La Romania e la sua integrazione europea
docente Ioan Aurel Pop, Università Babes-Bolyai Cluj Napoca
La Romania, insieme agli altri paesi vicini, è stata parte della zona d’influenza sovietica e comunista dopo la seconda guerra mondiale. La sua storia fu modificata radicalmente sotto la minaccia delle truppe sovietiche “liberatrice” per circa cinque decenni. Questo cambiamento forzato significò, tra altre gravi distorsioni, un tragico isolamento, una frattura strana, una divisione dalla gran famiglia europea. L’intera cosi chiamata “Europa Orientale” cessò, infatti, d’essere più Europa.
Dopo la caduta del comunismo (1989), lo sforzo principale di questi paesi “dell’Est” è stato la loro (re)integrazione europea ed euro-atlantica. Gli stati più sviluppati di questo gruppo (la Repubblica Ceca, la Polonia, l’Ungheria ecc.) sono riusciti far più presto quest’integrazione nei diversi organismi europei e specialmente nella NATO e poi nell’Unione Europea. La Romania, con un’eredità abbastanza dolorosa e con un periodo di transizione prolungato, riuscì solamente nel 2004 il suo ingresso nella NATO. Durante lo stesso anno, 2004, la Romania ha finito le trattative per l’ingresso nell’UE, evento previsto per il paese carpato-danubiano (e per la Bulgaria) al 1 gennaio 2007.
In questo contesto generale europeo, di un’unione economico-politica formata oggi da 25-27 paesi (lasciamo a parte gli stati che iniziarono presto le trattative per il loro futuro ingresso, vale a dire la Croazia, la Turchia, più tardi l’Albania, la Serbia e il Montenegro ecc.), l’interesse dell’Occidente europeo per “i nuovi arrivati” deve essere vivo. E non si tratta solo di un interesse pragmatico economico, politico e sociale, ma anche di un interesse culturale. Questi nuovi stati hanno le loro lingue, tradizioni, costumi, confessioni e religioni, in altre parole la loro identità. Essi non costituiscono un blocco omogeneo, come si crede in alcuni ambiti occidentali. Alcune di queste nazioni sono slave e cattoliche, altre sono slave e ortodosse ecc. Anche i tre paesi baltici sono abbastanza diversi. Questa diversità non è e non dovrebbe essere uno svantaggio, ma una prova di un nuovo tipo de convivenza nell’UE; loro non vogliono essere riguardati come i “parenti poveri” dell’Europa, come un elemento pesante e straniero, propriamente perché sono e si considerano veri europei. Infatti, anche il concetto d’Europa proviene dall’Oriente, dal mondo greco antico e ha cambiato sensi parecchi volte. Mentre l’Europa di una volta era soprattutto la parte mediterranea, orientale e meridionale (l’Occidente e il Settentrione essendo il Barbaricum), durante i tempi moderni, la vera Europa è diventata l’Occidente, con la sua civiltà industriale, con la democrazia e lo sviluppo accentuato.
Che rappresenta la Romania in questo paesaggio? La Romania, con i suoi 22 milioni abitanti e con una superficie uguale di quella del Regno Unito della Gran Bretagna e dell’Irlanda di Nord è un paese europeo medio. Non è né “orientale”, né “balcanico”, come credono e dicono tanti italiani. La Romania è un paese, almeno di punto di vista geografico, central-europeo, perché è situato alla metà della linea che separa l’Atlantico (il confine occidentale) dei Monti Urali (il confine orientale del continente). Ma oggi, anche sull’aspetto concettuale, dopo i cambiamenti di 1989, l’Europa Centrale rappresenta una striscia abbastanza larga, situata, su l’asse nord-sud, tra il Mar Baltico e la Grecia. Naturalmente, in questa grand’area con circa 15 paesi, esistono regioni e zone distinte. La regione o la sottozona balcanica, vale a dire la Penisola Balcanica ha come confine settentrionale il Danubio; al nord del Danubio Inferiore si trova la zona carpatica, denominata cosi secondo il nome della catena dei Carpazi, i più importanti monti europei dopo le Alpi. La Romania, con 95% del suo territorio situato al nord del Danubio, nella zona carpatica, non può essere un “paese balcanico”. Dell’altro lato, anche storicamente, circa due terzi del territorio della presente Romania sono stato una volta (per diversi intervalli di tempo) parte della monarchia asburgica, in altre parole della classica Mitteleuropa.
