Intervista con Ingrid Beatrice Coman realizzato da:
Karim Metref
Ingrid Beatrice Coman è una scrittrice di origini romene, che si è trasferita in Italia molto giovane e oggi vive tra Italia e Malta, ma continua a produrre letteratura in lingua italiana. Senza fare troppo rumore, lontana dai convegni e incontri per “scrittori migranti”, sta diventando una delle più prolifiche di questi autori nati altrove ma che hanno adottato la lingua italiana per esprimersi.
Ha già al suo attivo 2 romanzi (La città dei tulipani. Luciana Tufani Editrice, 2005; Tè al Samovar. L’Harmattan Italia, 2008), una raccolta di racconti (Non spegnete la luce. Ed. Memorie del Mondo, 2008) e una infinità di contributi, poesie, pensieri e racconti, sparsi sia sulle antologie cartacee che sulla rete. È appena uscito per la giovane casa editrice Uroboros di Milano, il suo quarto libro: Per chi crescono le rose. Una storia che si svolge in Romania, nella profonda provincia moldava, negli ultimi giorni precedenti la “rivoluzione” del 1989.
Per letterranza, l’autrice , che si è dimostrata molto disponibile come sempre e che ringrazio per la sua gentilezza, ha concesso questa breve chiacchierata per presentare il suo ultimo lavoro.
KM. E’ appena uscito nelle librerie ‘Per chi crescono le rose’, il tuo quarto libro. La storia si svolge pochi giorni prima della ‘rivoluzione’ del 1989, in Romania. come presenteresti il tuo racconto in poche parole?
Ingrid Beatrice Coman. E’ una storia d’amore, fondamentalmente. Amore di quelli meravigliosi, combatutti, contrastati, impossibili, imperdonabili, struggenti, ma che proprio per questo riescono a sopravvivere anche nel più ostile degli ambienti, come l’erba che spunta attraverso il cemento. Il cemento invece è la società, le sue leggi ferree, i pregiudizi, la fatica di vivere, la mancanza di libertà, il sistema che circonda i personaggi come una camicia di forza, la povertà, la paura. Quella rivoluzione stessa che ha sconvolto la vita di tanta gente, spolverando le sue certezze senza offrire niente in cambio, solo falsi discorsi, un abbaglio di democrazia e tanto amaro da masticare ancora per anni…
KM. Il racconto, come abbiamo già detto, si svolge in Romania. I primi erano ambientati in altre terre. Ci voleva tutto questo tempo per poter parlare con serenità di ciò che è successo nel 1989?
Ingrid Beatrice Coman. In tutta onestà – sì. A dire la verità mi sono fatta la domanda anch’io in tutti questi anni e mi sono chiesta tante volte come mai nel mio cuore e anche sotto la mia penna c’era tutto questo silenzio quando si trattava di ricordare la Romania nei suoi (e miei) momenti più difficili. Per tanto tempo non ho trovato risposta. Non so nemmeno se ce l’ho ora. Ma un giorno ho preso la penna e ho cominciato a scrivere un racconto sull’odore del pane che si aspetta in fila per ore all’alba di un giorno d’inverno (“L’odore del pane”). Così, di getto, e quando l’ho finito ho capito che il viaggio a ritroso era cominciato; che finalmente potevo osare ad entrare in quello spazio così delicato e doloroso della memoria senza rompermi le ossa. Perchè è di questo che si tratta: dolore. Nella casa dei ricordi bisogna camminare in punta di piedi. Io non volevo ricordare perchè faceva male. Alla fine ho cominciato a scrivere, ma non perchè il dolore se n’era andato, ma perchè avevo capito che dovevo smettere di scappare, dovevo accettarlo nella mia vita, con semplicità e forse anche con gratitudine. Perchè niente arriva per niente sulla nostra strada e ogni cosa che ci succede è pur sempre una preziosa lezione da conservare.
KM. Dopo più di 20 anni da quella del 1989, che fu una rivoluzione molto singolare, se ne parla nella letteratura romena? se sì, che bilancio se ne fa? che polemiche continua a sollevare?
Ingrid Beatrice Coman. Sì, se ne parla. Magari non quanto vorremmo, ma tanti scrittori stanno intraprendendo questa strada nel cercare di capire e sopratutto di aiutare la propria gente a capire. Credo comunque che la storia debba ancora qualche risposta al popolo romeno. Arriveranno, un giorno o l’altro. Molte opere sono solo altrettante domande fatte e lasciate aperte, nella speranza che qualcuno le coglierà e ci aggiungerà una risposta, o magari solo un’altra domanda. E così di libro in libro e di domanda in domanda arriveremo forse, prima o poi, a trovare le risposte.
Il mio romanzo stesso è una domanda lasciata aperta, per ciò che riguarda la rivoluzione.
Offre solo la visione, limitata, ma proprio per questo vera e drammatica, di chi stava giù, in strada, e non aveva altri strumenti per combattere se non le nude mani e altri strumenti per capire la storia se non ciò che veniva masticato dalla televisione, in modo frammentario e quasi surreale.
Non mi sono proposta di dare risposte, ma semplicemente di presentare la storia nei suoi piccoli dettagli attraverso gli occhi di chi doveva mettere insieme la propria vita con niente, attimo dopo attimo, e il cui domani non era mai scontato. Le polemiche sono ancora tante ma non ci porteranno lontano. A noi serve solo un po’ di verità, ma sopratutto tanta volontà di non dimenticare.
KM. Per finire questa breve intervista, c’è una domanda che vorresti porre a te stessa?
Ingrid Beatrice Coman. La domanda che vorrei porre a me stessa é: perché bisogna andare così lontano nel tempo e nello spazio per poter tornare a casa? E io questo non lo so. Ma ho imparato ad accettare che va bene così, che anche le strade più lunghe e più complicate hanno un senso, se alla fine del cammino c’è odore di casa. E poi bisogna anche, a un certo punto, accettare che la casa non è in un solo posto, ma può essere ovunque, che in fondo siamo solo delle strane grosse lumache che vanno in giro con la casa non più dietro, ma dentro.
Fonte
www.letterranza.org