Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Intervista con la proffesoressa e storica Bianca Valota, Università degli Studi di Milano

Nov 29, 2009

“La storia romena, purtroppo assai poco e male conosciuta in Italia, è davvero molto interessante”.

Bianca Valota

Le sue origini sono per metà romene. Anche se lontana dalla Romania, come professoressa e ricercatrice all’Università degli Studi di Milano si è dedicata a far conoscere in Italia – paese molto amato da suo nonno, il grande storico Nicolae Iorga – i momenti rilevanti della storia del popolo romeno. Quando ha compreso che era questa la sua missione? Perché tutti questi anni di sforzo sostenuto?

Fin da piccola mi è stato ricordato da mia madre, molto legata al suo paese e alla tradizione di famiglia, che ero nata in Romania, che ero per metà romena. Anche mio padre, italiano, amava molto la Romania, dove aveva vissuto per alcuni anni, affezionandosi molto al paese. Era del tutto naturale che i miei interessi di studio mi portassero in quella direzione – e la storia romena, purtroppo assai poco e male conosciuta in Italia, è davvero molto interessante. Le ho dedicato lavori relativi sia alla storia agraria e ai processi di modernizzazione, sia alla storia della storiografia, e ho fondato trenta anni fa un Centro di Studi dedicato in particolare alla storia di quel paese, che ha svolto un’attività molto intensa e prolungata, nota sia in campo italiano, sia in campo internazionale.

Parlando dell’attività del grande storico romeno Nicolae Iorga, vorrei rilevare la sua visione sul ruolo attivo dello storico nella scena politica: una visione ampia, aperta, che purtroppo gli è costata la vita in un contesto politico infelice. Nel suo libro dedicato a Nicolae Iorga (Nicola Iorga, Napoli, Guida 1977) sono riportate le sue parole: “noi dobbiamo partire dalla società contemporanea e ritornare ad essa”…

Certamente mio nonno ha concepito per tutta la sua vita uno stretto legame tra la sua attività di ricerca come studioso e la sua attività politica, nella quale era entrato per difendere i contadini che tanto amava in occasione della grande rivolta del 1907, ed era animato da un profondo amore per il suo paese. Non a caso ha voluto rimanervi fino alla fine, pur sapendo bene che cosa lo aspettava, essendo stato minacciato di morte in mille modi da quell’estrema destra nazionalista che egli aveva denunciato dagli inizi degli anni ’20, rifiutando con disprezzo i legami tra il suo nazionalismo democratico e quello che si sarebbe tradotto nelle sanguinarie formazioni politiche dei legionari filonazisti. Come presidente del Consiglio dei Ministri, egli dissolse il partito di Codreanu. Per tutte queste ragioni rifiutò gli insistenti inviti dei colleghi francesi che allo scoppio della seconda guerra mondiale, di fronte all’espandersi dell’influenza di Hitler, avrebbero voluto che si rifugiasse a Parigi. Nel secondo dopoguerra purtroppo in Romania la ‘militanza politica’ ha assunto forme orribili con l’imposizione al paese, sotto le pressioni sovietiche, di un regime comunista che inizialmente arrivò a portare ad uno snaturamento della stessa lingua romena. Successivamente, con il regime di Ceausescu, si assistette ad un altrettanto sciagurato corso nazionale comunista che non a caso ha visto l’afflusso e la partecipazione di tanti ex legionari, all’insegna della lotta contro quelle tradizioni liberal democratiche che pure avevano avuto una storia, nel paese. Da qui le sinistre tendenze nazionaliste che oggi allignano in Romania nelle formazioni politiche antidemocratiche sia di una estrema destra che addirittura, nella speranza di ottenere una legittimazione, è arrivata a cercare di tracciare qualche connessione, del tutto infondata, con il pensiero e l’eredità di mio nonno, sia in residue formazioni comuniste che nutrono nostalgie nei confronti della ‘via nazionale al comunismo’ di Ceausescu. Una simile situazione ha potuto portare molti, com’era ovvio, al discredito verso ogni forma di sentimento nazionale, ad una ‘corsa verso l’Europa’ che tende eccessivamente a mettere in ombra la propria identità e la propria storia, ed a una visione troppo negativa di sè, per cui la – giusta – sottolineatura dei difetti nazionali viene oggi in Romania spesso assolutizzata e portata all’eccesso, come se tanti di quei difetti non fossero in verità comuni a tutti i paesi usciti dalla sciagurata eredità del regime comunista. Per questo penso che, tramite un’azione delicata, serena e obiettiva, agli storici spetti anche il compito di ricordare in maniera equilibrata cosa sia stata e sia la storia romena, e portarla ai giovani di oggi.

Una cosa cara, quando si parla di Nicolae Iorga, è costituita dal suo rapporto con l’Italia. Ha amato l’Italia e la sua presenza molto attiva e proficua ha generato iniziative importanti. Basta parlare dell’Istituto Culturale Romeno di Venezia, Istituto di grande importanza. Qual è la percezione degli storici italiani quando si tratta del grande storico romeno, visto che i suoi interessi si sono indirizzati anche verso la storia del popolo italiano?

