Poiché prima della caduta del regime comunista, Mircea Eliade costituiva un nome proibito in patria, è naturale che dopo il 1989 iniziò in Romania un processo di rivalutazione della personalità e delle opere del grande romeno. Purtroppo è anche vero che in questa comprensibile frenesia nel bruciare le tappe per riallinearsi all’Occidente nei più disparati domini, non si è intrapreso un processo di conoscenza, di dibattito a livello nazionale a proposito delle idee di Mircea Eliade; si è infatti preferito dare il via a una disputa a proposito del suo passato o – prendendo a prestito un’espressione apparsa in una monografia italiana dedicata al celebre intellettuale (Pietro Angelini, L’uomo sul tetto. Mircea Eliade e la “storia delle religioni”, Bollati Boringhieri, 2001) – a proposito del “suo poco chiaro passato romeno”.
Per esempio, almeno nel primo decennio dopo la Rivoluzione romena, in rapporto con il nome di Mircea Eliade, “l’Italia” per l’opinione pubblica romena non costituiva la patria di quegli uomini di scienza o di lettere che in una maniera o nell’altra avevano influenzato la vita e l’attività di Eliade: Giovanni Papini, Cesare Pavese, Raffaele Pettazzoni, Giovanni Gentile, Giuseppe Tucci, Ernesto Buonaiuti, Ernesto de Martino ed altri. L’Italia veniva invece considerata, sulla base degli studi firmati da Alfonso di Nola, Furio Jesi sau Claudio Mutti, uno dei focolai “dello scandalo Mircea Eliade”. Esso, come si sa, coinvolge alcune tappe della biografia di Mircea Eliade, soprattutto quelle giovanili, mettendo in discussione le sue simpatie e le sue opinioni politiche. Un “processo alle intenzioni” che è stato condotto, talvolta con parecchia violenza, anche contro altri romeni di fama europea, che fanno parte della brillante generazione intellettuale di Mircea Eliade, mi riferisco a Emil Cioran e Eugen Ionescu.
Ciononostante si può affermare che l’Italia ha fatto molto di più per Mircea Eliade di quanto non abbia fatto – e faccia oggi – la Romania. Prove di questa affermazione si possono trovare anche nel volume a cura di Mircea Mincu e Roberto Scagno, Mircea Eliade e l’Italia (Milano, 1987).
In Italia si è sviluppato un dibattito internazionale e sono apparsi lavori che rivalutano, dalla prospettiva del nuovo contesto assiologico del secolo XXI, l’eredità di Mircea Eliade nella scienza e nella storia delle religioni. Solo per fare un esempio, rammenterei l’incontestabile influenza che l’intellettuale romeno ha avuto nella formazione della cosiddetta Scuola di Roma (Raffaele Pettazzoni, Angelo Brelich, Ugo Bianchi, Dario Sabbatucci), influenza dimostrata anche da Gianfranco Bertagni nel suo volume Lo studio comparato delle religioni. Mircea Eliade e la scuola italiana (Libreria Bonomo Editrice, 2002).
“Almeno in Italia hanno smesso sia di costruire archi di trionfo, sia di alzare le barricate per Mircea Eliade” scrive l’autore sopracitato, Pietro Angelini. Non si sente più il bisogno di libri “a favore” o “contro” di lui, così come non sembrano più necessarie delle opere esplicative, per quanto semplici, del suo pensiero, operazione quest’ultima intrapresa innumerevoli volte, fino alla noia, applicata a tutti i domini della conoscenza, e in tutte le “nostre” lingue. E’ giunto invece il tempo di utilizzare Eliade per discutere di qualcos’altro, per esempio a proposito della disciplina che egli stesso ha fondato e che ha poi gettato in profonda crisi.
Siamo effettivamente capaci di leggere Mircea Eliade ai giorni nostri, senza mitizzare le sue idee e senza esasperare il fattore personale e biografico della sua opera? Questa è, credo, la domanda a cui devono rispondere sia gli intellettuali romeni, sia quelli italiani nei prossimi anni. L’opera vasta e multiforme di Mircea Eliade si rivela sempre più attuale e ricca di fascino, aperta a riletture metodologiche, a reinterpretazioni teoriche e a sviluppi creativi.
