Mezzo millennio di lingua romena. “La lettera di Neacsu di Câmpulung” 1521
Ogni anno festeggiamo il ritrovamento di questo documento storico che attesta le parole che usiamo naturalmente per comunicare e con le quali ci identifichiamo come parlanti di lingua romena, ma quest’anno l’anniversario è ancora più sentito per la cifra rotonda dei 500 anni dalla sua emissione, il mezzo millennio trascorso ci trasmette il concetto di antico, lontano nel tempo. Ci fa sentire testimoni e custodi di una lingua nata tanto tempo fa e conservata in gran parte nella stessa forma, che veniva usata dalle persone di un altro tempo ed epoca, sulle stesse terre di adesso che calpestiamo all’interno della nostra nazione.
Non tutti però conosciamo i dettagli di questo documento, come la sua collocazione attuale, il posto esatto del suo ritrovamento e l’autore di questa scoperta, il nome del mittente e la motivazione della necessità di spedire questa lettera soprattutto in lingua romena. Nel tentativo di fare più chiarezza, mi sono imbattuta in una moltitudine di informazioni al riguardo che però, mi hanno sodisfatto la curiosità, alcune fonti di più alcune di meno, in ordine sparso come cronologia e non completamente aggiornate.
Provo perciò a stilare la storia della lettera più famosa della storia della lingua romena partendo dal presente e dal suo stato di conservazione attuale, passando per il novecento ed il momento del suo ritrovamento e arrivando in fine al suo autore.
La storia del primo documento in lingua romena, vecchio di 500 anni e conservato fino ai giorni nostri, inizia per caso, come tutte le storie belle, sorprendenti, che ti cambiano il corso della storia per sempre. Quelle in cui mentre lavori su un certo argomento, ti accorgi che in mezzo c’è un aspetto di fondamentale importanza per un altro campo di lavoro. Quelle in cui prendi una strada convinto della giusta direzione ed a metà strada ti si apre un altro mondo. Oppure quelle in cui le migliori scoperte scientifiche sono state realizzate a causa di errori fortunati.
Per capire meglio come sono andate le cose 500 anni fa, quando è stata scritta la testimonianza della nostra lingua, già esistente oralmente all’epoca ma purtroppo non pervenuta fino a noi sotto forma scritta, bisogna fare un salto nel tempo e fare l’uso dell’immaginazione per immergerci nella vita quotidiana di allora, in ogni dettaglio sociale, economico, culturale.
Il documento originale venne conservato, dal suo ritrovamento fino ad oggi, nell’Archivio Nazionale della Romania del comune di Brasov, situato nella regione storica Transilvania che costituisce la parte centrale ed occidentale della odierna Romania. Quindi se vogliamo vederla da vicino per la sua unicità oppure consultarla in formato elettronico tramite questa organizzazione che mette a disposizione del pubblico una ricca raccolta di documenti medievali anteriori all’anno 1600, basta cercare la “Collezione di documenti Stenner – Serie 1 Slavo Romena numero 472”.
Il nome “Collezione di documenti Stenner” salta agli occhi per il suo nome straniero in terra romena, infatti porta il nome dell’archivista e storico della città di Brasov, Friedrich Wilhem Stenner. Nato a Brasov da coloni tedeschi, Stenner si prende il titanico impegno di mettere a posto il disordine del materiale di archivio che trova al suo arrivo nel 1878 come archivista della città. Riconosciuta come la prima persona a prestare la dovuta attenzione a questi documenti estremamente preziosi per la testimonianza degli stretti legami tra gli stati vassalli di Valacchia e di Transilvania nel corso del Medioevo, è stato talmente bravo nel suo lavoro che l’ordine introdotto per la classificazione dei documenti è tuttora ampiamente valido, compresa la sua divisione in due serie di lingue ben distinte: la serie latino-ungherese-tedesca e la serie slavo-romena.
