Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Alcuni aspetti delle relazioni culturali italo-romene nel corso del tempo

Feb 23, 2009

di Violeta P. Popescu

Il riacquisto simbolico di un passato è la garanzia di una futura collaborazione e una futura comprensione.

Lo studio approfondito delle relazioni italo-romene inizia godere di un’importante bibliografia. La presentazione schematica dello specifico culturale italo-romeno, con radici che partono dal Medio Evo, rappresenta un’importante prospettiva nella ricostruzione attuale di un’immagine comune. La mia ricerca intende portare in discussione gli aspetti più rilevanti che riguardano il ventaglio culturale rappresentato dai contributi maggiori, sia dalla parte italiana quanto da quella romena, e che costituiscono un buon argomento per le future ricerche. Mi sono soffermata su alcune iniziative in grado di testimoniare il contributo culturale portato sia dai romeni che dagli italiani, evidenziando che le idee culturali portano sempre l’armonia e la bellezza tra i popoli.

La comune base di ideali

Una caratteristica degli scambi culturali italo-romeni è la comune base di ideali, soprattutto durante il periodo delle rivoluzioni del 1848, ma anche dopo, quando si svilupparono molte amicizie tre la personalità culturale italiane e romene, accumulandosi un vero capitale di solidarietà. Questa rete d’amicizia e di simpatia esistente tra romeni e italiani ha generato azioni importanti, fatti di solidarietà, ambiti larghi di ricerca riguardando la parte latina, aspetti comuni della storia, con un vertice nel periodo interbellico, periodo di un certo specifico in questa evoluzione culturale. Molte di queste iniziative non si sono svolte per via istituzionale, ci sono state tante azioni private – che hanno avuto come motivazione il sentimento di una reciprocità d’ideali e di valori. E’ stata fondamentale la dimensione soggettiva delle relazioni interpersonali. L’amicizia ha sviluppato il sentimento di simpatia ma anche di solidarietà, rappresentata dalle azioni concrete. Deve essere particolarmente considerata l’influenza reciproca tra i due spazi geografici, tra le due tradizioni, italiana e romena, avendo come specifico il fenomeno dell’acculturazione.

L’appelo alla cultura

Una retrospettiva degli aspetti culturali importanti, non fa che creare un avvicinamento e una conoscenza necessaria della quale avremmo gran bisogno nel futuro. L’appello a queste radici culturali rappresenta la base per le future ricerche, una conoscenza durevole dell’identità altrui e alla fine, uno specchio nel quale ci possiamo guardare con serenità. Ultimamente si parla molto dell’Unione Europea, una struttura basata quasi unicamente sugli aspetti economici e politici, trascurando i legami spirituali, di cultura e civiltà dei popoli europei. Questi legami di cultura e civiltà, specialmente latini, hanno unito nei secoli non solo i popoli neolatini dell’Europa, tra i quali si sono sempre collocati i romeni, ma anche tutta l’Europa, compreso i popoli di origine slava e germanica che hanno riconosciuto la superiorità dei valori culturali e civili dell’umanesimo latino, proseguito poi in quello italiano. Alla base della cultura europea stano la filosofia greca e il diritto romano. Questa affermazione può essere sostenuta con tanti e tali esempi, presi dalle istituzioni giuridiche romane presenti fino ad oggi in tutto il mondo: dalla storia della letteratura e dell’arte comparata ed universale alla religione, alla filosofia, ad altri settori di attività intellettuale.

Europa, nel suo senso largo è formata di popoli romanzi e germanici, situati nella parte occidentale, e popoli slavi, collocati nella parte centro-orientale del vecchio continente. I romeni e non solo loro, costituiscono, in un certo senso, un’eccezione a questa struttura europea essendo l’unico popolo romanico geograficamente diviso dalla gran massa della romanità europea dell’Occidente e rappresentano anche il solo popolo romanico odierno erede della romanità orientale. I romeni sono il solo popolo latino a maggioranza ortodossa (circa 85% della popolazione) e con una storia che ha oscillato tra l’Occidente e l’Oriente.

