FOTO Il maestro Camilian Demetrescu e la Sua Santità Papa Benedetto XVI
Proponiamo per i nostri lettori la prima parte di un testo interessante dell’artista Camilian Demetrescu, grande personalità di origine romena. Pittore, scultore, scrittore e studioso di storia dell’arte, nato in Romania nel 1924. Nel 1969 si trasferisce in Occidente e chiede asilo politico in Italia. Ha svolto in Romania contemporaneamente attività di scrittore e storico d’arte sulla stampa e alla radiotelevisione romena ma poi ha deciso di chiedere asilo politico all’Italia, passando all’astrattismo ed esponendo più volte ad esempio alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale Nazionale d’Arte a Roma, a Perugia, a Parma, a Viterbo.
Di lui Mircea Elide, suo grande amico, ha scritto:”L’arte attuale di Demetrescu sembra offrirsi ad un uomo contemporaneo minacciato di perdere gradualmente tutte le libertà… Demetrescu crede che, ritrovando questi segni simbolici e decifrando il loro significato nascosto, l’uomo di oggi potrebbe scendere alle fonti archetipali dell’esperienza umana, per meglio capire il suo destino”.
Camilian Demetrescu: il perché delle radici cristiane dell’Europa (1)
Se dovessi raffigurare l’Europa cristiana di oggi in un disegno – racconta Camilian Demetrescu, pittore, scultore e incisore – farei un tronco d’albero gigante, con profonde radici nella terra, ma reciso seccamente al suolo, impietrito in una desolata cicatrice piatta e grigia, dalla quale spuntano ancora, miracolosamente, alberelli in fiore.
Abbiamo faticato per secoli a tagliare quel maestoso albero. La scure della nostra civiltà si è abbattuta contro la quercia della Grande Tradizione, ma la linfa vitale continua a salire, le nuove generazioni stanno riscoprendo le sue radici. Questi giovani sono una minoranza, è vero, ma come c’insegna il passato, la storia la fanno le minoranze. Le maggioranze la subiscono, trascinate dagli eventi. E mentre la grande Europa, sorda ai colpi della scure che continua a colpire, dorme sognando il paradiso della felicità del benessere e del superfluo, quell’altra piccola Europa, colpita dall’insonnia della coscienza, veglia. Allarmati dal vigore con cui i giovani germogli fioriscono dal tronco amputato della grande Tradizione, i boscaioli di Bruxelles sono pronti a tagliarli con la scure della nuova costituzione europea che nega le radici cristiane dell’Europa. Ma, per il momento, al rifiuto di alcuni stati di convalidare la costituzione, hanno dovuto appendere la scure al chiodo.
Eppure, grazie alla divina semplicità del Cristianesimo, l’unità spirituale dell’Europa, dei suoi popoli, non si è mai infranta nel suo profondo, nonostante le complicazioni teologali, che non una volta hanno incatenato la fede con dogmi pretestuosi, estranei all’unicità primordiale del Verbo.
Ricordo una parabola medievale, semplice, popolare: la leggenda dei pesciolini della Senna. Il fiume attraversa la città di Parigi da est a ovest. Nelle sue acque vivono due specie di pesci: i pesciolini magri che si danno un gran daffare nuotando controcorrente, verso la luce del sol levante, verso la sorgente, e i pesci grassi, sonnolenti, che si lasciano portare dal fiume verso le tenebre del ponente. Mi rivolgo a coloro che sono consapevoli della deriva del mondo di oggi. Se sentite i colpi della scure che si abbatte senza sosta sul tronco del Grande Albero, neanche voi potete fare a meno di nuotare controcorrente con tutte le vostre forze, verso la sorgente della Verità.
Le cause della deriva morale e spirituale dell’Europa sono ben conosciute, ma non da tutti. C’è chi le conosce, guardando intorno, c’è chi non le conosce – per incultura, disinteresse o malafede – c’è chi non le vuol conoscere, prigioniero del mito del progresso senza limiti.
La prima causa della deriva è la risposta stessa che la nostra civiltà ha saputo dare fini ad oggi alla proposta cristiana. Con il libero arbitrio, il più alto concetto religioso della dignità umana, è stata data all’uomo la libertà di scegliere. Ma dopo secoli di tormento e di conquiste del razionalismo, l’Europa ha detto no a Cristo. Le prove sono evidenti. Confermate da Giovanni Paolo II quando parlava del bisogno di ricristianizzare il nostro continente.
