di Marco Baratto
Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2005 sul giornale ‘Il Cittadino’. I problemi legati all’eventuale indipendenza e unità dell’Italia, così vivacemente discussi durante gli anni rivoluzionari e del Regno d’Italia, non ebbero eco nelle sale del Congresso di Vienna e l’ipotesi di uno status indipendente per la Lombardia, sostenuta da molti esponenti dell’illuminata aristocrazia milanese, non fu presa in considerazione dalle potenze vincitrici. Il mancato accoglimento delle richieste autonomistiche e indipendentiste alimentarono in buona parte degli italiani la necessità d’esprimere in altre forme il proprio dissenso.
Nacquero così le prime organizzazioni clandestine, le quali avevano per scopo la creazione di una Nazione Italiana libera e indipendente. Già nel dicembre del 1814, a Milano, la polizia austriaca dovette sventare un
tentativo insurrezionale guidato da ex ufficiali dell’esercito del Regno d’Italia e da una folta schiera di giovani intellettuali borghesi. Il tentativo, successivamente definito ‘congiura militare’ fallì, ma servì da modello per quelli che sarebbero venuti dopo. In tutti gli stati della penisola italiana, fra il 1818 e il 1830, s’intensificò l’attività delle società segrete. La carboneria, cosiddetta perché gli aderenti si incontravano nelle
rivendite di carbone e che poteva contare su numerosi associati, nel 1831 costituì, per opera di Giuseppe Mazzini, una società segreta chiamata ‘Giovane Italia’ la quale si definiva: ‘La fratellanza degli
italiani, credenti in una legge di progresso e di doveri; i quali, convinti che l’Italia è chiamata ad essere Nazione che può con forze proprie chiamarsi tale che il mal esito dei tentativi passati spetta, non alla
debolezza, ma alla pessima direzione degli elementi rivoluzionari, che il segreto della potenza è nella costanza e nell’unità degli sforzi, uniti in associazione, il pensiero e l’azione al grande intento di restituire l’Italia in Nazione di liberi e uguali’. Il pensiero di Mazzini non si limitava all’ambito italiano, con profetica
visione si allargava all’intero continente europeo, tanto da spingerlo a sostenere che: ‘Coi popoli aggiogati forzatamente al carro dell’Austria, coi popoli che devono essi pure rivendicarsi libertà e indipendenza. Sia
(…) la guerra delle nazioni. Levate in alto la bandiera, non solamente d’un interesse locale, ma di un principio, del principio che da oltre mezzo secolo ispira e signoreggia ogni moto europeo. Scrivete sulla
vostra le sante parole: per noi e per voi; e agitatela, protetta da tutte le spade che possono snudarsi in Italia, sugli occhi agli Ungheresi, ai Boemi, ai Serbi, ai Romani, agli Slavi meridionali, alle popolazioni
bipartite fra l’Impero Austriaco e il Turco’. Nel 1848 sull’Europa soffia il vento della libertà, una dopo l’altra,
rivoluzioni scoppiano a Parigi, Berlino, a Vienna, a Milano: anche i rumeni innalzano la bandiera rivoluzionaria e vogliono cambiare il paese. L’influenza del pensiero mazziniano sui rivoluzionari romeni in
maggioranza moldovalacchi , è riscontrabile nel dibattito che seguì dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1848/1849 e il credo e il frasario mazziniani, allora familiari alla classe politica e alla parte più evoluta del
popolo romeno, fecero sì che la proposta di Mazzini di una democrazia ‘Europea’ e i suoi progetti federalisti, figurassero al primo posto nei progetti delle società segrete romene nate ad imitazione della ‘Giovane Italia’. Del resto, da tempo emissari del Mazzini erano attivi in terra romena, che era la base di tanti piani e tentativi insurrezionali nell’Europa danubianobalcanica e in Polonia e i messaggi di Mazzini a coloro che egli non cesserà mai di chiamare ‘i suoi amici di Bucarest’, parlano di ‘concordanza di dottrina, identità di fini e ricerca assidua d’operosa concordia’. Dopo la parentesi rivoluzionaria, l’attività svolta in esilio dai liberali radicali romeni mirava a promuovere la cultura politica democratica e
repubblicana e, al ritorno in patria, le più belle pagine del loro giornale ‘Românul’ vennero dedicate all’illustrazione delle tesi mazziniane. ‘La Giovane Romania’ collaborò, fin dalla nascita, con il ‘Comitato di