La cultura italiana sul teritorio romeno

La cultura italiana entrò in Romania nel corso del Medio Evo attraverso varie forme. Un punto di riferimento furono i rapporti avuti da Stefano il Grande, Principe della Moldavia (1457-1504) con la Repubblica di Venezia e il Papa Sisto IV; un importante volume sulla vita del grande principe moldavo, lo ha dedicato lo storico Niocolae Iorga, intitolato Istoria lui Stefan cel Mare, pentru poporul roman (La storia di Stefano il Grande per il popolo romeno). Nel 2004 si sono festeggiati 500 anni dalla morte di Stefano il Grande e Santo, occasione per evidenziare il suo ruolo fondamentale nel contesto europeo di difesa della cristianità. Il principe moldavo intrattenne una ricca corrispondenza con il pontefice Sisto IV che lo nominò, dopo una grande battaglia contro in turchi – Athleta Christi – uno dei titoli più alti nel Medio Evo. Dobbiamo evidenziare anche i rapporti avuti da Stefano il Grande con la Repubblica Serenissima di Venezia. Nel contesto delle preparazioni militare contro i turchi, il doge veneziano Andrea Vendramin mandò ambasciatori in Moldavia. L’importanza di questa missione fu nel fatto che per la prima volta si era stato instaurato un rapporto diretto tra la potente Repubblica di Venezia e la Moldavia. Durante una guerra, il principe moldavo aveva riportato una grande ferita al piede. Il doge veneziano manda il medico Mateo Muriano per curarlo, che oltre ad occuparsi della salute del Stefano il Grande, aveva anche il compito di raccogliere informazioni sulla situazione politica in Moldavia. Infatti, il medico Muriano inviò a Venezia dei rapporti scritti sulla Moldavia, tanti apprezzamenti riguardanti il potenziale economico e militare della Moldavia. Molto numerosi, e allo stesso tempo minuziosi, sono i rappresentanti dei missionari francescani venuti in Valacchia e Moldavia. Essi poterono constatare che sulle terre romene si parlava quasi tutti in italiano, come scriveva al Papa uno dei fratelli. Nel Cinquecento molti giovani romeni hanno potuto viaggiare ed essere educati in Italia. Una cosa molto importante è il fatto che i romeni fossero l’unico popolo romanico che ha conservato nel suo nome il ricordo di Roma. Essi si sono sempre chiamati tra loro rumâni, români, mentre gli altri li chiamavano valacchi, vlachi, blachi, volohi, che tutte significavano romanici o parlanti di una lingua neolatina. Sui romeni, nota Ferrante Capeci in 1575: Anzi essi si chiamano romanesci, e vogliono molti che erano mandati qui quei che erano dannati a cavar metalli (Maria Holban, Calatori straini despre Tarile Romane).

Viaggiatori italiani sul teritorio romeno

Viaggiando in Transilvania, Moldavia e Valacchia, Francesco delle Vale scrive in 1532: La lingua loro è poco diversa dalla nostra Italiana, si dimandano in lingua loro Romei perché dicono esser venuti anticamente da Roma ad habitar in quel paese, et se alcuno dimanda se sano parlare in la lingua valacca, dicono a questo in questo modo: Sti Rominest? Che vuol dire: Sai tu Romano, per esser corota la lingua (…). Questa eredità dei romeni fu il risultato della conquista della Dacia dall’imperatore Traiano (98-117), tra gli anni 101-106 d. C. e della creazione in quel luogo di una provincia romana. L’eredità latina rappresenta il più forte legame storico dei romeni con l’Occidente. Nello stesso tempo, la chiesa e la fede bizantina costituiscono il più importante legame dei romeni con l’Europa Centro-Orientale. La latinità e stata coltivata durante i secoli ed è rimasta per sempre un mezzo importante per mantenere la propria identità romena (Dr. Ioan Aurel Pop – La Romania e la sua integrazione europea – Milano 2004).

Una figura rappresentativa nel Medio Evo è stata quella di Petru Cercel, che ha scritto in italiano Dialoghi Piacevoli. La cultura romena si arricchirà di una serie di traduzioni italiane, come ad esempio Romanza d’Alessandro o Fiore di virtù. Gli umanisti italiani, come Poggio Bracciolini o Silvio Piccolomini, hanno sostenuto con forza l’idea della latinità del popolo romeno. Un grande storico romeno, Constantin Cantacuzino, studiò a Padova nel XVII secolo. La cultura italiana era molto conosciuta in Romania, soprattutto Ludovico Ariosto, Tasso, Tassoni, Metastasio. In questo secolo, hanno cominciato anche ad essere conosciuti i giornali italiani Notizie del Mondo e Il Redattore Italiano. Nel XIX secolo, Gheorghe Asachi ed Ion Heliade Radulescu hanno pubblicato numerosi articoli e saggi sull’arte e la cultura italiana e sono state prodotte molte traduzioni da Petrarca, Dante e Tasso. Nel XIX secolo, sono stati avviati anche i primi corsi di lingua italiana. Il Collegio Santo Sava conserva, per esempio, oltre 2000 libri in italiano.

Il periodo moderno

Il periodo moderno ha intensificato questo aspetto delle connessioni culturali e degli ideali fra romeni e italiani. Nei decenni seguenti all’anno 1848 si è potuto osservare avvicinamento tra l’opinione pubblica romena e quella italiana. Era dovuto al fatto che entrambe erano coinvolte sentimentalmente nella lotta per l’unità nazionale e si sentivano così spinte a simpatizzarsi ed a sostenersi. Ha avuto un contributo anche l’influenza del romanticismo, in un ambiente spirituale nel quale si è sviluppata l’idea di parentela e solidarietà di stirpe latina. Nella gran parte degli intellettuali romeni prese radici un culto per l’Italia – la terra dei romani, da dove venirono al Danubio soldati e colonisti di Traiano, gli avi dei romeni. E gli italiani scoprivano con soddisfazione questo partner sentimentale del Basso Danubio, disposto alla conclusione delle relazioni politiche, con lo scopo della realizzazione dell’ideale comune di unità nazionale (Camil Muresanu, In templul lui Ianus, Editura Cartimpex, Cluj Napoca 2002).