I momenti decisivi della rivalutazione dell’eredità di Mircea Eliade in Italia sono basati non sulla deferenza, bensì su solidi criteri scientifici. Questo processo di rivalutazione comincia nell’aprile 1988, durante i lavori del congresso sul tema Mircea Eliade e le religioni asiatiche, e continua nell’ottobre 1996 al congresso internazionale di studi organizzato a Bergamo dal suggestivo quanto generico titolo Confronto con Mircea Eliade. Significativamente, proprio dai centri di ricerca legati ai due “maestri” italiani di Mircea Eliade (Giuseppe Tucci e Raffaele Pettazzoni) sono nate in modo independente le due iniziative, che si sono rivelate complementari, di omaggio non celebrativo al grande studioso romeno. Speriamo che anche il Congresso europeo della Storia delle religioni che si sta svolgendo a Bucarest in questi giorni porti il tanto aspettato contributo romeno alla rivalutazione su base epistemiologiche del pensiero elidiano.
Eliade: cui prodest? Questo è il titolo scioccante della relazione del prof. Dario Sabbatucci dell’Università di Roma „La Sapienza” al Convegno Internazionale di Bergamo. “E’ un fatto, afferma il prof. Sabbatucci, “che la bella e vasta produzione di Eliade non serva gran che – o forse non serva affatto – allo storico delle religioni. Si dirà: ma lui è stato uno storico delle religioni, e di chiara fama. Lo si può dire, però, soltanto equivocando sul nome della disciplina che chiamiamo ufficialmente storia delle religioni”. Lo stesso Eliade ha temuto l’equivoco quando all’Università di Chicago ha fondato la rivista intitolata “History of Religions”. E allora, nel primo numero, ha ritenuto di dover avvertire il lettore: “storia delle religioni” per questa rivista è una dicitura puramente convenzionale, in realtà essa è dedicata alla “scienza delle religioni”. La convenzione nasce dal fatto che le autorità scientifiche internazionali hanno adottato il titolo di “storia delle religioni” senza un vero e proprio impegno programmatico: ciò che sembrava importante era l’oggetto, cioè la religione. Ciononostante, rimane inconfutabile il fatto che il nome di Mircea Eliade sia legato alla memoria culturale della civiltà moderna nella disciplina della Storia delle religioni.
Quest’anno, che l’Istituto Culturale Romeno di Bucarest ha giustamente proclamato “L’anno di Eliade”, sono state pubblicate in Romania alcune opere importanti per lo sviluppo del processo di ricezione ed esegesi delle opere di Eliade: la traduzione del volume di Florin Turcanu, edito per la prima volta dalla parigina Flammarion, volume intitolato Mircea Eliade, prigioniero della storia; l’edizione critica del Giornale portoghese di Eliade e lo studio Mircea Eliade dal Portogallo di Sorin Alexandrescu.
In Italia è apparso il volume Mircea Eliade storico delle religioni. Con la corrispondenza inedita Mircea Eliade – Károly Kerényi, scritto dal professore torinese Natale Spineto. Questo lavoro propone una ricostruzione delle fasi salienti della biografia intellettuale dello studioso romeno, un’analisi dei concetti chiave del suo pensiero (la comparazione, l’archetipo, l’ermeneutica, il simbolo) e di due componenti basilari della sua formazione: la relazione con il “maestro” Raffaele Pettazoni e il rapporto con gli esponenti del cosiddetto “pensiero tradizionale”. L’ambizione di questo libro è di contribuire a ricondurre il dibattito intorno alla personalità di Eliade sul piano che, allo stato attuale delle ricerche, con la mole di materiali nuovi e meno nuovi ormai disponibili, promette di portare i maggiori frutti: quello genuinamente storiografico.
A loro volta, i tre volumi recentemente apparsi in Romania costituiscono una prova della cambiamento di tono nelle pubblicazioni su Mircea Eliade — dagli interventi talvolta eccessivi a favore o contro di lui si è passati alla produzione di documenti e di studi eruditi, i quali analizzano la biografia e l’opera dell’autore romeno nel più ampio contesto della storia e della cultura europea dell’epoca. Possiamo osservare che dall’ampio vantaglio di analisi critiche e dal “conflitto delle interpretazioni” emerge la vitalità del pensiero e dell’opera di Mircea Eliade.
Vorrei ora segnalarvi solo uno dei temi legati alla biografia e alle opere di Eliade nel quadro del “fronte di discussione” aperto da questi tre recenti contributi accademici.
Nel successo internazionale di Mircea Eliade dovremmo analizzare non solo la sua relazione con una comunità accademica generale e astratta, bensì il modo concreto con il quale l’accademico romeno si è inserito e si è naturalizzato innanzitutto nella comunità accademica americana, e poi in quella italiana e francese. Il solito discorso a proposito della “universalità” di Eliade non ha permesso agli esegeti romeni di riflettere sul modo concreto attraverso il quale egli ha partecipato al fenomeno storico del risveglio della coscienza globale dell’America. Infatti, Mircea Eliade fu testimone diretto di questo processo, dato che nel suo momento chiave si trovava in uno dei suoi centri propulsori : l’università di Chicago.