Ad un certo punto del suo lavoro, precisamente nel 1894, Stenner si accorge di una lettera particolare che gli attira l’attenzione più degli altri documenti, per la scrittura ed i caratteri contenuti: aveva davanti agli occhi una lettera del XVI secolo e poco dopo si rende conto di aver scoperto quello che diventerà il documento più antico della sua collezione in lingua romena. Decide di consultarsi con due ricercatori romeni per avere la conferma della sua scoperta, in seguito collabora con il grande storico romeno Nicolae Iorga nelle ricerche sulla storia dei romeni e alla raccolta delle fotografie dell’epoca in una collezione oggi di grande valore.
“Il transilvano Friedrich Stenner, che conosceva alla perfezione il deposito dell’Archivio, mi faceva spazio per poter lavorare vicino alla sua scrivania dove svolgeva il suo dovere burocratico, affettava le sue due mele ogni giorno alle dieci in punto e mi offriva un quarto di mela, che riteneva una proporzione giusta al mio sforzo lavorativo, mai con un minimo impegno di fare conversazione da bravo conoscitore esperto del valore prezioso del tempo nel lavoro – all’interno dei documenti, principi e boiari arrivavano, vivevano le loro vite, se ne andavano, combattevano nelle guerre di potere, ricevevano regali di riconoscimento del loro potere, tutto sotto gli occhi e le mani degli scribi che segnavano la loro cronologia.” (Nicolae Iorga, “Una vita di un uomo così come è stata”)
In qualità di archivista della città, Stenner ci trasmette la significante lezione di vita di come la storia ci insegna che il materiale archiviato contiene dati preziosi che aiutano i ricercatori di storia locale e aiutano tuti noi a capire il percorso che abbiamo fatto per arrivare fin qui.
Per tutti i romeni, è divento “l’uomo che ha scoperto l’atto di nascita della lingua romena”, ma il suo enorme contributo alla scienza archivistica romena lo colloca tra le sue più grandi personalità ancora oggi per i suoi servizi all’utilizzo di materiale di origine storica dagli archivi, per le sue conoscenze del passato e per il suo amore per la patria, senza il quale non sarebbero stati possibili i suoi successi lavorativi.
Lo storico Nicolae Iorga ha dedicato il suo tempo per tutta la vita senza interruzione alla ricerca storica, setacciando tutte le regioni abitate da romeni alla ricerca di fonti storiche, altrettanto gli archivi più importanti del mondo, con lo scopo di mettere insieme materiale prezioso per la sua nazione. In seguito a tante ore di studio su grandi quantità di testi storici, per stabilire la data di emissione della lettera, perché al suo interno non viene menzionata, è arrivato alla conclusione, in base al contesto storico vissuto dai protagonisti, che potrebbe essere il 29/30 giugno 1521.
Pubblicata per la prima volta in latino nel 1910 da Iorga – il punto della sua ricerca, spiegò, era quello di mostrare “la nazione stessa come un essere vivente”:
“Con la lettera di Neacsu di Campulung, sono riuscito a datarla nel 1521 osservando che è la prova di un’abitudine antica di scrivere in romeno, si dà l’inizio, con questa traccia preservata, dell’uso della lingua nazionale” (Rivista storica, fondatore N. Iorga, 1942)
Iorga ha scoperto diversi documenti letterari dimenticati, imperfetti nella maggior parte dar punto di vista estetico, banali come forma e contenuto, ma che si dimostrano estremamente importanti dal punto di vista della ricerca della storia della cultura romena. Basta dire che lui ha fatto per il XVIII secolo in Romania quello che ha fatto Bruckner per il XVII secolo in Polonia, cioè ha scoperto orizzonti fino ad allora inimmaginabili della vita sociale del popolo romeno.
“Le prime scritture in lingua romena sono stati i documenti ufficiali (testamenti, atti di dotti, atti di compravendita, lettere o annotazioni personali). Esistono tanti di questi documenti per poter capire come si sono evolute le cose, ma il primo documento attestato in lingua romena (tra tutti quelli che sono riuscito a scoprire, almeno fino adesso) è conosciuto con il nome “La lettera di Neacsu di Campulung”. Le prime opere importanti in lingua romena sono state le traduzioni dei libri religiosi, ma la sintassi era pesante ed ancora influenzata dalla lingua dalla quale si traduceva, la lingua slava antica (Rivista storica, fondatore N. Iorga, 1942)
Le traduzioni dei manoscritti religioni hanno significato il primo passo verso l’affermazione della lingua romena. Il secondo passo lo hanno costituito le tipografie e le scritture stampate che avevano un grande potere di circolazione in quanto venivano lette ogni domenica in chiesa, con la conseguenza di aver influenzato la lingua del popolo di tutte le zone abitate dai romeni (Valacchia, Transilvania e Moldova) in questo modo unificando la lingua romena come lingua nazionale.