Un’importante momento nell’incontro delle idee e dei valori comuni, come ricordavo prima, è stato rappresentato dal contesto della Rivoluzione del 1848. I rivoluzionari italiani col desiderio di liberarsi dalla dominazione austriaca, speravano fortemente nell’emancipazione dei Principati. Nel 1843 era uscito a Parigi il libro dello storico italiano Cesare Balbo Le speranze d’Italia, scrittore che lega il destino dei romeni a quello degli italiani, le uniche soluzioni essendo quelle di confederarsi. La sua idea di federazione danubiana comprendeva: Moldavia, Valacchia, Bulgaria, Serbia, anche gli albanesi, bosniaci e greci di Rumelia e Fanar. Un altro italiano Marco Antonio Canini nel 1847 prevedeva per il futuro la sostituzione dell’Impero Asburgico con una confederazione slavo-ungaro-romena (George Cioranescu, Romania si idea federalista, Ed. Enciclopedica, Bucuresti, 1996).

Dopo la sconfitta delle rivoluzioni del 1848 si verificò un lungo esilio per i rivoluzionari di diverse nazionalità. I rivoluzionari romeni da Parigi furono attratti dalla personalità di Giuseppe Mazzini, che propose una Sacra Alleanza ai popoli confederanti contro l’alleanza delle monarchie assolutistiche.

L’influenza del pensiero mazziniano sui rivoluzionari romeni è riscontrabile nel dibattito che seguì dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1848/1849, e il credo e il frasario mazziniani – allora familiari alla classe politica e alla parte più evoluta del popolo romeno – fecero sì che la proposta di Mazzini di una democrazia Europea e i suoi progetti federalisti, figurassero al primo posto nei progetti delle società segrete romene nate ad imitazione della Giovane Italia. Mazzini ricordava in questo ambito dei suoi amici di Bucarest, di “concordanza di dottrina, identità di fini e ricerca assidua d’operosa concordia”. Mazzini riconosceva ai Romeni un ruolo particolare nella futura Europa, tutte le nazioni erano uguali, dotate di una missione e con il sacro diritto dell’iniziativa rivoluzionaria. Per quello che riguardava “la razza romena, […] era chiamata a fare il collegamento tra la razza slava e quella greco-latina”. Nel 1851 lancia il famoso appello alle popolazioni rumene firmato, oltre che da Mazzini, anche da Ledru-Rollin e da Darasz che, tra l’altro, dice: “Il popolo romeno, avanguardia della razza greco-latina, è chiamato a rappresentare in Europa orientale il ponte con le nazionalità slave e il principio della libertà individuale e del progresso collettivo che ci definisce noi, europei, come apostoli dell’umanità”. L’appello, appartenente a C.A. Rossetti, è tradotto in lingua romena, in cirillico e latino viene pubblicato, grazie a I. C. Bratianu e a D. Florescu, da ben dieci giornali parigini. L’interesse di Mazzini per la causa romena non viene meno neppure negli anni successivi e, sia nel 1859, ma anche nel 1866, l’apostolo della libertà dei popoli, tornerà ad interessarsi della Romania. La sua attenzione è stimolata dal profilarsi, proprio nel 1866, di un nuovo scontro tra Italia e Austria.

L’amore di Mazzini verso la causa della libertà dei popoli italiano e romeno è bene testimoniata dall’articolo scritto dal patriota romeno Dumitru Bratianu dopo la sua morte: “Ho il diritto, mi sento in dovere di dire, a chi non abbia avuto la fortuna di conoscere Mazzini di persona, cosa sia stato quel grande uomo che per quasi mezzo secolo personificò il movimento di emancipazione di tutti i popoli. Mezzo secolo in quale tutti coloro che lottavano per la libertà e la nazionalità, ovunque venivano chiamati mazziniani, mezzo secolo durante il quale il mondo conobbe due sole potenze, due bandiere: Mazzini, vessillo di libertà, lo zar Nicola, simbolo di dispotismo (…). In Mazzini trovai l’essere più completo, più armonico; solo in lui trovai riunite tutte le qualità, anche quelle che solitamente si escludono. La sua figura pareva scolpita nell’acciaio; aveva tratti di regolarità classica e di grazia moresca. I pensieri non lo abbandonavano un solo minuto e lo rendevano malinconico, ma la sua coscienza serena e la sua grande fede nell’avvenire dell’Italia avevano raccolto nel suo cuore un fondo infinito di letizia, e appena gli rivolgevi la parola, in un istante, senza il ben che minimo sforzo, il sorriso gli si levava sulle labbra, la fronte gli si rasserenava, gli occhi gli lacrimavano di speranza, e in un linguaggio pieno di vivacità parlava per delle ore intere e il volto gli si illuminava; il suo eloquio si animava man mano che avvertiva come crescesse la comunanza di idee e di sentimenti tra lui e l’interlocutore: il che succedeva quasi sempre’ (Dr. Marco Baratto, Desiderio di libertà – Italia e Romania: due Risorgimenti, in Tricolore, n. 13. Giugno 2005). Sono aspetti di una realtà storica che porta alla luce testimonianze assai importanti nel riguardo di un fondo culturale comune e delle aspirazioni di questi due popoli.

Come già conosciuto, il Piemonte e Cavour hanno sostenuto l’Unione dei Principati Romeni nel 1859. Il poeta romeno Vasile Alecsandri si trovava in compagnia del Re di Sardegna Vittorio Emanuele II e celebra in alcune delle sue poesie le bravure dei soldati italiani nelle lotte in Lombardia.

