Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Calistrat Hogaș (1847-1917)

Apr 8, 2013

Calistrat Hogas

Calistrat Hogaș è stato uno scrittore romeno, autore di deliziosi racconti di viaggi, tratti dalle esplorazioni personali nei Monti della Moldavia.

Nato il 19 aprile 1848 a Tecuci, Moldavia, come
figlio di Gheorghe e Maria Dumitriu, il nome Hogas è di fatto un sopranome di suo nonno, che viene dato anche a lui a scuola, per fare distinzione dagli altri omonimi e che lo scrittore manterrà per tutta la vita. Impara a scrivere e a leggere da un monaco, a cui è affidato dai genitori.
Dopo la Facoltà di Lettere, diventa insegnante di lingua romena, latina e francese e direttore di una
scuola media a Piatra Neamt, La Perla della Moldavia, come era chiamata per le sue bellezze naturali e architettoniche.
Il suo esordio letterario è segnato da alcuni frammenti di Ricordi di un viaggio in una rivista letteraria locale. Inizia a scrivere tardi, raccontando impressioni e fantasie delle sue lunghe e pittoresche gite carpatiche, instancabile viaggiatore e amante della montagna.

‘Ho iniziato a scrivere con l’intenzione di spostare la letteratura dei viaggi dalla via obiettiva, didattica e geografica che è esistita fin’adesso, sulla via soggettiva, come dovrebbe andare secondo me questo genere di letteratura.’ (Calistrat Hogas)
Con l’inizio della collaborazione di Hogas alla rivista Vità Romena, cominciano anche i preparativi per la pubblicazione del volume Sui sentieri di montagna, ma non è andato a buon fine perché conteneva troppi errori di battitura sfuggiti all’attenzione del correttore di bozze. Due anni dopo, la
stessa casa editrice pubblica di nuovo il volume, ma a causa di un incendio vengono distrutte tutte le
copie pronte per essere consegnate nelle librerie. Purtroppo, soltanto dopo quattro anni dalla sua morte, il suo volume arriverà finalmente al pubblico.

Lo scrittore rappresenta nell’evoluzione della letteratura romena di viaggi il punto in cui è stata abbandonato l’atteggiamento descrittivo esclamativo davanti alle bellezze della natura e ha fatto spazio alla trascrizione dei sentimenti provocati dall’ammirazione di quella che è diventata il
protagonista. La prosa paesaggistica guadagna terreno, definisce l’obbiettivo e le modalità di espressione. La scrittura unisce perfettamente il legame che esiste fra l’animale e il vegetale, tra la natura e l’uomo, sottolinea l’importanza dello stato d’animo del viaggiatore durante il suo passaggio
in mezzo alla natura non come se fosse un corriere a cui gli è stato assegnato l’incarico di portare se
stesso da una parte all’altra in veste di pacco, ma fare il viaggio con coscienza, attenzione e fantasia.
L’accento cade sulle emozioni nate dalla contemplazione dei minimi dettagli, la sete dello spazio,
dell’aria, del sole, la gioia dell’isolamento nella natura impura e la totale assenza delle costrizioni sociale che impediscono all’anima di sentirsi libera come solo in mezzo alla natura può succedere. ‘Ho voluto presentare l’uomo e la natura cosi come sono nella loro allo stato selvaggio.’ Le sue descrizioni sono cosparse di tono ironico e aneddoti amari e impressionano non tanto per eventi particolari quanto per le considerazioni sociologiche rurale e per l’esposizione delle varie
reazioni intime davanti alla bellezza del paesaggio, a volte messo in contrasto con l’esistenza misera
degli abitanti.
‘Qualsiasi viaggio, a parte quella fatto a piedi, non è secondo me un viaggio autentico. Viaggiare da
seduto, portato da una macchina o un treno significa vedere soltanto quello che ti si offre e non quello che vorresti vedere.
Nonostante non abbia rifiutato mai la civilizzazione e la sua lotta contro lo snobismo e la mediocrità, lo scrittore definisce la natura come l’unico vero rifugio dell’uomo, l’unico posto dove è
possibile riconquistare la vitalità. ‘Sotto i primi raggi di sole, si stava risvegliando tutto intorno, ma c’era una pace e un silenzio di una stupefazione solenne; l’intera natura sembrava immersa in un’attesa religiosa.’
Ridicolizza gli errori e la superficialità dell’uomo di città, critica il distacco dalle tradizioni popolari ed elogia i valori duraturi. Predomina un’atmosfera rilassata, il paesaggio e grandioso e dinamico, carico di misteri e imprevisti che custodisce i segreti dell’esistenza che non si sottopone alle ricerche
comuni e respinge gli interventi umani distruttivi. Abbonda in paragoni, personificazioni, iperbole e
termini estratti dalla concretezza delle cose e della cultura, esaltando la possibilità di percorrere non
solo un cammino in natura, ma anche un cammino spirituale, perché per lui la natura è il simbolo della gioia e della plenitudine, l’ambiente naturale dove l’uomo si sente a suo aggio e diventa sé stesso. Ci insegna che l’atteggiamento da seguire davanti alle incomprensioni della grande natura è
quello di inchino e rassegnazione.
‘In posti di questo genere, in qualsiasi direzione guardi, sei circondato dalla solitudine, ai bordi di qui la vita sembra svanire. L’uomo prende in prestito il mutismo dei boschi in mezzo ai quali conduce la propria vita . Faggi e aceri vecchi quanto il mondo, con i loro tronchi bianchi e nudi,
intrecciavano in alto il loro fogliame e componevano sopra le nostre teste una cupola verde e ombrosa. L’unico suono che si sente in questi posti e solo quello del vento, che si spezza quasi addolorato toccando gli aghi affilati degli abeti, ma questo suono ha un fascino immenso …’

Calistrat Hogas adora la natura fino ad arrivare alla divinizzazione e crede che l’uomo può scegliere
di integrarsi nella natura, diventando tutt’uno oppure respingerla, allontanandosi. Paragonato dal critico George Calinescu a Don Quijote, Hogas non sogna però avventure favolose ed eroiche, invece spera di scavalcare gli ostacoli immani per poter godere di piaceri cosmici rifiutate agli
umani.

Articolo a cura della dott.ssa Lorena CURIMAN

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