La lettera
Nonostante la lingua scritta in Valacchia nel medioevo era la lingua dei testi sacri – lo slavo antico, che usava l’alfabeto cirillico, anche il romeno come lingua minoritaria stava iniziando a diffondersi, infatti la lettera è scritta usando un romeno quasi identico a quello attuale. La scelta del romeno per comunicare una notizia tramite una lettera, inviata in un altro Principato romeno, insieme ad altri testi conservati dell’’epoca testimoniano la grande apertura culturale della città transilvana di Brasov nella promozione della diffusione della scrittura in romeno.
La lingua antica slava era non solo la lingua degli ecclesiastici, la lingua che si usava per leggere la liturgia ed i libri di culto, ma era usata anche come lingua letteraria, nelle cronache storiche e nei documenti di legge, negli atti di proprietà, nella corrispondenza diplomatica ed in quella privata. Nonostante ciò, lo slavo non era conosciuto soltanto da pochi specialisti, dai calligrafi o dai preti. L’antico slavo era la lingua della classe dominatrice, della corte reale, dei boiari e di alcuni dipendenti ed anche dei negozianti benestanti, come lingua di cultura e per distinzione sociale.
“Nelle chiese non era permesso leggere i libri sacri in altre lingue che in quella ritenuta santa, lo slavo antico. […] I primi libri stampati, tra il 1508 ed il 1512, di cultura e d’arte, hanno sicuramente la stessa importanza significativa nella formazione del nostro popolo come le vittorie contro i nemici, perché gli ostacoli sulla via di cammino per un popolo sono costituiti non solo dal nemico umano, ma soprattutto dal nemico ancora più terribile, quello del buio della conoscenza e lo sviluppo delle nazioni non può essere possibile senza combatterlo […] In seguito, non molto dopo, si inizia la stampa dei libri di carattere religioso con la traduzione dallo slavo antico al romeno – questi libri significano per noi l’inizio dell’introduzione nei libri che si leggono e si diffondono della lingua romena, che fino a quel momento era utilizzata solo nelle lettere private e in annotazioni sui bordi dei libri in slavo. […] una lunga serie di libri in romeno eliminano completamente lo slavo dalla chiesa.” (Nicolae Iorga, “La storia dei romeni”, 1919)
L’autore della lettera è Neacsu Lupu (Neacsu il Lupo) di Campulung Muscel (Il Campo Lungu della Collina – Dlăgopole nella lettera, il nome slavo della città).
Nel XVI Secolo, Campulung era la capitale della Valacchia, il Principato romeno vassallo dell’Impero Ottomano al quale pagava un tributo pur rimanendo autonomo, che copriva tutto il sud della Romania odierna, dal Danubio fino ai Carpati ed era governata dal fondatore del Principato, Neagoe Barasab I, grande guida che ha portato alla Valacchia un certo equilibrio politico – sociale, facilitato da una congiuntura politica internazionale favorevole, puntando sull’organizzazione interna del Principato romeno portandolo sul piano economico, amministrativo e culturale ai livelli degli altri stati europei. Persona colta, Basarab si è dimostrato anche un protettore dell’arte e della cultura romena, durante la sua guida la Valacchia è diventata il centro dell’ortodossia ed un importante focolaio culturale della tradizione bizantina.
“Nella lunga valle che si apre nelle vicinanze del fiume Dambovita, gli ungheresi stabiliscono una colonia nel “paese oltre la montagna” e la chiamarono Campulung, prendendo il nome dalla forma del terreno. Qui vissero tanti ungheresi e sasi (lavoratori tedeschi nelle miniere, il nome si estende poi a tutti i coloni tedeschi sul territorio romeno).” (Nicolae Iorga, “La storia dei romeni”, 1919).