Dopo l’unità d’Italia e la conquista d’indipendenza di Stato romeno nel 1877, si può parlare di una nuova tappa d’intensificazione delle relazioni tra i due paesi. La Romania diventava uno stato indipendente, motivo che ha generato la visita e la sistemazione di numerosi italiani nei Principati Romeni. Intorno alla metà del secolo XIX – complice è il crescente panslavismo nello scacchiere balcanico – si sviluppò l’interesse di molte personalità del mondo politico e culturale italiano verso la questiona romena. Tra essi figurarono Giuseppe Mazzini già ricordato, Arturo Graf, Cesare Cantù, Angelo De Gubernatis, Carlo Tenca, Gabriele Rosa. Raggiunta l’indipendenza nazionale, alla fine del XIX secolo molti giovani romeni vennero a studiare in Italia.

L’amicizia tra gli intellettuali romeni e italiani

Un importante aspetto di questo capitolo dei rapporti culturali romeno-italiani rimane quello delle amicizie tra gli intellettuali romeni e quelli italiani. Ricordo in questo contesto la profonda simpatia che gli uni e gli altri esprimono per i valori comuni dei nostri popoli. Per quanto riguarda la parte italiana mi riferisco a Giovenale Vegezzi-Ruscalla, il più animato tra i filo-romeni italiani del tempo. Dopo gli studi di filologia romanza è diventato professore di Torino, dove insegna anche lingua romena. Ha pubblicato diverse opere, ha fatto traduzioni in più lingue europee ed è stato scelto membro dell’Accademia portoghese. I suoi contatti col popolo romeno risalgono al 1821. Ogni volta che difende la Romania, ha detto una volta, l’Italia difende sé stessa. Nel 1880, ha creato una lega greco-latina che si proponeva di riunire i rappresentanti di tutti i popoli discendenti dalla cultura greca e romena. Sulla sua dimora, a Torino, Vegezzi-Ruscalla, pendeva la bandiera romena, accanto a quella italiana. Pubblica numerosi articoli sui Principati Romeni e sui romeni e analizza alcune affinità del romeno con l’italiano e con i suoi dialetti, traduce dalla poesia romena. Per un lungo periodo di tempo ha avuto una fruttuosa corrispondenza con una serie di scrittori romeni e alcuni di loro li ospita pure in occasione di alcuni loro passaggi a Torino. Ugualmente sostiene l’idea di liberazione totale dei romeni dal giogo ottomano. Vegezzi-Ruscalla è stato un pioniere per quegli uomini di lettere e di scienze che si sono occupati della nazione romena nel XIX secolo. Mantenendosi fedele ai suoi principi giovanili, egli ha espresso attraverso tutti i suoi scritti il desiderio di veder trionfare la causa dell’unità e dell’indipendenza della sua seconda patria, la causa della Romania. Un contributo importante nella presentazione dell’opera e del uomo Vegezzi Ruscalla appartiene a Teodor Onciulescu che gli ha dedicato alcuni studi: Contributo alla storia della filologia romanza in Italia – Giovenale Vegezzi-Ruscalla (1937); Un assiduo socio della Società Nazionale Italiana e di quella Neo-Latina: il torinese Giovenale Vegezzi-Ruscalla (1940); Un precursore dell’Etnografia italiana (1952); Giovenale Vegezzi-Ruscalla traduttore e cultore della letteratura portoghese (1967) (Gheorghe Carageanni. Teodor Onciulescu un rappresentante dell’esilio romeno, il professor Teodor Onciulescu).

Un nome di grande risonanza con contributi culturali importanti in Romania, è stato il giornalista Luigi Cazzavillan arrivato nei Principati in qualità di corrispondente di guerra. Il suo nome trova legame con la fondazione di più giornali: Universul, e Fratia romano – italiana, giornale nel quale ha cercato di mettere in evidenza gli aspetti comuni di questi due popoli. Il giornale Universul è diventato il più importante quotidiano indipendente romeno per oltre 60 anni. Una via nel centro di Bucarest porta il suo nome. Romania lo ha scelto cittadino d’onore e membro d’onore dell’Accademia Romena. Alla sua figlia Ida Melisbrugo Vegezzi-Ruscala, le sono state pubblicate nel Fratia romano – italiana opere letterarie in prosa e alcuni reportage. Usa le occasioni per ricordare sempre suo padre e la sua simpatia per la Romania (Camil Muresanu, idem).

Gheorghe Asachi è tra i primi poeti romeni che collaborò ad un giornale italiano – Giornale del Campidoglio (Roma, 26 dicembre 1811), con il sonetto In occasione del volo aerostatico dell’illustre Donne, la signora Blanchard. Ricordiamo anche Ion Heliade Radulescu uomo politico, letterato, militante per l’unità nazionale, che ha dedicato due pubblicazioni apparse nel 1841 al problema della lingua romena: Breve grammatica della lingua romeno-italiana e Parallelismo fra la lingua romena e italiana. Molte sono le testimonianze, più o meno letterarie, degli intensi rapporti tra la Romania e l’Italia, rapporti che vanno intensificandosi continuamente anche perché i romeni resteranno sempre affascinati dall’Italia come fonte delle loro antiche origini, come depositaria di un patrimonio storico e culturale non soltanto da vedere e ammirare, ma da seguire quale modello.

