov; Nazione: Russia; Anno: 2006; Durata: 112’; Regia: Pavel Lounguine; Cast: Petr Mamonov, Dmitry Dyuzhev, Viktor Sukhorukov; Produzione: TV Channel Russia; Data di uscita: Venezia 2006
Trailer: http://www.youtube.com/watch?v=uLrKJZnDbFU
Intervista al protagonista di Ostrov (L’isola)
In esclusiva presentiamo l’intervista al protagonista del film russo Ostrov (L’Isola), Petr Mamonov, che interpreta il ruolo dello stareč Padre Anatoli.
L’intervista, in russo, è tratta dal sito ufficiale del film ostrov-film.ru ed è stata tradotta per Nati dallo Spirito da Tamouna Pataridze alla quale vanno tutti i miei più sinceri ringraziamenti.
Il regista Pavel Lunguin ha invitato per le riprese del suo film l’attore Petr Mamonov, un ex musicista celebre ai tempi del gruppo rock Zvuki mu «Звуки Му». Molti anni fa questo musicista aveva interpretato il ruolo in un primo film di Lunguin: Taxi blues («Такси–блюз»). Petr Mamonov è di origine moscovita, un uomo misterioso. E’ da più di dieci anni che vive da eremita nel villaggio di Reviakino (Ревякино). Va in città attirato unicamente dalla prospettiva di presentare uno spettacolo al teatro Staniskavskyi. Soltanto molto di rado accorda interviste.
– Ha esitato molto prima di accettare di collaborare a questo progetto?
– Sì, molto a lungo. Per me tutto è semplice. La fede mi è giunta molto tardi, all’età di 45 anni. Prima di allora vagabondavo, correvo dietro alle cose, bevevo vodka ecc. In più, sa, quando si ha un talento si è sbilanciati una volta da questa parte e una volta dall’altra. E poi la fede, come un colpo d’ascia. La fede è sempre dono di Dio. Non è che se fai uno sforzo crederai, no. Questo modo non dà risultati. Poi, sono evoluto lentamente. Sono già undici anni che sono nella fede. Insomma, ho ricevuto questa proposta. Pavel Semoinovich mi ha chiamato e mi ha detto «Petenka [1], senza di te non girerò il film. Ho assoluto bisogno di te». E io ho risposto: «Pash [2], no, no, no, come è possibile … interpretare uno stareč [3] santo?». E allora lui mi ha detto: «Mica farai decidere al mio spirito fumoso!». Io ho un padre spirituale, il parroco del nostro paesino. Sono andato da lui e gli ho detto: «Ecco di cosa si tratta, io e uno stareč santo… visto che voi conoscete la mia vita, che sapete che sono un peccatore, che faccio?». Ed egli mi ha detto: «Non ci pensare nemmeno. E’ il tuo lavoro. Fallo!».
– Alcuni dicono che questa storia è in parte autobiografica.
– Si dice sempre così se il ruolo è ben interpretato. Si dice spesso: ecco, l’attore ha interpretato se stesso. Ma che vuol dire? Provate a interpretare voi stessi! Molto semplicemente, come si dice oggi, ero in linea con l’argomento. Io credo in Dio, cerco di cambiare la mia vita, cado, inciampo, mi rialzo e cado di nuovo, mille volte al giorno. Ma per me non c’è più altro cammino, io sono un uomo maturo, ho 55 anni. Non ho altre possibilità, basta così, lo so certamente. Non sta a me dire ora: «No, sono solo deliri, fantasie e racconti. Dio non esiste, vivo come prima». Ovviamente no, non posso fare questo sapendo, per esperienza personale, che il Signore esiste. Ho già sentito come mi aiuta, ho ricevuto il Suo soccorso e la sua potente benevolenza.
– Riesce ad essere neutro sul film e sul suo lavoro e dire ciò che è riuscito e ciò che non lo è?
– Certo che posso è per questo che sono artista. Sa, a questo proposito Antonyi Surojskyi (Антоний Сурожский) [4] dice una cosa molto interessante: se un artista credente si mette a cantare o a dipingere soggetti divini, generalmente produce cose false. Lavori come vuole, seguendo la sua intuizione: la sua fede e il suo Dio resteranno sempre in lui in una maniera o nell’altra. Questo è molto logico e molto importante per me e l’ho imparato quando ho esitato domandandomi se avrei peccato accettando questo progetto. Guardando tutto questo da lontano, posso dirle che per me la moderazione e l’esitazione dell’artista, del regista, dell’attore o del cantante sono segni delle loro prestazioni e competenze. Questo mi piace.