Certamente Iorga ha avuto sin da giovanissimo un grande amore per l’Italia, che lo ha portato non solo a porla fra i suoi più importanti temi di ricerca, ma anche a fondare, insieme a tanti suoi colleghi ed amici come Parvan o Murgoci, istituzioni culturali come la Casa Romena di Venezia e l’Accademia di Romania in Roma; istituzioni che prima della guerra hanno avuto un ruolo importante sia nella formazione di molti dei migliori storici romeni, sia nella conoscenza reciproca tra i Romeni e quegli Italiani che allora arrivarono ad una conoscenza della Romania e della sua storia in proporzione assai migliore di quella che non si possa registrare oggi nella nostra Penisola. Una volta caduto il regime comunista, si è assistito a diversi tentativi di ridar vita a queste fondazioni; molti sforzi, che purtroppo tuttavia non sempre hanno trovato non solo un sostegno adeguato, ma soprattutto uomini capaci di condurre le iniziative necessarie. Qualcosa si è fatto, ma molto resta ancora da fare, soprattutto dal momento che, dopo la scomparsa di quella generazione di studiosi che, come Angelo Tamborra, aveva avuto prima della seconda guerra mondiale intensi rapporti con la cultura romena, fra coloro che in Italia si occupano di questi problemi gli specialisti seri sono davvero estremamente pochi, mentre invece alligna, anche per motivi politici, una genia di ‘studiosi’ certamente non dotata di una adeguata preparazione scientifica.

In genere si parla tanto delle relazioni interculturali romeno – italiane, dello spirito che ha animato i due popoli, a partire dal Medioevo. Potrebbe accennare ad alcuni fatti storici che dal suo punto di vista sono significativi in questo senso?

Ho avuto già occasione, in alcuni dei miei scritti, di sottolineare come i rapporti fra Italiani e Romeni abbiano avuto nel passato un ruolo spesso molto più importante di quello che ci si ricorda oggi di menzionare – fino alla fine del XVIII secolo di ben maggior rilievo rispetto ai rapporti con quella Francia che ancor oggi si tende spesso a presentare come una ‘protettrice privilegiata’ della Romania. Ma ancora tra Ottocento e Novecento, a ben vedere, è impressionante registrare le analogie in politica estera: dalle ragioni della scelta dell’ingresso nella Triplice Alleanza alla decisione di pronunciarsi per la neutralità in occasione dello scoppio della I guerra mondiale – per poi passare nel campo dell’Intesa.

Avete affermato che il ventesimo secolo è stato un secolo di grandi ideologie di destra e di sinistra, ma anche di grandi crisi. Come sarà, per lei, questo nuovo secolo?

Il futuro, come sempre, dipende da noi: ci siamo battuti per secoli per la democrazia, ma non dobbiamo dimenticare che essa diventa ben poca cosa se non è sostenuta da cultura e maturità politica.

Avete approfondito nei vostri studi il fenomeno storico europeo. Che significato ha questa testimonianza culturale europea caratterizzata da una bella diversità? Cosa pensate del processo d’allargamento europeo?

Questo è stato certamente – e spero che continui ad essere – un aspetto fondamentale e prezioso della tradizione europea: ed è una diversità della quale io sottolineo soprattutto il pluralismo culturale e politico. Europa orientale, Europa centro-orientale, Mitteleuropa, Zwischeneuropa, Sud-Est europeo, Europa Balcanica…: poche aree dell’Europa – o loro parti – hanno assunto tanti nomi, e sono state viste nella storia con prospettive così varie, con intenti e mire tanto divergenti. Il modo in cui il nostro Continente ha cercato di dare una stabile organizzazione a questa zona dai confini mutevoli costituisce uno dei capitoli fondamentali della nostra storia.

Quali sono stati i suoi interessi nel campo della ricerca storica?

I miei temi prediletti di ricerca sono i processi e i problemi della modernizzazione (dalla storia agraria e dalla storia dei movimenti contadini – volumi come L’Ondata Verde, o Questione agraria e vita politica in Romania – ai rapporti fra storia sociale e movimenti nazionali – temi che ho spesso trattato nella prospettiva del rapporto fra Est e Ovest d’Europa). Si tratta di temi che io continuo ad approfondire anche in quanto Sécrétaire Général della Commission Internationale des Etudes Historiques Slaves del Comitato Internazionale di Scienze Storiche.

Altro campo importante d’interesse è per me la storia della storiografia, a cui ho dedicato varie pubblicazioni, e per la quale ho nel 1981 fondato una Commissione Internazionale di Storia della Storiografia del Comitato Internazionale di Scienze Storiche, con la sua la rivista internazionale Storia della Storiografia – Histoire de l’Historiographie –History of Historiography-Geschichte der Geschichtsschreibung.

‘Intervista tratta dal volume: ‘Personalità romene in Italia‘, di Violeta P. POPESCU, Edizioni dell’Arco, Milano 2008.

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