Lei insegna l’arte della danza in una delle Scuole di Danza più notevoli d’Italia, fondata nel 1813 e diventata, nel tempo, luogo di formazione di uno straordinario numero di Etoiles. Immagino che una scuola di tale fama rappresenti un impegno particolarmente difficile per un insegnante, tenendo conto sia del fatto che non sia facile mantenere costantemente alto il proprio nome, sia della grande responsabilità di cui ci si fa necessariamente carico in una simile posizione.
Io non ho studiato per divenire insegnante, ma lo sono diventata quasi per caso, in quella che ai tempi è stata per me una circostanza non molto felice e di grande difficoltà. Il mestiere di insegnante e di guida artistica è molto difficile ed è una responsabilità grande che si ha nei confronti di bambini che vogliono trasformare la loro passione in una professione. Infatti non basta applicare le conoscenze di danza, di anatomia, di pedagogia, per formare un futuro ballerino. È una carriera difficile e molto impegnativa I maestri che scelgono di insegnare danza in una scuola professionale non solo devono avere incredibile passione e pazienza, ma anche molta esperienza. La responsabilità nei primi anni di studio è, soprattutto, dell’insegnante, e solo con l’andare del tempo questa si divide in parti uguali tra professore ed allievo.
Docente di danza classica, danza di carattere e storica presso la Scuola di Danza del Teatro alla Scala di Milano… che significa e che metodo viene insegnato?
Il balletto classico sta alla base della formazione dei ballerini di ogni tipo. La preparazione fisica, tecnica ed artistica che viene assimilata tramite la danza classica ti dà la possibilità di avvicinarti facilmente ad ogni arte del balletto. Nella formazione di un ballerino sono molto importanti lo studio della danza di carattere (Le danze folcloristiche trasformate per essere rappresentate sulla scena) e la danza storica (le danze degli anni 1500-1800). L’una e l’altra si incontrano spesso nelle coreografie del repertorio classico, senza il quale ogni ballerino avrebbe una formazione incompleta.. Una buona lezione ha vari aspetti, l’importante è motivare e coinvolgere l’allievo. Ricordo che questo è stato un punto di riferimento durante la mia scuola di danza in Romania – la pedagogia che ha per finalità la formazione di una personalità il più possibile armonica e completa.
E’ nata a Sinaia, una città piena di storia. Ha trascorso l’adolescenza attorno ad un luogo storico, la sua casa si trovava infatti vicino al castello Peles, costruito dal Re Carol I di Romania, dopo l’instaurazione della monarchia. Che ricordi legati a quel luogo serba nel cuore?
Porto nel cuore il profumo delle strade di una volta, che adesso lì non ho più sentito; quando vai via da un posto porti inevitabilmente con te un ricordo preciso delle strade, delle case. La mia infanzia nei giardini del Castello Peles, che allora non erano recintati, per esempio…ero libera di giocare nel prato di re Carol I. Sinaia è cambiata tanto, l’ho ritrovata diversissima al mio ritorno nel paese, e ci sono dei luoghi d’infanzia che non ho riconosciuto nemmeno.
“La danza mi ha dato molto equilibrio nella vita, mi ha sostenuto e per questa ragione mi considero una persona davvero fortunata”
Ritorniamo alle origini della sua passione per il balletto, al periodo dei primi passi di danza. Lei ha ereditato questo dono artistico oppure ha sentito una vocazione personale per il balletto?
Ai miei tempi c’era un certo pregiudizio nei confronti degli artisti e dell’arte, un mestiere che purtroppo non ti dava modo di vivere e di sopravvivere senza sforzi. Nella mia famiglia non c’erano ballerini, anche se posso dire di avere avuto senz’altro un’eredità artistica, dato che mia madre era un soprano.
Da bambina iniziavo e finivo la mia giornata ballando. Nel momento in cui sono salita su un palcoscenico della mia città per un piccolo spettacolo, ho avuto la fortuna di essere notata dal direttore della Scuola di Danza di Cluj Napoca. Dopo lo spettacolo, è riuscito a parlare ai miei genitori, dicendogli che bisognava assolutamente farmi partecipare all’esame d’ammissione della Scuola di Danza. Posso dire che in quel momento, soprattutto per mio padre, l’idea di diventare una ballerina non era da prendersi nemmeno in considerazione. Ricordo che i miei genitori dibatterono moltissimo su questo argomento.
