Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Eminescu l’esegesi italiana (1), Doina Derer

Gen 15, 2012

Anniversario del poeta nazionale Mihai Eminescu (15 gennaio 1850 – 15 giugno 1889)

In occasione dell’aniversario del grande poeta romeno Mihai Eminescu presenteremo in due parti lo studio complesso e approfundito scritto dalla prof.ssa Doina Condrea Derer è pubblicato nel volume ”Mihai Eminescu, Antologia Critica”, editura Anima Milano-Bucuresti 1993.

Se la cultura letteraria romena moderna seppre raggiungere livelli di qualità e di espressione fra I più alti in Europa fin dalla fine del seclo scorso, per toccare vertici di grande varietà ed interesse soprattuto nella poesia del periodo interbellico, ciò si deve in maniera sostanziale all’opera di un precoce e grande poeta e letterato: Mihai Eminescu. Egli seppre fondare la lingua poetica moderna del suo “giovane paese”, ed insieme portarla ad un livello di forza, di maturità e di richezza esspresiva insuperati” (Mihai Eminescu, Antologia critica a cura di Doina Derer, 1939).

Eminescu e l’esegesi italiana

Doina Condrea Derer

Le numerose rassegne (Ottima quella offerta da Stefan Cuciureanu nel volume curato da Radu Boureanu , Eminescu in critica italiana, Junimea, Iasi 1977) dei momenti che delineano la fortuna di Eminescu in Italia hanno fissato ormai alcune date, a partire dalla prima quando Marco Antonio Canini accoglieva tre liriche del Nostro nell’antologia “Libro dell’amore”. (V. Marco Antonini Canini, Libro dell’amore, Venezia, 1885-1890, vol.IV)

Quante volte e in che forma (di traduzione o di ogetto di studio) l’opera di Eminescu sia tornata nel paese di Leopardi e di Manzoni nei primi otto decenni del nostro secolo lo sapiamo con precisione grazie al tenace lavoro di Pasquale Buonicontro, autore di un ampio elenco dei volumi e dei saggi o articoli apparsi nelle principali pubblicazioni italiane (Pasquale Buonincontro, La presenza della Romania in Italia nel secolo XX. Contributo bibliografico 1900-1980, De Simone Editore, Napoli, 1988) elenco sistematico, preceduto da un’acuta sintesi delle conclusioni emerse dal panorama costruito passo dopo passo. Vi sono ricordate anche le pagine di presentazione che accompagnano le quattro poesie tradotte da Pier Emilio Bossi, curatore della rubrica consacrata alla letteratura romena dalla Nuova Rassegna di Letterature Moderne (V. Emilio Bosi, Nuova Rasegna di Letterature Moderne, Firenze, 20 dicembre 1906) e quelle di Romeo Lovera, proffessore all’Universita di Torino (l’autore della prima grammatica romena scritta in italiano), il quale dedicava a Eminescu quasi una ventina di pagine nel 1908.

L’elenco continua e registra coll’andar del tempo periodi più generosi, ma anche altri, di rifflesione. Ancora oggi, in una prospettiva diacronica, spiccano gli interventi degli insigni studiosi Carlo Tagliavini e Giulio Bertoni, precisi ed acutti nel mondo di strutturare le loro argomentazioni.

Tagliavini, oltre alla prima ampia sintesi scientifica scritta in Italia sul Nostro postromantico, del 1923 (V.Carlo Tagliavini, Michele Eminescu, in Studi sulla Romania, Istituto per l’Europa Orientale, Roma 1923) – il saggio Michele Eminescu – pubblicò nel 1927 delle Postille emineschiane. La sua impostazione storicista fa posto nello scritto del 1923 tanto a cenni biografici (con la dovuta insistenza sulla formazione del poeta) quanto ad una classificazione delle opere; anzi ad una doppia classificazione, cronologica ed in base ai generi e, nel contempo, alla tematica. Vi si parla di quattro tappe creative – di cui la terza, fra il 1875 ed il 1883, è ritenuta la più alta – e della produzione lirica da una parte, e di quella etico-filosofica dall’altra. Come Bossi, anche Carlo Tagliavini stabilisce un parallelo tra Leopardi ed Eminescu, ma per contraddistinguere la natura dei loro pessimismi.

Oltre al pregio di aver messo in luce la straordinaria capacità del poeta romeno di fondere intimamente sostanza metafisica e sostanza lirica, immaginistica, il saggio ha anche quello di aver dimostrato in che cosa consistano I suoi meriti in fatto di versificazione, insistendo sulla richezza e sulla novità delle rime emineschiane, di cui molto difficilissime, eppur scorevoli.

Giulio Bertoni, l’autore del famoso “Profilo linguistico d’Italia” e di decine di dense opere di romanistica, glottologia e storia letteraria, sceglie la prospettiva peculiare alla letteratura comparata per il suo articolo “La poesia di Michele Eminescu”. (In Archivum Romanicum, 1/1940). Di conseguenza, l’accostamento del poeta romeno con Leopardi vi viene fatta dal punto di vista dei motivi consueti alla corrente a cui, in momenti succesivi, appartennero tutt’e due. E stato sempre Giulio Bertoni a insistere, anzi a istituire, un nuovo parallelo tra Arturo Graf ed Eminescu, individuando la natura dell’influenza subita dal primo.

L’elenco dei contributi italiani alla conoscenza nel loro paese del poeta di Ipotesti potrebbe continuare fino a Mario Ruffini, professore di romeno all’Università di Torino, autore della traduzione della lirica amorosa di Eminescu, precedute da un saggio di ampia mole; a Silvio Guarnieri, docente di romeno all’Università di Pisa; e fino alla nuova leva di romenisti italiani, intervenuti anche all convegno emineschiano organizzato in Italia, a Milano e Roma, nel 1989.

