Essere nati in Romania, dall’altra parte del muro, mi fa provare una strana sensazione di timido orgoglio. La timidezza, che deriva dall’idea del mio entusiasmo per cose che all’occhio occidentale appaiono insignificanti, scontate, si accompagna alla fierezza di essere cresciuti in un mondo incantato dove si impara ad apprezzare il valore delle piccole cose. I miei ricordi d’infanzia, simili a quelli di milioni di altri est-europei, indubbiamente suonano strani all’orecchio occidentale e solo pochi dei miei coetanei capirebbero quale speciale celebrazione rappresentava per noi l’arrivo di merci rare, prelibate e in quanto tali razionate, come arance o cioccolato.La notizia si diffondeva a macchia d’olio nel quartiere: “Hanno portato arance all’angolo”, in pochi minuti una massa di persone si radunava davanti al santificato detentore di tale opulenza, di solito una semplice commessa , elevatasi, per l’occasione, alla carica di divinità, che immancabilmente iniziava a urlare ordini: “Tutti in fila”; “Solo cinque a testa”.
In occasione della distribuzione del latte, la gente si metteva in fila già dalle cinque o sei della mattina, per non perdere il turno e il diritto alla propria razione. Non c’è un momento migliore per capire l’importanza di avere una famiglia, possibilmente numerosa, come in quelle ore prolungate, piene d’ansia e attesa: basta un bimbo in più e ci si guadagna il diritto ad una bottiglia extra di latte da portare a casa! Simpatie, affetti e futuri matrimoni nascevano così, nella fila del latte, l’ambiente ideale per amare il proprio prossimo.
Ciò che quei tempi gloriosi hanno tramandato fino ai giorni nostri è l’istinto della fila. In Romania ogni volta che si forma una linea di almeno cinque persone si trova sempre un sesto che si accoda pur non avendo idea di cosa stia accadendo, giusto per non rischiare di perdersi l’opportunità della vita e confidando di riuscire a portarsi a casa qualcosa. Suscita una profonda tenerezza questo strano mix di ansia di vivere e di volontà di recuperare il tempo perso, combinato con un senso naif di furbizia, caratteristico di quella parte del mondo, dove le persone sono cambiate, ma l’anima e il soffio vitale sono sempre uguali.
Voce di Italia, dott. Ana Maria PANAIT
23/7/2008