Dopo la costituzione del Regno della Romania nel 1811, sono comparse molte altre iniziative culturali. Come conseguenza agli appelli di alcuni filo-romeni, si è fondato in Italia un comitato di donazioni di libri per la biblioteca dell’Accademia di Bucarest. Uno dei sostenitori del progetto è stato Marco Antonio Canini, professore della Scuola Superiore di Commercio a Venezia, un fervente sostenitore della Romania. Nel 1857 va a Bucarest dove scrive sui romeni, traducendo dal romeno all’italiano, e dall’italiano al romeno – per esempio i libretti delle opere Maria di Rohan di Donizetti, La Traviata e Il Trovatore di Verdi, Norma di Bellini. Ha sostenuto l’Unione dei Principati, ha fatto amicizia con membri della scena politica romena e ha dedicato un’ode ad Alexandru Ioan Cuza. Una splendida biografia gli ha dedicato Francesco Guida nel L’Italia e il Risorgimento balcanico, Marco Antonio Canini, Roma, Edizione dell’Ateneo, 1984.

Lo storico Nicolae Iorga ha avuto un ruolo provvidenziale nelle relazioni culturali romeno italiane, assetto che è registrato in un importante bibliografia composta da una serie di studi e volumi. Ricordo in quest’ambito il volume comparso in Italia Nicolae Iorga (Napoli, Guida editori, 1977), che appartiene allo storico Bianca Valota Cavalloti, la nipote del grande storico, professore e ricercatore dell’Università di Milano. Un momento significativo all’inizio del XX secolo e stato il giubileo italiano dalla Lega Culturale con l’uscita nel 1911 dell’opera di Nicolae Iorga Breve storia dei rumeni con speciale considerazione delle relazioni con l’Italia. Divisa in sette capitoli, l’opera diffonde nel mondo italiano eventi importanti della storia del suo Paese: la formazione del popolo romeno, la sua origine latina, il suo destino di difensore della latinità orientale, la formazione dei principati, le influenze italiane fino all’epoca di Stefano il Grande e durante il suo regno, l’ultimo periodo d’indipendenza – il XVI secolo, l’opera culturale dei romeni nei secoli XVII-XVIII, il Risorgimento romeno. In occasione, 2.500 copie furono offerte alle personalità politiche e culturali in Italia, mentre le loro lettere di ringraziamento sono state pubblicate su Neamul românesc e sul Calendario della Lega culturale. Nello stesso anno, a novembre, Vittorio Lazzarini lo annunciava che era stato iscritto tra i membri onorari della Deputazione Veneta di Storia Patria. Un anno dopo, è diventato membro corrispondente dell’Ateneo Veneto.

All’inizio del XX secolo e principalmente nel periodo interbellico, le relazioni tra la Romania e l’Italia dal punto di vista culturale sono state potentati anche in via istituzionale, punto di riferimento importante nello sviluppo culturale dei due paesi. Comunque, nel caso della Romania, così come dimostrano i documenti del passato portati alla luce della ricercatrice Monica Joita, dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, non si può dedurre l’esistenza di una diplomazia culturale in senso moderno, ma piuttosto delle pratiche culturali in rapporto al contesto politico e soprattutto, d’iniziativi che appartenevano alle personalità culturali, come quelle di Nicolae Iorga e Vasile Parvan. Invece, si può osservare lo svolgimento di un’offensiva culturale dell’Italia in Romania – come dell’altro in tutto il mondo – con due obbiettivi principali: la promozione della lingua italiana (specialmente attraverso l’attività dei corsi e seminari universitari e mediante la fondazione di un Istituto Italiano di Cultura a Bucarest) e la conservazione dell’identità linguistica e culturale dei cittadini delle comunità italiane (Monica Joita, Relazioni culturali italo-romeni (1927-1956) documenti diplomatici italiani, vol I, Editura Clusium, 2007).

Legami istituzionali – catedra di Letteratura Italiana a Bucarest

Alla fine del XIX secolo sono molti i giovani che si avviano a studiare in Italia. Si creano anche dei legami a livello d’Ambasciata e la cultura italiana si diffonde nelle grandi città della Romania. Ha contribuito a questo anche l’istituzione, nel 1913, di una Cattedra di Letteratura all’Università di Bucarest, diretta dal professore italiano Ramiro Ortiz. La prima metà del XX secolo è stata marcata nella direzione degli stessi rapporti culturali di Ramiro Ortiz, personalità commovente nella storia delle relazioni culturali italo-romene. Il ruolo di questa personalità importante è stato segnato nel volume scritto di Carmen Burcea, Ramiro Ortiz (Bucuresti, Editura Noua Alternativa, 2004). La persona di cultura italiana inizia la sua carriera universitaria in Romania sotto il titolo di docente, e nel 1913 è stato nominato professore titolare alla cattedra che ha mantenuto fino alla fine dell’anno 1933, essendo collega di grandi uomini di cultura romena da quel periodo: Nicolae Iorga, Vasile Parvan, Dimitrie Onciul, Pompiliu Eliade, Ion Bianu, Simion Mehedinti, Ovid Denususianu, Constantin Radulescu-Motru, Simion Mandrescu, George Murnu, Iuliu Valaori ecc.