L’Europa, nel suo senso largo, comprende (contiene) – pressapoco – popoli romanzi e germanici, situati nella parte occidentale e popoli slavi, collocati nella parte centro-orientale del vecchio continente. I romeni (e non solo loro) costituiscono, in un certo senso, un’eccezione a questa struttura europea. Essi sono un popolo romanico che vive nella parte centro-orientale del continente, l’unico popolo romanico geograficamente diviso dalla gran massa della romanità europea dell’Occidente e rappresentano anche il solo popolo romanico odierno erede della romanità orientale. La Romania è – altra cosa caratteristica – il solo Paese latino che per più di quattro decenni è stato comunista. Di più, i romeni sono il solo popolo latino a maggioranza ortodossa (circa 85% della popolazione) e con una storia che ha oscillato, per molto tempo, tra l’Occidente e l’Oriente. Ma nello spazio abitato dai romeni, le altre chiese cristiane (soprattutto la chiesa cattolica – con le sue sedi vescovili fondate a partire dei secol XI-XII – e quelle protestanti) sono sempre esistite e hanno funzionato. Dobbiamo giungere che la separazione tra l’Occidente cattolico (e poi protestante) e l’Oriente ortodosso non esisteva nel Medioevo sulla forma di una linea, ma c’era un’area d’interferenza, uno spazio de interpenetrazione dei due rami del cristianesimo. I romeni sono sempre rimasti in questo spazio in cui le due (e poi vari) Chiese coesistevano pacificamente, s’ignoravano reciprocamente o si confrontavano anche violentemente.
Un’altra cosa cara per la spiritualità romena: i romeni sono l’unico popolo romanico (oltre il piccolo gruppo dei romandi/romanci) che ha conservato nel suo nome il ricordo di Roma. Essi si sono sempre chiamati tra loro (insieme ai diversi nomi regionali che si sono attribuiti) rumâni o, dal XVI secolo in poi, români, mentre gli altri li chiamavano valacchi, vlachi, blachi, volohi, ulahi, olahok con altre varianti che tutte significavano „romanici” o parlanti di una lingua neolatina. Questa eredità dei romeni fu il risultato della conquista della Dacia dell’imperatore Traiano (98-117), tra gli anni 101-106 d.C. e della creazione in quel luogo di una provincia romana. Cosi, l’impronta della latinità si è conservata per sempre nella zona dei Carpazi e del Basso Danubio. L’eredità latina rappresenta il più forte legame storico dei romeni con l’Occidente. Nello stesso tempo, la chiesa e la fede bizantina costituiscono il più importante legame dei romeni con l’Europa Centro-Orientale. Ma come mai i romeni sono diventati i soli romanici di confessione cristiana orientale? La domanda è tanto sconvolgente anche perché la maggior parte della terminologia romena relativa alla fede cristiana proviene dal latino. Questo fatto dimostra che gli avi dei romeni, a partire dai secoli II-III d.C., hanno ricevuto la parola divina in lingua latina, lingua da loro parlata. La cristianizzazione dei romeni (protoromeni) è stato un fenomeno popolare e non politico, è stato fatto soprattutto grazie ai missionari latini o latinofoni e a durato alcuni secoli. Quando hanno iniziato l’organizzazione precisa delle loro chiese (rito, sedi vescovili, feste ecc.), i legami dei romeni con Roma erano quasi interrotti, il loro avvicinamento geografico a Costantinopoli era una realtà visibile e i loro vicini erano quasi tutti slavi, in gran parte di confessione bizantina. Cosi, l’ordinamento delle chiese romene è stato impostato, in gran misura, su modello slavo meridionale (specialmente bulgaro), con l’adozione della lingua ecclesiastica (e della cultura medievale) slava antica con l’alfabeto cirillico. Di conseguenza, i romeni sono anche il solo popolo romanico che ha utilizzato un’altra lingua culturale ed ecclesiastica diversa dal latino: e cioè lo slavo, e un altro alfabeto, quel cirillico.
Purtroppo, culturalmente, i romeni non hanno interrotto completamente nel Medioevo i loro legami con l’Occidente latino e cattolico e non hanno mai dimenticato l’impronta di Roma. Centinaia d’autori stranieri nei secoli XIV-XVI costatano che i romeni di Valacchia, Transilvania e Moldavia formano un solo popolo, discendente dai coloni romani portati dagli imperatori romani in Dacia, che parla una lingua molto vicina al latino e all’italiano. Di più – e ciò è veramente impressionante – alcuni di questi autori, quelli che de facto hanno viaggiato nei Paesi Romeni, dicono di aver appreso dell’origine romana dei romeni dagli stessi romeni (un esempio in questo senso è la testimonianza di Francesco della Valle di 1532). Dai circa 30 autori italiani dello XVI secolo (1501-1593) che si riferiscono a Paesi Romeni, 23 affermano chiaramente che i romeni discendono dai romani, dalla popolazione italica, dagli italiani o dai daci e romani e che essi parlano un italiano (latino) corrotto.