Sarebbero tante le prove di questo lungo e progressivo allontanamento dall’insegnamento evangelico originale: dalle prime eresie, dalle prime guerre di religione, dalle vecchie e nuove inquisizioni, dalle prime utopie rinascimentali, dalle riforme alle controriforme, dall’illuminismo e il giacobinismo, dal trionfo della Dea Ragione e del dubbio, dal proclama dei nuovi filosofi della morte di Dio alle utopie dei sistemi totalitari dell’ottocento e del novecento, concepite per abolire il male e l’ingiustizia con la violenza stessa, fondate sull’odio di classe e sull’odio razzista, dall’invasione del nichilismo e dell’anarchia, fino al relativismo assoluto che ha frantumato la coscienza dell’uomo. Sono soltanto alcune tappe di questo fatale rifiuto che ci ha portato nella condizione in cui ci troviamo oggi.
Da questo elenco telegrafico potrei scegliere un esempio apparentemente marginale ma significativo: il cambiamento della struttura urbanistica delle grandi città europee in questo ultimo millennio, seguendo passo per passo l’evoluzione della cultura e della politica sul nostro continente.
Se nel medio evo la Cattedrale – la cattedra del vescovo pastore spirituale – era il centro stesso della città e della vita sociale, nel rinascimento la Cattedrale sarà sostituita dal Palazzo del Principe, diventato il centro del potere e della sua corte. A sua volta, nei secoli successivi, più vicini al nostro tempo, la dimora del Principe fu rimpiazzata dal Palazzo della Borsa, la nuova cattedrale che celebra l’onnipotenza terrena dell’oro.
Con l’emancipazione illuministica e giacobina, all’inizio dell’era industriale, la città gravita invece attorno alla Fabbrica, il nuovo santuario delle utopie scientifiche del materialismo storico dell’ottocento. E infine, nei tempi moderni, avviene la dissoluzione stessa del Centro della città che gravita attorno ai cosiddetti centri storici, assumendo il significato archeologico, turistico e commerciale della metropoli di oggi.
Contemporaneamente assistiamo alla deriva dell’architettura e dell’iconografia della cattedrale stessa, nonché della semplice chiesa parrocchiale, diventate irriconoscibili rispetto agli archetipi del tempio originario. La graduale dissacrazione dell’edificio e dell’arte sacra ha cambiato radicalmente il rapporto tra chiesa e società. Alla solarità del romanico seguiva l’arte crepuscolare del gotico, per ritornare poi col rinascimento al paganesimo, arrivare nel barocco ad una esasperazione della forma che prevale sui contenuti, e, finalmente, sfociare nei tempi moderni nell’anti-arte, espressione del nichilismo e dell’ateismo imperante.
Lo svuotamento di significato simbolico dell’edificio sacro è parallelo allo svuotamento dei valori fondamentali della società. Dalla maestà della cattedrale medievale fino al freddo motel ecclesiastico a cinque stelle, di oggi, firmato da prestigiosi nomi dell’avanguardia che conta, e fino allo squallido garage per le anime – come le definisce Sedlmayr – delle parrocchie povere, la deriva sembra averci portato sull’altra sponda dell’oceano della storia. Potrei dare altri esempi, riguardanti il mutamento nelle arti figurative, dove la deriva assume contrasti ancora più devastanti, oppure nella scienza – naufragata nel puro scientismo senza etica – e ancora, nel comportamento umano scaraventato fuori da ogni scala di valori e non per ultimo, il degrado spaventoso del rapporto tra uomo e natura che mette in pericolo la sopravvivenza stessa del pianeta.
E come se non bastasse, allo scontato declino dell’occidente si aggiungeva la sciagura delle utopie totalitarie che hanno segnato la storia del novecento. Con l’instaurazione del regime marxista nel 1944 in Romania, mia Patria d’origine, la persecuzione contro la chiesa, non solo ortodossa, arrivò a forme di barbarie mai verificate nella nostra storia, nemmeno sotto il giogo ottomano. La chiesa greco-cattolica fu messa fuori legge, per essere totalmente subordinata al patriarcato di regime. Vescovi e preti furono incarcerati e molti di loro morirono nella detenzione. I beni della chiesa uniate furono confiscati, i seminari teologici chiusi. I sacerdoti che non ubbidivano al Partito comunista furono rinchiusi o deportati. Con quale animo potrei ricordare la tortura dei preti costretti dai boia a celebrare l’eucaristia con urina e materie fecali, nel famigerato carcere di Pitesti? I monasteri, quando non erano abbattuti, furono trasformati in luogo di piacere per la nomenclatura di partito.
Quando, alla fine degli anni ’70 una società biblica internazionale offrì al popolo romeno una grande quantità di Bibbie, introvabili in Romania, queste furono confiscate e riciclate in carta igienica. Ai punti di frontiera era severamente vietato introdurre la droga e la Bibbia, messe sullo stesso piano. Un sacerdote mi confidò che era arrivato al punto di suggerire ai suoi parrocchiani di non confessarsi più in chiesa, perché tenuto a riferire alla polizia politica quello che si diceva sotto confessione. Negli ultimi anni di regime, a Bucarest fu perfino proibito di suonare le campane, per non offendere la libertà di coscienza dei compagni miscredenti.