Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Moldavia. L’assenza dei gentori e il drama.

Mar 7, 2013

Moldavia. L’assenza dei gentori è il dramma. I figli degli emigranti soffrono e sperano

di Antonio Buozzi

Badanti, ma anche madri: un connubio alle volte difficile. E che si riflette in tante storie di donne coraggiose che lasciano marito, figli, genitori ed emigrano alla ricerca di un lavoro per poter mandare poi qualche soldo a casa. Una vita fatta solo di rinunce. Molte di loro sono romene, una popolazione che continua a crescere e si conferma la prima in Italia tra gli immigrati: 968.576 persone secondo gli ultimi dati Istat (2011). Il 55% è costituita da donne prevalentemente occupate come badanti o inservienti, spesso a tempo pieno presso il datore di lavoro. “Per molte di loro l’assenza da casa si preannuncia come temporanea” spiega Silvia Dumitrache, presidente dell’Associazione delle donne romene in Italia, “ma poi si prolunga nel tempo. E i contatti tra chi è emigrato e i familiari, soprattutto i figli, possono diventare problematici, alle volte sporadici.” Per ovviare a questo Silvia ha lanciato il progetto Te iubeste mama (La mamma ti ama) che attraverso un collegamento tra biblioteche italiane (per ora sei postazioni tra Milano e hinterland) e romene consente alle mamme di parlare con i propri figli o mariti via skype.

E’ l’altra faccia, quella nascosta, di un fenomeno che ha fortemente impattato sul sistema di assistenza degli anziani in Italia, sopperendo alle lacune o ai costi, spesso proibitivi, di strutture pubbliche o private in convenzione. E’ anche il prezzo pagato per poter garantire a persone non più autosufficienti un supporto ventiquattr’ore su ventiquattro, in un ambiente familiare, quello dove hanno sempre vissuto.

Per capire meglio le situazioni difficili che l’emigrazione per lavoro può causare nel paese di origine, siamo andati nella Moldavia romena, una delle aree di maggior emigrazione e più segnate da problemi di abbandono anche se temporaneo di bambini. A Roman, oggi una delle città più depresse dopo il collasso dell’industria pesante alla caduta del regime, incontro suor Emilia Rossi, della congregazione delle Dorotee di Vicenza. “Ospitiamo 18 ragazze” racconta “ di cui sei hanno uno o entrambi i genitori all’estero. Sono soprattutto le ragazze a soffrire di questa situazione, in particolare quando manca la mamma . In loro intravedi una grande sofferenza. Spesso non hanno neppure voglia di tornare a casa il venerdì sera, perché quando arrivano dai nonni o dal genitore rimasto sentono il vuoto, loro dicono “il deserto”. Cercano allora nelle amicizie un conforto, un rapporto sincero, che non hanno in casa.” Ma anche per il genitore rimasto il peso della lontananza si fa sentire. “ La partenza della moglie causa un grave disagio nel marito in molti casi che trova rifugio nell’alcol. Consigliamo allora alle ragazze di parlare, di dialogare con il padre, anche se spesso si comporta in modo violento”.

A pochi chilometri da Roman, tra dolci colline e campi a pascolo, c’è Buruieneşti un villaggio diventato ‘simbolo’ dell’emigrazione: dei 5.000 abitanti circa 2.000 oggi risiedono all’estero. Qui la Caritas ha aperto un centro per seguire nel doposcuola i bambini con maggiori problemi familiari o comportamentali. Ci lavora a tempo pieno dal 2009 Marzia Tiberti, una volontaria di Cedegolo, un piccolo paese della Valcamonica. “Nel centro seguiamo 370 bambini: di questi un terzo ha un genitore all’estero, 17 li hanno lontani entrambi e sono affidati a nonni, zii, cugini, fratelli più grandi . Due di questi, di 8 e 14 anni, vivono da soli, aiutati dalle altre persone del paese che li riforniscono di cibo e ogni tanto di indumenti.” Le famiglie dei ragazzi del dopo scuola appartengono ad alcune categorie a rischio: problemi di alcolismo, cui è associata spesso la violenza, la povertà estrema, oppure le famiglie numerose con anche 10 figli. Chiedo a Marzia quali sono le difficoltà che rileva nei bambini con i genitori emigrati. “La più grave è il voler ricompensare i bambini dell’assenza dei genitori. Li riempiono di status symbol: telefoni, giocattoli alla moda, congegni elettronici. Il bambino finisce per identificare il genitore con il regalo, di cui non coglie il sacrificio occorso per procurarlo. Alcuni genitori, poi, non hanno migliorato le condizioni economiche e si sono persi per strada, stabilendo nuovi rapporti affettivi e disinteressandosi della famiglia di origine. Finisce che non mandano più neppure i soldi a casa: al bambino mancano quindi l’affetto e il necessario per vivere”. Il fenomeno migratorio difficilmente genera situazioni equilibrate. Quasi sempre prevalgono i problemi. “I bambini privi di punti di riferimento” spiega Marzia Tibaldi “sono spesso iperattivi, aggressivi, con problemi comportamentali gravi come il furto, anche di cose insignificanti, a denotare uno stato profondo di malessere. E, da quest’anno assistiamo a un nuovo fenomeno: il rientro dei bambini dall’estero. Tra quelli che seguiamo, 13 sono arrivati da Italia e Spagna”.

E’ il fenomeno della remigratia. Chi meglio lo ha studiato è Alternative Sociale, una organizzazione non governativa fondata nel 1997 a Iasi, nell’estremo nord-est romeno, quasi al confine con la Repubblica Moldova. L’indagine, finanziata dall’Unione Europea, à stata condotta su 21.135 bambini emigrati, principalmente in Italia e Spagna, rientrati poi in Romania, spesso con i genitori, nel periodo 2008-2012. Sono dati coerenti con quelli forniti dall’Istat sulle cancellazioni di cittadinanza in Italia di popolazione romena: dalle 2747 richieste del 2007 passiamo alle 7693 del 2011, un terzo di tutte quelle di soggetti provenienti da paesi europei. Ebbene, di questi bambini quasi il 30% ha denunciato problemi anche importanti di tipo emozionale o psicologico dovuti al trauma del reinserimento: relazione problematica con gli altri bambini, difficoltà di apprendimento e rendimento scolastico. “Forniamo supporto sia ai ragazzi e alle loro famiglie, sia, a livello metodologico, agli insegnanti e operatori assistenziali” ci racconta Alex Gulei, coordinatore del progetto di ricerca ‘Remigratia copiilor romani’. “E c’è anche problema scolastico, perché i programmi tra paese di origine e di immigrazione non sono equivalenti. E sono spesso i bambini re-immigrati a fare fatica: in Romania si inizia a 5 anni con la classe preparatoria, che di fatto è comparabile a una prima italiana. Chi ritorna si trova così inserito in una classe più avanti nel programma, e spesso non riesce stare al passo”. In fondo, per loro, lasciare l’Italia è come essere emigrati di nuovo.

Fonte: Avvemire, 3 marzo 2013

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