Per conseguenza, la latinità e stata coltivata durante i secoli ed è rimasta per sempre un mezzo importante per mantenere la propria identità romena.
Nel periodo tardo umanistico (il XVII secolo), alcuni cronisti e storici romeni che anno studiato negli ambiti cattolici polacchi ed italiani hanno dimostrato con argomenti scientifici l’origine romana dei romeni, i loro legami con Roma e con l’Occidente. Il secolo successivo – il periodo illuministico – significa l’inizio del movimento d’emancipazione nazionale moderna. La corrente culturale chiamata Scuola Transilvana, sviluppato nell’ambito delunione della chiesa romena di Transilvania con la chiesa di Roma (la creazione della Chiesa Greco-Cattolica), a contribuito di più alla sincronizzazione della cultura romena alla cultura europea. Durante l’epoca romantica, rivoluzionaria e liberale (lo XIX secolo), i romeni hanno vissuto un periodo di gran mobilità verso l’Europa Occidentale e di trasferimento accentuato dei valori occidentali nei Paesi Romeni e poi nella Romania. L’appello a coltivare la lingua romena, la storia e le tradizioni locali è stato accompagnato dall’infusione dello spirito europeo e dei modelli occidentali, tra cui il posto più importante fu riservato alle culture delle nazioni neolatine, soprattutto francese. Questa modernizzazione coesisteva in un certo senso con grandi ritorni causati alla mancanza di pace e di sicurezza, alle necessità di perpetua difesa contro gli attacchi stranieri, alle occupazioni straniere, alla formazione tarda di uno stato nazionale unitario, al collocamento alla periferia dell’ Europa sviluppata e prospera ecc.
Nel momento quando tutta questa pesante eredità del passato sembrava quasi superata, il periodo comunista cambiò maggiormente l’intera situazione. I legami organici con l’Europa Occidentale, libera e democratica, sono stati interrotti, e la cultura proletaria, sovietica, russa ed “internazionalista” hanno invaso il paese. Come reazione ad una tale politica culturale, durante gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso sì e sviluppata una cultura ufficiale di tipo nazional-comunista. Purtroppo, la cultura romena profonda ed autentica e rimasta impregnata dei valori umani reali, moderni, universali. Dopo 1989, è stato riscoperto il senso della libertà anche nell’ambito della cultura e il dialogo inter-culturale è stato ripreso.
In ogni caso, durante gli ultimi due secoli, sono sempre stati due orientamenti principali nella società romena (come quasi per tutto nell’Europa Centrale e Orientale): uno favoriva le radici latine ed europee dei romeni e consisteva nell’attirare costantemente i romeni verso l’Occidente; quest’orientamento apprezzava i valori occidentali e l’adattamento al dinamismo economico-sociale, politico e culturale europeo; l’altro accentuava l’autoctonismo traco-dacico, sostenendo l’unicità dei romeni e considerando i romeni sempre accantonati nel mondo ortodosso e nell’Oriente europeo, in una civiltà agraria e tradizionale. Dal confronto delle due correnti di pensiero menzionate, sembra aver vinta quello che spingeva la Romania verso l’Europa Occidentale.
Ogni contatto stretto della civiltà romena con l’Occidente europeo a portato per il popolo romeno progressi importantissimi, mentre ogni otturazione di questo legame ed ogni orientamento verso l’Est hanno significato stagnazioni o rinculi. Pero, dopo ogni eccesso di tipo tradizionalista ed autoctonista, dopo ogni esagerazione della matrice ortodossa e dopo l’orientamento forzato verso l’Est degli anni 1944-1989, i romeni hanno ripreso il forte legame con l’Europa Occidentale e sono usciti più potenti, più adattati alle esigenze della modernità e del progresso. Soltanto durante il XX secolo, grazie alla importante apertura verso l’Occidente, al dialogo continuo con la cultura occidentale, i romeni hanno dato alla spiritualità universale nomi illustri come Constantin Brancusi, George Enescu, Mircea Eliade o Eugene Ionesco. Tutti hanno portato con loro la tradizione cultuale romena, l’identità del loro popolo, l’originalità della creazione popolare e colta che le ha preceduta. Questa sintesi tra lo specifico locale/nazionale e l’ambito generale europeo (trovato nei grandi centri della cultura) è stato capace di produrre valori autentici di livello universale.
Per questo si dice spesso oggi che la Romania non ha bisogno di far un’ integrazione culturale europea, già fatta da molto tempo, ma solo un ingresso completo politico-economico, di tipo istituzionale.
docente Ioan Aurel Pop, Università Babes Bolyai Cluj Napoca