Filologo romanista, storico e critico letterario, professore e amico dei nostri scrittori, Ramiro Ortiz ha costituito un punto di riferimento nella storia dell’insegnamento della lingua italiana in Romania e ha rappresentato un pensiero, un atteggiamento europeo nella nostra critica letteraria. Nella loro grande maggioranza, gli studi e i libri firmati da lui, dimostrano le sue preoccupazioni con riguardo alle letterature romaniche. Il suo nome è legato alla scrittura del volume: Per la storia della cultura italiana in Romania (Bucuresti, Sfetea, 1916). Rilevante è la descrizione dell’allontanamento dalla Romania al momento della sua partenza a Padova nel 1933, dopo un quarto di secolo di attività culturale a Bucarest: “prenderò con me come simbolo un vaso con la buona terra romena; porterò dei tappeti e tessuti romeni; il canto popolare romeno ed il film Dragus di Gusti” (Carmen Burcea, idem).

Accanto alle rappresentanze diplomatiche e consolari, presso le quali sono stati nominati addetti culturali, l’azione culturale italiana in Romania appoggiava strutture come: la Società Dante Alighieri, l’Istituto per l’Europa Orientale, gli Istituti di cultura italiana, la Direzione degli Italiani all’estero, Comitato d’Azione per l’Università di Roma ecc. Tutte avrebbero dovuto essere incluse dal 1937 nel Ministero di Cultura Popolare. La cattedra dell’Università di Bucarest, le sue pubblicazioni, le pubblicazioni degli altri professori che hanno onorato la scuola d’italianistica da Bucarest, l’Istituto italiano, tutte queste sono state forme di manifestazione di una generazione attiva nel campo culturale, con una grande capacità d’iniziativa e realizzazione, che ha aperto la via verso una reciproca conoscenza italo-romena, come non era mai stato fatto. Né allo stesso livello, né con la stessa forma di manifestazione.

Il periodo che va dagli anni ‘20 fino alla metà degli anni ‘40 si definisce per la cultura romena un’epoca di straordinaria effervescenza, che ha dato note personalità in tutti campi. I grandi passi compiuti a livello sociale, culturale e soprattutto politico, dalla Piccola Unione del 1859 alla proclamazione del Regno di Romania nel 1880, culmina nel 1919 con il compimento del massimo “desideratum” nazionale, l’Unione di tutti i romeni in un unico stato sovrano, la “Grande Romania”. Per la prima volta nella sua storia, lo spazio romeno si trova a doversi confrontare da pari a pari con l’Occidente e con i valori da esso proposti.

Per quel che riguarda la presenza culturale della Romania in Italia nel periodo interbellico, si realizzava mediante tre organizzazioni: degli Affari Stranieri (legazioni, consolati, ufficio stampa, fino al 1939), dell’Industria e del Commercio (camera di commercio misto, trattati economici bilaterali, partecipazioni all’esposizione internazionale) e della cultura (le scuole romene all’estero, insegnamento della lingua romena, congressi internazionali ecc).

L’insegnamento della lingua romena in Italia

E’ stato accordato un ruolo importante all’insegnamento della lingua romena in Italia. Il primo corso di lingua, letteratura e storia romena è stato presentato nel 1863 all’Università di Torino dal professore Giovenale Vegezzi Ruscalla, l’animatore della Società Neolatina e membro dell’Accademia Romena. Il suo corso sarà ripreso, più tardi, da Mario Ruffini (1930-1966). L’iniziativa istituzionale appartiene a Nicolae Iorga, grazie al quale iniziano da parte della Romania le pratiche ufficiali per la creazione di letterati di lingua romena in Italia. Tra i titolari sono stati anche: Claudiu Isopescu (Roma), Petru Iroaie (Palermo), Ramiro Ortiz (Padova), Gheorghe Caragata (Firenze) e Teodor Onciulescu (Napoli).

Nel periodo fra le due guerre c’erano cattedre di lingua romena a Milano, Venezia, Padova e Roma. Sull’insegnamento della lingua romena in Italia, Mario Ruffini dedica uno studio. Altri strumenti ausiliari della politica culturale italiana, nel epoca interbellica, gestita dal Istituto di Relazioni Culturali con l’estero sono stati: gli accordi bilaterali di cooperazione culturale, le missioni archeologiche, i viaggi di propaganda, i letterati di lingua italiana, le associazioni culturali, i giornali, gli scambi di conferenza ecc. (Carmen Burcea. Diplomatie culturala. Prezente romanesti in perioada interbelica, Editura Institutului Cultural Roman, 2007).

Al tema sull’insegnamento della lingua romena in Italia, mi soffermo al contributo portato dal professore Claudiu Isopescu (1894-1956), ordinario di lingua e letteratura romena presso l’Università degli Studi di Roma, essendo per gli anni 1926-1956 un importante protagonista della storia degli scambi culturali italo-romeni nel Novecento. Tra le sue iniziative fondamentali per la promozione della cultura romena in Italia s’iscrivono: la costituzione della biblioteca di romeno della cattedra, le traduzioni di opere romene in italiano e l’attività di ricerca.