Quindi è partita dalla sua città di montagna per andare a studiare in un’importante città culturale romena come Cluj Napoca, dove è diventata una ballerina professionista, gettando le basi di una solida carriera, che non si è sicuramente evoluta come prevedeva suo padre.
Certamente le cose sono cambiate, ed il dispiacere di mio padre è presto passato. Al mio primo spettacolo a Cluj come ballerina, ricordo che mi portò dei fiori e fu molto felice. Tornando indietro, per quanto riguarda il periodo di formazione, posso dire di considerarlo fondamentale sotto molti punti di vista. La Scuola di Danza di Cluj mi ha dato tutto quello di cui avevo bisogno per una preparazione solida e seria nel mondo della danza. Grandi maestri mi hanno guidata, mi hanno dato fiducia e mi hanno sostenuta. Ripenso a quel periodo della mia vita come all’inizio del mio sogno. La scuola di Cluj Napoca è stata davvero completa: si studiava danza, ma anche tutte le discipline ad essa correlate. Per esempio, ho studiato anche varie materie specialistiche: storia della danza, della musica, dell’arte, repertorio di danza Classica, danza Storica, pianoforte, l’arte dell’attore etc. Durante il Liceo ho poi ottenuto una borsa di studio di due mesi a Leningrado e una di tre mesi a Cuba, in occasione di uno scambio interculturale tra le tre scuole.
Si dice che lo studio professionale della danza in un certo senso rubi qualcosa alla vita di un bambino, alla sua adolescenza, e lo privi di uno dei periodi più belli della vita. Com’è andata nel suo caso?
Dipende dal punto di vista col quale si guardano le cose. Io desideravo ballare con ogni singola parte di me, è stato il mio sogno. Avevo una motivazione forte e chiara, che è davvero importante quando si sceglie una strada come questa. Questo mestiere è comunque un sacrificio: ero bambina, mi trovavo in un’altra città, sentivo come tutti la mancanza dei genitori, in un asilo di quaranta bambini che facevano tutti le stesse cose: ci si svegliava ogni mattina alle sei e tutto finiva la sera tardi… Ricordo che si studiava alla luce di un lampione, perché alle nove la luce veniva spenta.
La verità è che un ragazzo o una ragazza che deve studiare danza, se non si sveglia al mattino con il sorriso sulle labbra all’idea di allenarsi, è meglio che lasci perdere. Di tutti quei 140 bambini che erano con me all’inizio, ne sono rimasti 11. Queste rigide selezioni che si facevano una volta portavano molto presto l’allievo a sviluppare una certa responsabilità e maturità, ad una competizione precoce, regalandogli un bagaglio ricco di emozioni e di timori. Dico sempre che se un bambino studia danza, ma non è forse nato per questo mestiere, il tempo passato nella scuola di ballo non è comunque tempo perso, poiché qui riceve una disciplina speciale, una straordinaria capacità di assumersi responsabilità e di risolvere problemi che più tardi lo aiuterà senz’altro.
Come si rapporta a quel passato della Scuola di Ballo che ha seguito? Chiedo questo nel contesto dell’insegnamento in una Scuola di Danza che crea generazioni e generazioni di ballerini. Cosa c’è di nuovo e che cosa di diverso oggi?
L’unica cosa che non è cambiata è la luce negli occhi dei bambini che amano quest’arte, il loro bisogno di essere aiutati e sostenuti dalle famiglie. Nella mia educazione e formazione un ruolo fondamentale l’hanno avuto l’amore e la cura dei miei genitori. Del resto non posso fare un paragone tra il presente e quei tempi. Prima di tutto io ho studiato gratuitamente. Oggi studiare danza, soprattutto in Italia, è quasi un lusso: costa l’abbigliamento, lo studio, la sistemazione, le audizioni. Devo dire che, da questo punto di vista, il comunismo dava uguali opportunità a tutti per studiare, anche per quelli senza o con poche possibilità. I miei genitori per esempio per me pagavano solo la mensa. In più c’era un’altra mentalità, contava più di ogni cosa avere una solida base culturale, che è senza dubbio molto importante. Oggi trovo molte delle Scuole di Danza più deboli, più superficiali dal punto di vista dall’istruzione scolastica, della preparazione culturale in generale.