Londra’ e partecipò alle iniziative dell’Alleanza Repubblicana Universale. Tra i fondatori: Nicolae Balcescu, Constantin Rossetti, i quattro fratelli Golescu, i due Bratianu, tutti fervidi d’ingegno e operosità nella loro fede europeistica. Identificando in Mazzini la guida indiscussa del movimento per la trasformazione della carta geografica e dello spirito dell’Europa, Dimitru Bratianu, quale rappresentante dei Romeni nel Comitato
Democratico Europeo, andrà a Londra per conoscerlo e stargli vicino. Mazzini che riconosceva ai romeni un ruolo particolare nella futura Europa, scriveva per l’appunto: ‘Tutte le nazioni erano uguali, dotate di
una missione e con il sacro diritto dell’iniziativa rivoluzionaria. Per quello che riguardava la razza romena, […] era chiamata a fare il collegamento tra la razza slava e quella grecolatina ‘. Ricordiamo che, al pari di quello italiano, il popolo romeno era frammentato tra Stati diversi e non tutti i patrioti romeni seguivano la stessa linea. I movimenti insurrezionali del 1848, vedevano avanzare richieste diverse da regione a regione. In Valacchia, si chiedeva la fine del protettorato russo e del ‘Regolamento Organico’, e la sua sostituzione con la Costituzione Nazionale. In Moldavia, bastavano alcune semplici riforme del
‘Regolamento Organico’. In Trasilvania, che dopo la pace di Carlowitz era stata annessa all’Impero d’Austria, si chiedeva parità con le altre nazionalità dell’impero e soprattutto di non essere uniti con un eventuale stato magiaro. Divisioni e beghe tra i rivoluzionari romeni, tanto simili a quelle tra italiani, fecero
fallire entrambi i movimenti insurrezionali del 1848,1849 e 1853 e furono giudicate con severità sia da Mazzini sia dal romeno Costantino Rossetti. ll primo, nel 1850, nello scritto ‘Foi et Avenir’ sosteneva ‘mancanza di organizzazione, di unità, lotte meschine tra i vari gruppi politici sono all’origine del fallimento della nostra impresa’. Mentre, nel la contemporanea ‘Cronica politica’ del Rossetti, emerge un’interessante
parallelismo, infatti, il patriota romeno sosteneva: ‘Milano, Venezia, Roma e le altri parti dell’Italia, invece di sollevarsi insieme tutte d’un colpo, rovesciando tutti gli imperatori, di proclamare la Repubblica
Italiana, una sola stanza e un solo governo popolare e repubblicano, si alzarono a turno… Così, anche noi romeni ci alzammo solo in parte e a turno’. Nel giugno 1850 è organizzato, a Londra, il Comitato Centrale
Democratico Europeo, che prova a rapportarsi con gli esuli romeni e quelli ungheresi, nel tentativo di mediare le dispute create dal problema delle nazionalità in Ungheria e, nel 1851, lancia il famoso appello ‘Alle popolazioni romene’ firmato, oltre che da Mazzini, anche da Ledru Rollin e da Darasz che, tra l’altro, dice: ‘Il popolo romeno, avanguardia della razza grecolatina, è chiamato a rappresentare in Europa orientale il ponte con le nazionalità slave e il principio della libertà individuale e del progresso collettivo che ci definisce noi, europei, come apostoli dell’umanità’. Nemici degli slavi, degli ungheresi, degli italiani, dei greci e dei rumeni sono l’Imperatore d’Austria e lo Tzar. Il futuro appartiene ai popoli liberi e le controversie verranno risolte da un congresso in cui questi saranno ‘equamente’ rappresentati. I rapporti tesi tra le
nazionalità danubiane verranno normalizzati dalla costruzione della confederazione. ‘La grande confederazione danubiana sarà cosa dei nostri tempi. Quest’idea vi deve guidare le azioni. Il ponte di Traian, con le sue basi sulle sponde del Danubio, è il simbolo dello stato attuale. I nuovi ponti saranno realizzati con le vostre mani. Ecco il vostro compito per il futuro ‘. L’appello, appartenente a C. A. Rossetti, è tradotto in lingua romena in cirillico e latino e viene pubblicato, grazie a I. C. Bretianu e a D. Florescu, da ben dieci giornali parigini. Sulla stampa italiana appare (il 3 luglio e l’8 d’agosto) su la ‘Voce del deserto’ e nel supplemento di luglio agosto de ‘Italia e il popolo’. L’interesse di Mazzini per la causa romena