Più importante del lavoro svolto alla cattedra è certamente la didattica, strettamente legata alla ricerca, promossa con eccellenza dal professore, come risulta dagli innumerevoli studi dedicati alla storia dei rapporti culturali italo-romeni. Se da una parte molti dei suoi interventi sulla stampa sono divulgativi, tant’è vero che la maggior parte della sua produzione ha uno spiccato carattere scientifico. Tra gli articoli divulgativi i più interessanti sono quelli sulla fondazione culturale romena Principele Carol, sui romeni della Bucovina, sulle riforme in Romania, sull’arte religiosa romena, sull’intervento della Romania nella prima guerra mondiale, sul castello reale di Sinaia, sugli influssi dell’arte italiana nei paesi romeni, sulle suggestioni della cultura italiana nelle opere dei letterati o storici romeni, sulle traduzioni di opere italiane in romeno, sulla legione romena in Italia, sul movimento legionario, sulla presenza italiana in Romania, su poeti come Octavian Goga (1881-1938), sulla cristianità dei romeni o articoli di carattere generale che sintetizzano la storia dei rapporti italo-romeni. Anche per la parte scientifica della sua produzione, che si tratti di libri o di studi, Isopescu si è soffermato sui rapporto italo-romeni lungo la storia. Le sue ricerche, di solito inedite, sono condotte con metodo storico-filologico, cioè dell’accertamento scientifico dei fatti relativi e connessi alla creazione letteraria (analisi di documenti, ricerche biografiche ecc.). Le sue ricerche affrontano tematiche come quella della latinità dei romeni, la presenza dei romeni nella letteratura geografica italiana del Cinquecento, gli influssi della letteratura italiana sul teatro drammatico e musicale romeno, il contatto della scuola transilvana con l’Italia, la memoria culturale italiana presente in diversi scrittori romeni (Otilia Stefania Pop Damian, Testimonianze su Claudiu Isopescu 1894-1956 e la fondazione della cattedra di lingua e letteratura romena all’Università “La Sapienza” di Roma, in Annuario dell’Istituto Romeno di Venezia, 2004-2005).

La diplomazia culturale italo-romena nel periodo interbellico si è concentrata molto sull’insegnamento reciproco della lingua che ha costituito un’importante capitolo. Degne di essere nominate sulla linea istituzionale, sono le due importanti iniziative culturali: L’Accademia di Romania e L’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia.

Accademia di Romania in Roma è un’istituzione dello Stato Romeno, fondata nel 1922 per lo studio e per la ricerca scientifica nel campo dell’archeologia, della storia, della filologia, della storia dell’architettura e dell’arte. L’Accademia di Romania in Roma funziona in base all’Accordo Culturale tra il Governo della Romania e il Governo della Repubblica Italiana. La gestione dell’Accademia è affidata al Ministero romeno degli Affari Esteri, le sue attività sono coordinate dall’Accademia Nazionale Romena e dal Ministero Romeno dell’Educazione e della Ricerca – per lo studio e la ricerca, e dall’Istituto Culturale Romeno – per la diffusione culturale. Oggi, l’Accademia accoglie giovani studiosi, vincitori di borse di studio a Roma e in Italia, in primo luogo i vincitori delle borse Vasile Parvan nell’ambito del Programma Nazionale di Borse di Studio post-universitarie o post-dottorali. Inoltre, nella sede vengono ospitati studenti, ricercatori e studiosi di università e di istituti di ricerca romeni che vengono a Roma per motivi di studio. L’Accademia di Romania svolge anche un ruolo di mediatore fra il mondo universitario e scientifico romeno e le università e altre istituzioni scientifiche e di ricerca presenti a Roma e in Italia, organizzando conferenze, convegni, seminari e incontri con studiosi italiani e di altre nazionalità.

Nicolae Iorga – Casa Romena a Venezia

Un altro punto di riferimento istituzionale lo costituisce L’Istituto Romeno di Cultura di Venezia. Nacque ufficialmente il 2 aprile 1930, inaugurato dal più grande storico romeno, Nicolae Iorga, con il nome di Istituto Storico Romeno di Venezia. Si coronava così un sogno che il grande studioso romeno aveva a lungo coltivato. La nuova istituzione si affiancava a quelle analoghe di Roma (Accademia di Romania) e di Parigi (Scuola Romena di Fontenay-aux-Roses). L’aiuto di alcuni amici gli era stato prezioso: da Roma, ebbe l’appoggio dello storico, suo allievo, Vasile Parvan e, nella Serenissima, lo sostennero sia il console di Romania, G. B. Bombardella, sia Eduard Serban, il quale comprò per primo, nel 1928, un appartamento nel Palazzo Correr, in Campo Santa Fosca. Negli anni successivi furono comprati, grazie a donazioni statali o private, altri spazi nello stesso edificio, arrivando, nel 1930, a venticinque stanze. Fra gli enti che fecero donazioni, ricordiamo: la Banca Nazionale di Bucarest, il giornale Universul, il Ministero del Commercio e l’Istituto degli Studi Sud-Est Europei (creato dallo stesso Iorga il 24 gennaio 1914), che ha sacrificato per questo scopo il suo bilancio per anni interi, come constatava Iorga nel suo discorso d’inaugurazione. La Casa Romena comprendeva alloggi per gli studenti, sale di studio, un appartamento d’onore, saloni per ricevimenti, conferenze e concerti. Tutto era decorato e arredato con sobrietà ed eleganza, con magnifici tappeti di fattura romena, acqueforti e dipinti di artisti romeni. Nicolae Iorga sperava che tutti gli studiosi romeni che avessero soggiornato a Venezia, quali ospiti della Casa Romena, potessero portare con loro, in Romania, un poco di Venezia. “Verranno qua i nostri, staranno in queste stanze piene di ricordi, contempleranno dalle grandi finestre la rossa distesa dei tetti e gli ampi orizzonti. Scenderanno nelle più belle strade del mondo e rimarranno lunghe ore innanzi alle pietre in cui è incorporato il Dio della bellezza eterna. E quando ritorneranno in patria, un poco di Venezia li accompagnerà”, auspicava Iorga nel discorso inaugurale. Per lui la Casa Romena a Venezia era prima di tutto un testimonio di gratitudine. Venezia, infatti, entrava profondamente nella storia dei romeni: Nicolae Iorga cita, nell’allocuzione inaugurale dell’Istituto, i legami intrattenuti dalla Serenissima con i principi romeni Stefano il Grande, Neagoe Basarab, Alessandro Lapusneanu, Costantino Brancoveanu ecc.