Neacsu, originario di Campulung, svolgeva la sua attività di commerciante sia all’interno della Valacchia sia all’estero, nell’Impero Ottomano ed in Transilavania. La sua rete di contatti di lavoro all’estero, tramite altri commercianti e tramite i suoi collaboratori che viaggiavano per suo conto, gli hanno permesso di avere informazioni importanti e continue sullo sviluppo delle azioni dei paesi confinanti, azioni a livello interno ma anche iniziative esterne.
I rapporti commerciali tra le tre regioni romene avvenivano attraverso tre grandi città – Sibiu, Brasov e Bistrita – che godevano di uno sviluppo economico maggiore e una posizione geografica favorevole. Il commercio di Sibiu era indirizzato verso la Valacchia, quello di Bistrita verso Moldova e quello di Brasov sia verso Valacchia sia verso Moldova, quindi Brasov ha rappresentato un punto cruciale per il commercio delle tre regioni ed un luogo di incontro dei commercianti di queste regioni, che si scambiavano informazioni anche che non riguardavano il commercio, come i cambiamenti politici o possibili invasioni esterne. Anche l’attività di stampa dei testi scritti in romeno è legata sempre alle relazioni commerciali con le regioni vicine che manteneva la città di Brasov, come mercato centrale di vendita e approvvigionamento di merci di ogni genere. Questo significa che l’importante centro della rivoluzione culturale romena è stato questo centro di collegamento tra i tre Principati romeni. La tipografia guidata da Coresi (il primo tipografo romeno) è stata portata dalla Valacchia in Transilvania ed era destinata alla diffusione dei testi stampati anche in Moldova.
“Qui, in Valacchia, si trova un grande numero di negozianti romeni, che fanno commercio con prodotti locali: il pesce principalmente, ma anche il miele, la cera e forse la lana. Famoso il negoziante Neacsu Lupu di Campulung, il quale ci ha lasciato la prima lettera in lingua romena, la quale annuncia nel 1521 a Brasov, in una lingua romena pulita, i movimenti dei turchi nei presi del Danubio. Deteneva queste informazioni direttamente da alcuni abitanti di Nicopoli, non dai turchi, ma probabilmente dai propri collaboratori che attraversano il Danubio sulla riva destra (in Bulgaria) per motivi di commercio. Lui stesso conosceva in dettaglio i luoghi delle Porte di Ferro occupati dai turchi, “quel posto stretto, che conosci già” – scrive nella lettera al corrispondente di Brasov – specificando che “alcuni mastri di Taringrad (nome slavo di Constantinopoli)” sono stati assunti a passare le navi di guerra oltre il fiume. Evidentemente era in stretti rapporti con i boiari da oltre il Danubio. Anche il genero del vecchio negoziante, Negre, forse anche lui negoziante, lavorava in quelle zone e gli trasmetteva le notizie raccolte. Neacsu (detto anche Neagu) faceva commercio con il pesce (carpe, luccio), tappeti, taffetà, astar (tessuto spesso per il rivestimento dei cappotti), damascato, pepe, incenso (in collaborazione con altre persone), ma anche di cappotti, seta, cinture, uva, riso.” (Nicolae Iorga, “La storia del commercio romeno”, 1925)
La ragione per cui Neacsu decide di scrivere una lettera ad un rappresentante del Principato confinante della Transilvania, più precisamente a Hans Bruker, jude di Brasov -corrispondente ad un attuale sindaco – ed al quale, nell’incipit della lettera, mostra grande rispetto, potrebbe essere il rapporto di fiducia che si era istituito nel tempo tra di loro, per motivi di interesse comune: in cambio di informazioni dall’estero, la libertà di commercio e favori oppure semplicemente un rapporto di amicizia in seguito ad una compravendita. Comunque si fa uso di un tonno familiare, quasi come se fosse un dialogo orale, sicuramente non era la prima lettera che si scambiavano su questo argomento e si deduce dal fatto che al posto di alcuni termini si usa l’espressione “sai di cosa parlo”.