Ho sentito dire ciò a proposito di Visočkyi (Высоцкий): pur essendo un grande maestro, veniva ogni volta sul set come fosse la prima volta, con modestia. Questo è un segno di potenza. Ciò che mi piace del nostro film, che mi piaceva mentre lo giravamo e che mi piace anche nel risultato finale è che è un film molto discreto. Se ci ha fatto caso, non ci sono certezze ostinate, nessuna pretesa che questa cosa è così. Lei sa che c’è un delirio che pretende che soltanto nell’ortodossia ci sia la salvezza, e che tutte le altre denominazioni periranno: i cattolici e gli altri. E’ una cretinata! Da dove proviene ciò? Tu credi, benissimo. Dio per te è così, benissimo. Basta, non scocciare gli altri. Questa modestia è palpabile nel film…
Sono contento del regista che conosco da tanto tempo. Abbiamo lavorato insieme a Taxi Blues. Dopodiché ha fatto dei film, francamente, di tutti i tipi, lei capisce di cosa parlo. Di conseguenza mi sono avvicinato con molta prudenza a questo film. Ho iniziato a imporgli delle mie esigenze, per orgoglio. Pensavo che io capissi tutto e lui no. Uno degli appellativi del diavolo è il Separatore e quando gli uomini sono divisi su qualche cosa, ognuno pensando di possedere la verità, be’ entrambi hanno torto su ciò che li divide. E questo film, in questo lavoro non c’è questa separazione. C’è forse incertezza: ‘cosa abbiamo prodotto?’ ‘com’è il risultato?’ Ma non c’è insistenza, lo spettatore ha spazio per vagare. Mi capisce? E’ molto importante per un artista esprimere la sua posizione ma anche lasciare qualcosa da dire, di non chiudere, lasciare lo spazio allo spettatore, al lettore di modo che avanzi. Se dico tutto, allora sono come quelli che si ritengono degli spiriti lucidi – li ho passati tutti al setaccio – Bergman, Tarkovskyi (Тарковский), Godard perché mi impongono con rigore la loro opinione. A che mi serve? L’arte non è che interrogativi.
– Secondo lei, questo film si inscrive nel nostro tempo o appartiene a un mondo falso e cinico?
– Trovo che riguarda il nostro tempo. Perché il mondo non è simile a quanto lei ha descritto. Le do un piccolo esempio. In un autobus entra un ubriaco fradicio e ti sembra impossibile rimanere su quel bus. Ma ci sono altre 40 persone che sono sedute beatamente senza farci caso. Questo è il nostro mondo oggi. Sembra impossibile viverci ma la gente si sveglia alle 7 e va a lavoro, da da mangiare ai figli, fa tutto tranquillamente, lentamente, ed è invisibile, noi non la vediamo. E’ per questo che la gente si sente male a vivere. E’ per questo che voglio dar loro forza, offrir loro un piccolo aiuto, un minuscolo punto d’appoggio, non so neanche come dire. Io sono il loro deputato, il deputato di una ragazza che fa il controllore a 30 gradi sotto zero, tutta la giornata: «Biglietti, biglietti prego. I vostri biglietti prego». E lo fa per 5000 rubri. Io sono con loro.
– Una domanda: quando penso al suo personaggio, mi sembra che per un uomo che ha commesso un peccato così grande, la possibilità che si penta sia molto debole. La vita vorrebbe che un tale uomo ricadesse ancora. Un uomo oppresso da un peccato simile o non ci pensa più, o scende ancora più in basso, ruba, uccide ecc.
– Le rispondo con una citazione. Efrem il Siro disse nel IV secolo: «La chiesa è un’assemblea di peccatori che si pentono». Ecco cos’è la chiesa. Tutti i nostri peccati in un oceano di misericordia divina fanno un granello di sabbia. Il Signore accoglie tutti e perdona tutti: gli assassini, le persone più spaventose, se soltanto il nostro cuore si rivolge totalmente a lui. Nella vita ciò accade spesso e vicinissimo a noi. E’ successo a me, a colui che è di fronte a lei. Ecco la ragione della mia certezza quando ne parlo. Facevo un sacco di scemenze e poi il mio cuore si è completamente rivolto a Dio. Il Signore mi ha perdonato tutto e mi ha ricoperto del suo amore. Poi, disarmato, stupefatto, mi sono fermato.