L’intento di Iorga era creare a Venezia una scuola di storici e storici dell’arte ben preparati e buoni conoscitori della cultura italiana. Per dieci anni, cioè sino alla morte di Iorga, nel 1940, presso la Casa Romena vennero ospitati moltissimi studiosi romeni, attivi in tutti i campi del sapere. In quegli anni la Casa fu affollata da studenti e professori mandati dalla Romania. Le porte sono aperte, entri la luce, diceva il grande storico nel’ aprile 1930. Ogni anno egli veniva a Venezia. E ogni anno la storiografia romena si arricchiva con nuove fonti grazie a Iorga e ai suoi collaboratori e amici. Molti illustri studiosi stranieri furono assidui ospiti della Casa Romena. Quando lo storico era presente si organizzavano conferenze e serate culturali. Vi si allestì una mostra permanente d’arte popolare e di prodotti romeni. Con la tragica morte di Nicolae Iorga, nel 1940, anche la Casa Romena di Venezia perse tutta la sua vitalità. Subito dopo il 1945, fu addirittura abbandonata. Nel 1966 la Casa Romena andava rapidamente deteriorandosi: i soffitti e le pareti erano pericolanti, le finestre mancavano, i pavimenti erano stati strappati, le installazioni elettriche e sanitarie rovinate.

Questa situazione di abbandono durò fino nel 1988, quando il Comune di Venezia chiese espressamente al governo romeno di risolvere il problema della Casa Romena che si stava riducendo a un rudere. L’Istituto è diventato un’istituzione d’insegnamento. Sono stati aperti per gli studenti dell’Università Ca’Foscari un corso triennale di lingua e letteratura e cultura romena. L’Istituto pubblica due riviste: l’Annuario, che mira a documentare il contributo italiano e romeno (e non soltanto) all’approfondimento ed all’estensione degli studi italo-romeni; e Quaderni della Casa Romena di Venezia, che raduna i testi dei convegni e dei dibattiti tenuti nella sede dell’Istituto oppure dall’Istituto iniziati ed appoggiati. Una molto significativa realizzazione dell’Istituto è stata l’iniziativa, in accordo con l’Accademia di Romania a Roma, di far venire di nuovo a Venezia borsisti postuniversitari, per una durata di due anni (le borse per Venezia sono intitolate a Nicolae Iorga, quelle per Roma a Vasile Parvan). L’Istituto dispone di una biblioteca (circa 8500 volumi), destinata sia agli studenti, sia al pubblico interessato (presentazione pagina web del Istituto Culturale e Ricerca Umanistica di Venezia).

Dopo l’ultima guerra mondiale, i rapporti culturali con l’Italia si sono interrotti per quasi cinque decenni. Il periodo comunista cambiò maggiormente l’intera situazione. I legami organici con l’Europa Occidentale, libera e democratica, sono stati interrotti. Come reazione ad una tale politica culturale, durante gli anni ’70 e ’80 del XX secolo sì e sviluppata una cultura ufficiale di tipo nazionale-comunista. Nel 1989 dopo il crollo della dittatura comunista è stato riscoperto il senso della libertà anche nell’ambito della cultura e il dialogo interculturale è stato ripreso.

Ho riportato alcuni elementi che possono essere utili nel configurare una necessaria strategia attuale e che possono anche rappresentare una base per le relazioni culturali tra i due popoli, senza stereotipi e pregiudizi. Il riacquisto simbolico di un passato è la garanzia di una futura collaborazione e una futura comprensione.

Il fattore linguistico neolatino e quello culturale sono importanti per una corretta definizione delle relazioni italo-romene, e la latinità dimostra perciò la sua straordinaria forza qualificante. Dobbiamo guardare con tanta consapevolezza la necessità di ricupero del proprio passato, vicino e lontano. Il rispetto e la comprensione sono attributi della civiltà dei popoli.

Rilevante per questa breve introduzione, ma anche in generale per il messaggio di questo libro è il discorso fatto da Ramiro Ortiz all’inaugurazione dell’Istituto di Cultura Italiana a Bucarest 2 aprile 1933, parole che gli trovo di una grande attualità (…) Tuttavia resta ancora molto da fare perché le relazioni di reciproca stima e fratellanza fra i due popoli e le due culture possano finalmente riposare sopra una salda base di cognizioni profonde che elimini per avvenire ogni spiacevole malinteso. Per potersi amare durevolmente, bisogna conoscersi. Finora troppo ci siamo contentati di discorsi alle base della colonna Trajana senza curarci ne gli uni ne gli altri di approfondire le nostre conoscenze intorno alla storia, all’evoluzione, e alla cultura dei due popoli che si sono finora amati istintivamente senza però conoscersi abbastanza (…)

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