Il testo translitterato dal cirillico e tradotto in italiano
“Al saggio e nobile e benedetto da Dio, grande boiaro Hans Benkner da Brașov, tanta salute da Neacșu da Câmpulung. Ancora do notizia a tua signoria circa la faccenda dei turchi, come ho udito io che l’Imperatore è uscito da Sofia, e altrimenti non è, ed è andato su per il Danubio. E ancora sappi tua signoria che è venuto un uomo da Nicopoli che a me ha detto che ha visto coi suoi occhi che sono passate quelle navi che sai anche tua signoria sul Danubio in su. E ancora sappi che mettono da tutte le città 50 uomini a ciascuna affinché siano di aiuto nelle navi. E ancora sappi come sono stati presi dei mastri da Taringrad (Costantinopoli), siccome passeranno quelle navi da quel luogo stretto che conosci anche tua signoria. E ancora dico a tua signoria della faccenda di Mehmet beg, come ho udito da boiari che sono vicini, da mio genero Negre, come l’Imperatore ha dato libertà a Mehmet beg per dove sarà sua volontà, attraverso la Valacchia, di passare oltre. E ancora sappi tua signoria che ha anche Basarab grande paura di quel malintenzionato di Mehmet beg, più delle vostre signorie. E ancora dico a tua signoria, come mio superiore, cosa ho sentito anch’io. Lo dico a tua signoria e tua signoria sei saggio, perciò queste parole le tenga tua signoria presso di te, che non sappiano molte persone, e la vostra signoria che vi guardiate come meglio sapete. E Dio ti rallegri, amen.”
La notizia urgente che vuole far conoscere al destinatario, che la comunica subito dopo il saluto è l’invasione a sorpresa dei turchi nella Valacchia e in Transilvania: Solimano il Magnifico, il Sultano dell’Impero Ottomano del 1521 ed il più grande Sultano di tutti i tempi, ha lasciato la residenza di Sofia e si è messo in marcia verso la Valacchia. Si tratta della grande campagna di conquista che è durata cinque anni ed è terminata con la battaglia di Mohacs, ma grazie allo spirito di precisione ed organizzazione del Sultano che teneva un diario molto dettagliato possiamo provare quasi con certezza la data della lettera di Neacsu, cioè il 29 o il 30 giugno 1521 quando da ordine al suo esercito di mettersi in marcia da Sofia.
Il messaggio è chiaro, conciso, corsivo, scritto in grande fretta, solo gli aggiornamenti sulla situazione che tengono sotto occhio da un po’ di tempo e che sembra essere arrivata ad un punto di svolta, quindi risulta anche la preoccupazione per la sorte del jude transilvano e raccomanda di stare allerta e di confidare nella sua saggezza per prepararsi meglio che può al peggio.
L’autore della lettera tiene a precisare che tutto quello che ha saputo ultimamente sono voci che circolano da bocche di poche persone, come i nobili del suo Principato. Ma ha anche informazioni certe, garantendo la loro autenticità, perché arrivano da suo genero e da un suo collaboratore, di ritorno dall’Impero Ottomano, dalla città di Nicopoli – città della Bulgaria, sulla riva del Danubio – gli riferisce di aver visto con i propri occhi il passaggio dell’esercito ottomano sul Danubio con le navi da guerra, sotto la guida di Mehmet Beg – il capo dell’esercito del Sultano – e con l’autorizzazione del Sultano di proseguire sul fiume fino al punto di ingresso in Valacchia ed oltre la Transilvania.
Sembrerebbe che si tratti di un segreto, perché raccomanda di non far conoscere a nessuno il contenuto della lettera, in pochi conoscono la notizia ed hanno tanta paura, compreso Basarab, quindi consiglia di prepararsi ad un eventuale attacco.
Infatti, sappiamo che l’offensiva contro il Regato ungarico ha messo ulteriormente in gravi difficoltà non solo i paesi interessati ai turchi, ma anche i territori romeni, in quanto il passaggio non sempre gentile delle truppe straniere ha provocato un’instabilità politica e una parte della popolazione è stata costretta ad abbandonare la propria casa ed a rifugiarsi nei boschi per proteggersi dalle razzie e dalle violenze dell’esercito che marciava verso il fronte di guerra.