Dato il peso dei loro contributi e la riconoscenza dovuta ai maestri dei nsotri maestri (Basti ricordare che Nina Facon è stata studentessa, quindi assistente a Padova di Ramiro Ortiz), un’attenzione particolare meritano tre studiosi che hanno svolto la loro attività anche in Romania e sono diventati in seguito solerti divulgatori della nostra cultura all’estero. Si tratta di Ramiro Ortiz, di Umberto Cinciolo e del Rosa del Conte, che hanno voluto fare degli anni 1927, 1941 e 1962 date importanti negli sforzi per portare a conoscenza del pubblico italiano l’opera di Eminescu.

L’incontro di tutti e tre con la Romania è stato fino ad un certo punto fortuito, ma non è rimasto una parantesi casuale nelle loro biografie. Da persone di squisita preparazione filologica, con interessi scientifici molteplici, hanno trasformato il soggiorno in Romania in una profittevole occasione per conoscere una nazione ed una cultura, per inserirsi in essa accanto agli intellettuali ivi incontrati.

L’abbruzzese Ramiro Ortiz (Chieti, 1879 Padova, 1947) era stato nominato “maitre de conférence”all’Università di Bucarest nel 1909. La descrizione del Seminario d’Italiano fatta dalla sua asistente Anita Belciugateanu, nel 1930, incomincia con quest’informazione, ora per noi ricca di risonanze: “Nel 1909 su proposta del proffesor I. Bianu che a Milano era stato allievo di Pio Rajna, e per voto unanime della facoltà di Lettere, fu istituita dal ministro Spiru Haret, insigne matematico e sociologo romeno, la cattedra di Lingua e Letteratura Italiana nell’Università di Bucarest. Su designazione del proffesor Rajna, alla cui autorità scientifica la facoltà aveva fatoo appello, fu chiamato ad occupare questa cattedra il proffesor Ramiro Ortiz”.

Ortiz promosso proffesore nel 1913, non limitò la sua attività al semplice insegnamento, compi sforzi particolari (e non solo nel breve intervallo in cui fu anche Direttore dell’Istituto di Cultura Italiana di Bucarest, fra il 1932 e il 1933) per la diffusione della letteratura del proprio paese in Romania, fondando la rivista “Roma”, la Società accademica “Gli amici d’Italia”, ed integrandosi nella vita intellettuale della capitale romena.

La spita al più impegantivo lavoro scientifico di tutti e tre gli studiosi fu data però dall’opera di Mihai Eminescu. Come trapela dalle loro pagine, gli autori vi erano portati non solo da un autentico interesse e dalla conspevolezza del valore del poeta, ma anche da un sincer affetto per la nazione romena, che giudicavano tenendo conto della sua tribolta storia, a prescindere salle condizioni congiunturali.

Nell’introduzione al volume “Mihai Eminescu.Poesie”, col sottotitolo “Prima versione italiana dal testo rumeno” Ramiro Ortiz ricorda il voto fatto con se stesso di portare a conoscenzadei propri connazionali il maggiore poeta nazionale romeno. Al di là dell’affetto, c’e un un equilibrata valutazione degli scrittori romeni. Ben ambientato nella realtà culturale del tempo, Ortiz era arrivato ad un giudizio fermo: polemizzava col “versilibrismo” dei simbolisti romeni contemporanei, si mostrava addolorato delle condizioni in cui versava la “gloriosa rivista” Convorbiri literare – che nel 1927 “agonizzava miseramente sopravvivendo a se stessa” – prendeva lo spunto dall’iniziativa di Octav Minar, che aveva dato alle stampe nel 1912 il carteggio di Mihai Eminescu con Veronica Micle, per esigere la pubblixazione dell’intero epistolario del poeta prima che andasse perduto.

Umberto Cianciolo dedicava il suo libro, quattordici anni più tardi “ai giovani amici romeni della facoltà di Lettere di Bucarest” e mostrava quanto profonda fosse la sua conoscenza dell’evoluzione storica della Romania.

Nell’auspicare la nscita di un De Sanctis o meglio, cioè di un critico-poeta per Mihai Eminescu, Ramiro Ortiz chiama quest’ultimo – già nel titolo – “il poeta della foresta e della polla”. (…) Nel parlare ad esempio della rivista di Iosif Vulcan, Familia, sulla qiale avevea esordito Eminescu, Ramiro Ortiz invocava “le buone cose dei crepuscolari” (soprimeendo l’aggetivo della famosa frase gozzaniana “le buone cose di pessimo gusto”), per concludere che al lirico italiano sarebbe piaciutta la “buoba” pubblicazione provinciale.

Ortiz, data la poca conoscenza di Mihai Eminescu a meno di quarant’anni dalla sua scomparsa, fa posto ad un eloquente profilo biografico – che ha stimolato George Calinescu a scrivere “Viata lui Eminescu” (La vita di Eminescu), apparsa cinque anni dopo, nel 1932- mettendo in risalto gli elementi strutturalmente formativi del nostro: le leggende ed il ricco e vario folclore assimilati dai primi anni di vita, incconspevolmente prima, in modo deliberato poi, nonchè gli studi proficui compiuti a Vienna ed in Germania. Lo studioso fa di continuo appello ai documenti: ben dei pagine dei “Ricordi di Junimea” di G. Panu sono riprodotti in blocco, ad esempio, per far rivivere l’atmosfera in cui fu accolta la prima lettura pubblica del “Povero Dionigi”.

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