non viene meno neppure negli anni successivi e, sia nel 1859, ma anche nel 1866, l’apostolo dellla libertà dei popoli, tornerà ad interessarsi della Romania. La sua attenzione è stimolata dal profilarsi, proprio nel 1866,
di un nuovo scontro tra Italia e Austria. Alla vigilia della terza guerra d’indipendenza per liberare le terre venete ancora soggette all’Austria, Mazzini chiede al Governo Italiano di stringere alleanza, non con la con la Prussia, ma: ‘Coi popoli aggiogati forzatamente al carro dell’Austria, coi popoli che devono essi pure
rivendicarsi libertà e indipendenza. Sia (…) la guerra delle nazioni. Levate in alto la bandiera, non solamente d’un interesse locale, ma di un principio, del principio che da oltre mezzo secolo ispira e signoreggia
ogni moto europeo ‘. E dopo la guerra ripete che: ‘L’Austria aveva in Italia 150.000 uomini. La guerra prussiana le vietava, checché accadesse, di aggiungerne uno solo. E non basta. Al di qua e al di là
della Alpi Dinariche, al di qua e al di là della Sava, lungo il Danubio, lungo la catena dei Karpathi, in Ungheria, in Galizia, in Boemia, nella Serbia, che ha metà dei suoi sotto l’Austria, nei Romani, che hanno gran parte dei loro in Transilvana, nel Bannat, in altre provincie austriache, negli Slavi meridionali che anelano a costruire una Grande Illiria, l’Italia aveva alleati presti, desiderosi, chiedenti una nostra parola, una nostra parola, una nostra mossa d’aiuto’. L’amore del Mazzini verso la causa della libertà dei popolo italiano e di quello romeno è bene testimoniata dall’articolo scritto dal patriota rumeno Dimitru Bartinau dopo la sua
morte: ‘Ho il diritto, mi sento in dovere di dire a chi non abbia avuto la fortuna di conoscere Mazzini di persona, cosa sia stato quel grande uomo che per quasi mezzo secolo personificò il movimento di
emancipazione di tutti i popoli. Mezzo secolo durante il quale tutti coloro che lottavano per la libertà e la nazionalità ovunque venivano chiamati mazziniani, mezzo secolo durante il quale il mondo conobbe due sole
potenze, due bandiere: Mazzini, vessillo di libertà, lo zar Nicola, simbolo di dispotismo. Le circostanze fecero sì che io conoscessi quasi tutti gli uomini della rivoluzione e della diplomazia europea e che anche
lavorassi con alcuni di loro. In tanti ammirai le doti del cuore e dell’intelligenza; ma tutti avevano anche i difetti opposti a tali doti. Ciascuna di quelle grandi individualità aveva sì degli aspetti luminosi, ma anche dei nei e dei lati oscuri. In Mazzini trovai l’essere più completo, più armonico; solo in lui trovai riunite tutte le qualità, anche quelle che solitamente si escludono. Mazzini era gracile di complessione, ma robusto e forte; mai lo vidi malato. La sua figura pareva scolpita nell’acciaio; aveva tratti di regolarità classica e di grazia
moresca. I pensieri non lo abbandonavano un solo minuto e lo rendevano malinconico, ma la sua coscienza serena e la sua grande fede nell’avvenire dell’Italia avevano raccolto nel suo cuore un fondo
infinito di letizia, e appena gli rivolgevi la parola, in un istante, senza il ben che minimo sforzo, il sorriso gli si levava sulle labbra, la fronte gli si rasserenava, gli occhi gli lacrimavano di speranza, e in un linguaggio
pieno di vivacità parlava per delle ore intere e il volto gli si illuminava; il suo eloquio si animava man mano che avvertiva come crescesse la comunanza di idee e di sentimenti tra lui e l’interlocutore: il che
succedeva quasi sempre’.
IDEALI CONTRO IL RAZZISMO
Le parole sono uno splendido omaggio all’Uomo e al suo amore per la libertà, permettendomi di ricordare gli antichi legami esistenti tra Italia e Romania, nazione che, nata dall’unione dei legionari romani
dell’Imperatore Traiano con le popolazioni locali, fu sempre fieramente Latina, Cristiana ed Europea. Soprattutto oggi, di fronte a crescete razzismo e intolleranza, dovremmo riscoprire questi legami che
uniscono gli italiani ai romeni. Infatti, è solo attraverso la comprensione e la riscoperta della storia comune che possiamo gettare le basi di una vera integrazione.