Il fatto che la lingua ufficiale per la burocrazia e per la religione era lo slavo ecclesiastico antico, ma negli ambienti privati si parlasse e si scrivesse il romeno ci fa pensare che sono esistiti tanti documenti purtroppo persi che avrebbero potuto documentare un’età ancora maggiore della nostra lingua. Anche perché il nome Neacsu di Campulung compare in un altro documento, dieci anni prima e quindi parlava sempre il romeno antico.
L’introduzione ed il finale della lettera ridate in slavo antico sono formule da protocollo, seguite dal contenuto delle informazioni importanti in lingua romena, come lingua usata tra amici o per renderlo incomprensibile se capitasse in mani sbagliate.
L’importanza del testo della lettera è doppia: dal punto di vista storico e da quello linguistico. Considerata dai filologi romeni la più vecchia testimonianza dello stile epistolario in lingua romena – con elementi del vecchio sistema di redazione delle lettere in lingua slava antica e con un lessico prevalentemente latino – la struttura e la morfologia della lingua usata da Neacsu non è molto diversa da quella attuale, anche se contiene elementi arcaici. Lo storico Iorga è convinto che le pratiche religiose fossero predicate in lingua romena molto prima delle prime traduzioni, sottolineando nella sua “Storia della letteratura romena” l’importanza del ruolo della chiesa nella diffusione e nello sviluppo di una lingua letteraria e nazionale unitaria.
Se tornassimo indietro nel tempo di 500 anni, nella “capitale della scrittura romena”, la Campulung di Neacsu, potremmo portare una conversazione con i nostri antenati nella stessa lingua che è arrivata da noi, poco cambiata nonostante le influenze slave, quello che non si può dire di altre lingue. Potremmo farci guidare a visitare il castro romano Jidava, testimonianza della convivenza dei daci e dei romani prima della nascita della capitale della Valacchia. E potremmo capire meglio come ha fatto la lingua daco – romana a tramandarsi immutata da generazioni sotto gli innumerevoli cambiamenti della storia.
“In nessuna lingua, probabilmente, alla voce del verbo “liberare” del dizionario non esiste una spiegazione come da noi: “dare la via” (in romeno, “a da drumul”). Quando usiamo abitualmente l’espressione “dammi la via”, non pensiamo di fatto al vero senso delle parole. Perché “dare la via”, come ci spiega il linguista e filologo romeno novecentesco Sextil Puscariu, significa indicare la via, nella fitta boscaglia di una foresta o all’incrocio di più vie, in qualsiasi posto ti troveresti. E se anche le nazioni si troverebbero nella boscaglia della storia o all’incrocio di vie altrui, allora si può dire che a noi, i romeni, la lingua latina ci ha dato / ci ha indicato la via verso l’unione come nazione […] Quando una lingua ti dà: l’origine, la forza di resistenza e la capacità di unione e di creazione di una nazione, quando ti dà la via / ti indica la via (verso altre lingue) e poi ti dà la via / ti libera da se stessa (non più in uso), allora è sempre lei che ti dice, qualsia via abbia intrapreso: Vita sine cultura quasi imago mortis est.” (Constantin Noica)
Articolo a cura di Lorena Curiman
Fonti:
L’Archivio Nazionale Medievale delle Romania http://arhivamedievala.ro/webcenter/faces/oracle/webcenter/page/scopedMD/sb1ac891c_2b6f_47a7_b1ce_e311bc50c24e/PortalHome.jspx?_afrLoop=12176608495441384#!%40%40%3F_afrLoop%3D12176608495441384%26_adf.ctrl-state%3D1di1igq2j9_4
Biografia Friederich Wilhem Stenner
https://kulturportal-west-ost.eu/biographien/stenner-friedrich-wilhelm-2
Medioevo in Romania
https://www.kosson.ro/restitutio/45-cultura-scrisa/407-scrisoarea-lui-neascu-1521
http://www.cimec.ro/istorie/neacsu/rom/default.htm
Ion Rotaru, Literatura română veche, Bucureşti, 1981
Nicolae Iorga, “Una vita di un uomo così come è stata”
Rivista storica, fondatore N. Iorga, 1942
Nicolae Iorga, “La storia dei romeni”, 1919
Nicolae Iorga, “La storia del commercio romeno”, 1925