Lì, dall’altra parte dell’oceano, l’erudito romeno è divenuto testimone di una avventura che ha trasformato il comparativismo – fino ad allora un semplice metodo di ricerca delle scienze umane e sociali – in uno strumento importante di elaborazione delle grandi strategie nel campo della storia delle civiltà, elaborate nel periodo post-bellico.
A partire dalla pubblicazione del Trattato di storia delle religioni (1949), Eliade si è preoccupato di un problema che va al di là dei fatti e delle strutture e al di là dei testi e dei fenomeni: la questione del senso. Si tratta di decifrare il ruolo dell’homo religiosus situato nel contesto storico-culturale preciso di ogni fenomeno. “Lo scopo finale dello storico delle religioni – scriveva Eliade – è quello di comprendere e chiarire agli altri il comportamento dell’homo religiosus e il suo universo mentale”. È sull’uomo arcaico che Eliade si è soffermato con predilezione. Rifiutando di lasciare in bianco i millenni della preistoria, ha percorso la via che porta verso le origini, dall’edificio religioso del Neolitico fino al Paleolitico superiore, in cui abbiamo l’arte delle caverne, poi al Paleolitico medio con le tombe e il simbolismo funerario. In molti casi il senso non è stato colto che in modo frammentario. Ma la coerenza simbolica scoperta presso l’uomo arcaico è un elemento assai importante e ha permesso ad Eliade di insistere sull’unità spirituale dell’umanità.
Per Eliade ciò che conta sono i miti, contenitori di archetipi, degli stessi archetipi, come scriveva Ernesto de Martino, “nei quali si esprime la condizione umana” al di là di tutte le epoche e di tutte le civiltà.
A ribadire questo giudizio c’è la considerazione che viene dal versante opposto: per Ioan Petru Culianu, allievo di Eliade, l’inserimento dello studioso romeno tra gli storici delle religioni è limitante, perché “il progetto di Mircea Eliade non si definisce in termini di storia delle religioni soltanto. A partire dall’ermeneutica del materiale storico-religioso, Eliade vuole offrire gli spunti per la costituzione di una «antropologia filosofica»”.
Poi, così come si deduce soprattutto dal Giornale portoghese, animato da coraggio e ambizione intellettuale, Eliade non aveva come obiettivo, così come egli stesso scrive, il solo progresso impersonale delle scienze umane: egli ha infatti inseguito con grande fermezza anche la propria realizzazione personale e la pubblica esaltazione di tutto il suo talento intellettuale.
Ambizione, orgoglio, tenacia nella realizzazione personale, fiducia in se stessi, desiderio di appartenere ad una aristocrazia intellettuale, caratterizzano, di fatto, l’intera generazione intellettuale della Romania degli anni ’30; il fatto che Eliade abbia primeggiato in questa competizione, raggiungendo una fama accademica a livello mondiale, ci rivela retrospettivamente quali fossero gli alti standard e le regole, talvolta disoneste, di questa competizione intergenerazionale. “Credo di avere qualcosa di grande da dire”, leggiamo nel Giornale portoghese, “credo di essere qualcosa di più di un semplice scienziato”; ancora: “ho letto moltissimo, ho sofferto moltissimo. Ho meditato sul mio sistema filosofico. Ho scoperto la formula del futuro centro di missionarismo romeno che voglio fondare”.
Sicuramente, il problema del desiderio di gloria non è privo di ambiguità e contraddizioni, essendo il principale motore della “colpa personale” che è stata attribuita a Eliade, tanto nelle scelte politiche di gioventù quanto nel suo atteggiamento di costante rifiuto nel riconoscere una qualsivoglia colpa o responsabilità personale.
In Mircea Eliade si riconosce, nello spirito ma non nei suoi scritti, una manifestazione moderna di fede in un ideale di gloria, ideale che, anche se ci sembra molto più antico, affonda in realtà le sue radici nel Rinascimento italiano. Non per nulla l’adolescenza di Eliade è stata marcata dalla sua passione per le correnti esoteriche e neoplatoniche del Rinascimento, ovvero da una tradizione di uomini tanto eruditi quanto passionali, che coniugavano in se stessi l’ideale del filosofo con quello dell’eroe. Per questo il legame di Eliade con l’Italia rimarrà vivo in eterno, al di là delle nostre interpretazioni più o meno obiettive.
docente Monica JOITA – d.i Istituto Culturale di Ricerca Umanistica Venezia