Testimonianze di un passato straziante
“Per chi crescono le rose” – un romanzo di Ingrid Beatrice Coman, Rediviva Edizioni 2013
Le testimonianze di chi ha conosciuto la guerra sono sempre cariche di drammaticità e, allo stesso tempo, portatrici di messaggi di pace, per far si che non si dimentichino i tormenti del passato. Così lo è anche per quelli che hanno vissuto sotto il regime totalitario di Ceausescu, i ricordi sono altrettanto forti, tendono a tenere intrappolata la mente a vivere ancora gli incubi del passato.
Questo libro è stato costruito come un grande puzzle dai frammenti di memoria, con i fogli strappati dal diario nascosto per anni nel doppio fondo del cassetto. La chiave di lettura ci viene suggerita dalla scrittrice stessa nell’introduzione: “Già, perché non si sfugge al proprio passato. Non si dimentica. Ma si può cercare di comprendere e mutare le cose peggiori in preziose lezioni che, dopo tutto, ci hanno fatto crescere in un modo così diverso.”
Questo libro ha il merito di aver portato all’attenzione un frammento di storia contemporanea della Romania, anche se sembra fare solo da sfondo alla storia d’amore tra Magda e Cătălin, che anche essi personificano in realtà il destino di un’intera fascia della società civile romena. Il romanzo parla soprattutto di resistenza e sopravvivenza, della condizione dell’intellettuale, ma anche della gente comune, schiacciati dalla repressione del sistema che per difendersi si devono rifugiare in una vita da dissidente, di fatti e pensieri clandestini, o finire in un ospizio, se non si vuole rinunciare all’identità e ai principi e diventare collaborazionista del regime.
In alternativa ci si butta nell’amore, come tuffarsi in un’acqua purificante: l’amore che salva la vita. Oppure, come suggerisce il finale, si cerca di tornare alla normalità.
E’ un modo di esprimere metaforico, comune a tutti i libri di Ingrid Beatrice Coman, a partire dai titoli stessi. “Per chi crescono le rose” esprime simbolicamente l’aspirazione ad un’altra vita, più bella. Così come “Il villaggio senza madri”, il titolo di un altro suo libro, è una splendida metafora per la situazione in cui si trova la Romania di fronte ad un fenomeno di immigrazione di massa che ha colpito l’intero paese.
Magda, la ragazza di diciassette anni, si trova ad affrontare quotidianamente le difficoltà per procurarsi i beni necessari e obbedire alle regole imposte dal regime. Lei è, nella simbolistica adottata, l’espressione della gioventù che, per quanto dovrebbe essere tenera ed entusiasta, riceve solo lezioni amare dalla vita. All’età che ne aveva l’autrice stessa all’epoca, la realtà non può passare inosservata e le sofferenze rimangono ben impresse nella mente, “nel loro passato senza senso”.
Con Cătălin, docente, 35 anni, si costruisce un profilo più complesso, con problematiche da adulto e da intellettuale, un personaggio forte, tanto è vero che cerca di cambiarsi la vita e sfuggire al conflitto tra ideali e frustrazioni, tra le utopie rivoluzionarie in contrasto con le privazioni di tutti i giorni, che sembrano inconciliabili. E come lui tanti altri scrittori, filosofi, artisti.
I genitori di Magda, il padre filosofo e la madre medico ginecologo sono solo altre facce della medaglia. Con loro crollano le fondamenta della famiglia, le posizioni antagoniste e le pressioni provocano la scissione: “Eppure lei non era stata una cattiva madre e Marius non era stato un cattivo padre, ma questo non era bastato, come il loro amore non era bastato per tenerli insieme e proteggerli dal mondo. E così quel mondo li aveva piegati e spezzati a suo piacimento, si era preso il tempo e aveva restituito loro un’infinita fatica di vivere, l’incertezza del domani, la paura della gente, la diffidenza, la fame.”
Il romanzo finisce con il rientro di Cătălin in famiglia, proiezione del ritorno di Ulisse a Itaca oppure, in termini biblici, con la parabola del ritorno del figlio prodigo. Si torna a casa, quindi alla vita e con questo riprende la speranza di una rinascita morale del popolo romeno, la parte non ancora alterata, quella che può lasciare morire di vecchiaia il maiale anziché ammazzarlo a Natale, come da consuetudine.
Bisogna sottolineare che il romanzo non si limita ad osservare la realtà, ma prende anche posizione. E se lascia punti di domanda riguardo gli eventi del ’89 ed esprime un giudizio severo su quello che è successo negli anni successivi in Romania, è perché fino ad oggi non si conosce ancora la verità. Ma se si chiedesse di fare una graduatoria delle conquiste ottenute in seguito dal popolo romeno, io metterei al primo posto, almeno per quanto riguarda le classi intellettuali: la libertà della parola, la rimozione del bavaglio che per decenni ha soffocato la possibilità di esprimersi liberamente. Questo libro ne è una dimostrazione ed una testimonianza.
Florentina NIȚĂ
Recensione presentata in occasione del Festival della Letteratura, 9 giugno 2013, presso la Biblioteca Romena
Il libro si puo comprare online sul sito: www.redivivaedizioni.com