Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Le Siberie dietro casa

Apr 5, 2011

Le Siberie dietro casa
Ingrid Beatrice Coman

Anni indietro, sentendo le notizie frammentarie e distorte che ci arrivavano sulle deportazioni, nomi di persone scomparse, pronunciati a voce bassa, timorosa, mischiati a nomi impronunciabili di remote località, che suonavano come altrettanti misteriosi inferni, pensavo: sono laggiù, in Siberia, in un posto coperto da neve e oblio, abbastanza lontano da non temere le sue vibrazioni sul nostro piccolo mondo incerto.

Questo senso di sconfinata lontananza ci consolava in qualche modo e acquietava le nostre paure. Se non altro il suo freddo senza scampo non poteva raggiungerci.

Ci sono voluti anni per capire quanto in realtà la temuta Siberia fosse vicina e quanto fosse facile finire nella sua pancia sempre affamata.

deportari

Già, perché in realtà ogni posto dimenticato da Dio e dagli uomini può diventare la Siberia di un popolo; non serve andare lontano nello spazio, basta andare fuori dallo sguardo di chi ti può ancora riconoscere e dalla memoria di chi ti può ancora ricordare.

Nel 1951, 40.000 persone, etichettate come “nemici del popolo”, venivano deportate dal regime comunista nel Baragan, la pianura più ostile della Romania, arida e sterile*, là dove “non crescono alberi, e le fontane sono così lontane che puoi morire di sete a metà strada tra l’una e l’altra”, come diceva lo scrittore Panait Istrate. (Ciulinii Baraganului, I Cardi di Baragan)

In meno di 48 ore, 12.791 famiglie hanno dovuto lasciare le proprie case e mettersi in viaggio verso l’ignoto, ammassati come bestiame in vagoni merci e scaricati in mezzo al nulla. Molti di loro non fecero mai ritorno alle loro terre.

8.867 vagoni e camion sono stati utilizzati per trasportare i deportati. *

Stremante e infernale, il viaggio durò due settimane. Molti non ce la fecero e i loro corpi senza vita vennero scaricati lungo la strada. Quelli che ci arrivarono ancora vivi la raccontano come l’esperienza di chi approda su un pianeta sconosciuto.

“Avevo sei anni quando ci siamo arrivati, con i miei genitori e le due sorelle. Il villaggio era circondato da rubinie. Siamo stati deparassitati e portati a un palo con sopra un numero, il nostro.” ricorda Vasilica Aurel (66 anni). Un altro contadino completa il suo ricordo: “Noi abbiamo ricevuto il palo numero 61 e ci hanno fatto vedere un palmo di terra attorno dove noi, genitori e nove bambini, dovevamo ricominciare una nuova vita.” *

Molti di loro non ce l’hanno fatta e sono morti poco dopo. Altri sono riusciti a scovare la vita dal nulla e mettere in piedi veri paesi che ancora oggi portano l’impronta della loro storia surreale.

Nel 1952, i deportati ricevevano carte d’identità con la stigmate D.O. (Domiciliu obbligatorio, domicilio forzato). *
Il confine passava dietro casa: decine di poliziotti a cavallo lo sorvegliavano giorno e notte, picchiando o uccidendo chi osava avventurarsi oltre.

baragn 1

Negli anni le capanne sono lentamente diventate vere case e tanti non se ne sono più andati nemmeno quando il regime lo ha consentito. “Noi abbiamo tirato su con le nostre mani la nostra chiesa, il consultorio medico, la scuola, la polizia, l’oratorio, tutto. Qui c’è il nostro lavoro e il nostro sudore”, racconta Stavre Furtos (47 anni), che ha sotterrato la propria madre proprio dove era stata portata per morire, a Fundata. *

Tutto questo a meno di 100 chilometri dalla trafficata capitale, Bucarest. Ma tanto era bastato per uscire dal mondo, come partoriti al contrario. Una piccola Siberia trasferita nel cuore della pianura.

Più tardi, leggendo la storia di altri paesi, mi sono accorta di quanti nomi diversi possono acquisire le Siberie nel mondo. A dire il vero, potrebbero anche non avercelo affatto un nome, dato che tutti quelli che ci vanno finiscono per perderlo e a volte non restano nemmeno le iniziali da incidere su una croce.

Una domanda si insinua, come un minuscolo serpente velenoso: sarà che forse ogni paese ha la sua Siberia, la sua terra di nessuno dove portare i passi di chi non la pensa come noi?

È poi così lontano questo posto? Forse meno di quanto crediamo…

*dati, nomi, citati e fotografie tratti da “Adevarul” (http://www.adevarul.ro/actualitate/social/Mica_Siberie-dupa_60_de_ani_0_452955305.html)

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