Come giovani, allora, avevamo una vita culturale estremamente ricca. Per esempio io partecipavo ad incontri letterari, andavo ogni domenica alla Filarmonica, ai concerti… era normale. La scuola dava una formazione completa, cosa molto importante direi, che più tardi mi è stata di molto aiuto. Eravamo una generazione che dava valore alle cose, i tempi difficili ci obbligavano a dare un senso ad ogni cosa, anche la più piccola; ci si accontentava di comprare un disco ogni tanto oppure un libro, perché non c’erano possibilità economiche per altro…eravamo felici anche per un dolcetto o per i biscotti “EUGENIA”. Siamo proprio la generazione degli Eugenia-dipendenti!
La sua testimonianza mi fa sorridere, e voglio spiegare a quelli che leggono che molte generazioni in Romania ricordano il loro passato da allievi e studenti, grazie a questi “Biscotti Eugenia”. La gamma dei dolci da assaggiare si riduceva per la maggior parte di noi proprio a quei biscotti “Eugenia”, che erano buoni, a buon mercato e alla portata di tutti. Lei ha iniziato a Cluj e ha poi continuato a Bucarest, in qualità di ballerina al Teatro Rapsodia Romena… com’è stato quel periodo?
Una volta ottenuto il diploma alla Scuola di Danza si veniva mandati in un “Corpo di Ballo”, ed io sono finita a Bucarest, dove la mia esperienza professionale è stata intensa ma breve, perché poco dopo sono partita per l’Italia. Nei Teatri Nazionali ho ballato soprattutto un repertorio classico, e così anche all’estero, in città come Atene, Vienna, Zagabria, Budapest, Praga; Ho interpretato vari ruoli nel “Lago dei Cigni”, “Giselle”, “La Bella Addormentata”, “Esmeralda”, “Coppelia”, “Paquita” ecc.
Lei è partita per un viaggio turistico, per visitare i monumenti storici italiani. Un “viaggio” che dura già da 30 anni, tenendo conto che è partita un anno dopo il terribile terremoto del 1977 in Romania…
Era l’anno 1978, il 4 marzo per la precisione. Mi ricordo benissimo quel giorno. Davvero, sono arrivata come turista. Allora avevo 10 dollari in tasca, non conoscevo la lingua, non avevo amici qui e l’unica cosa preziosa che possedevo era il bagaglio del mio mestiere. Guardando indietro non posso dire del tutto di essere scappata. Io amavo ed amo il mio paese, andava tutto bene dal punto di vista professionale, però credo che i giovani siano assetati di vedere cose nuove, di conoscere, di misurare le proprie forze: quella era una meravigliosa possibilità di fare concretamente qualcosa. L’Italia, nel periodo in cui arrivai io, era in un momento di grande sviluppo culturale, si prestava incredibile attenzione all’arte, e soprattutto alla danza.
Con il bagaglio di conoscenze acquisito in Romania, Lei ha fatto i primi passi da ballerina nella Compagnia di Danza di Liliana Cosi-Marinel Stefanescu, compagnia che adesso compie oltre 30 anni di attività artistica. Com’è stato quell’inizio in Italia, quell’inizio da ballerina?
Ho iniziato la mia carriera artistica nell’ambiente della compagnia di Marinel Stefanescu-Liliana Cosi, a cui sono infinitamente riconoscente. È stato per me di grande supporto, infatti la situazione non era di certo facile… il fatto di non possedere un visto di lavoro, che bisognasse sempre rinnovarlo all’ambasciata dell’ex-Iugoslavia, per esempio. Però, come ripeto, sono stata fortunata e quei primi anni sono stati importanti per me. In seguito, mi sono iscritta all’ARIA, cioè Agenzia dell’Impresario Artistico, una parte dei soldi guadagnati li davo allo Stato Romeno. La verità è che non volevo creare dei problemi alla mia famiglia; tutti sapevano che se qualcuno andava all’estero, i suoi familiari potevano subire delle ripercussioni…
Violeta POPESCU, “Personalità romene in Italia. Interviste. Storie ed Esperienze”, Edizioni Arco 2008