Centro Culturale Italo Romeno
Milano

145 anni di Brâncuși e di arte infinita

Feb 18, 2021

145 ANNI DI BRANCUSI E DI ARTE INFINITA

     “L’arte, forse quella meglio compiuta è stata realizzata durante l’infanzia dell’umanità. Perché l’uomo primitivo si dimenticava delle preoccupazioni quotidiane e lavorava l’arte con gioia. I bambini possiedono questa gioia primordiale. Mi piacerebbe risvegliare questo sentimento nelle mie sculture” (Constantin Brancusi).

145 anni di Brancusi perché quest’anno la Romania celebra 145 anni dalla nascita dello scultore romeno più famoso al mondo e autore prolifico di sculture moderne cariche di simboli e spiritualità arcaica della sua terra romena.

Tutti i romeni, e non solo, conoscono bene Brancusi e tutti abbiamo conoscenze sia scolastiche sia da letture private dei dettagli delle sue opere e della sua vita, in parte romena, in parte francese. Non sempre però ci ricordiamo di metterlo nell’elenco delle personalità romene famose quando qualche straniero ci chiede di parlargli della nostra terra, privilegiando gli scrittori, i poeti e gli sportivi. Per me è stata una riscoperta alquanto inusuale ed inaspettata di questa artista, propria nella città francese dove lo scultore ha perfezionato il suo talento innato. Credo che il ricordo più belo del viaggio a Parigi è stato proprio lui, Constantin Brancusi.Tra le mille mete da visitare, che avevo messa nella lista prima ancora di atterrare a Parigi, si trovava anche il Centro nazionale d’arte e di cultura Georges Pompidou – uno dei musei più visitati al mondo, che custodisce una collezione di migliaia di opere, in cui accanto alle arti visive trovano posto il design, l’architettura, la fotografia e le opere multimediali. Alla fine della visita però mi sono trovata con la testa piena di cosi tante informazioni sull’arte da metabolizzare, che ho sentito il bisogno di fermarmi un attimo sul gradino esterno del Centro per tirarmi il respiro da cosi tanta abbondanza. Giusto un attimo di riflessione sulle emozioni vissute pochi minuti fa ed i miei occhi stanchi si posano casualmente, per riposarsi, su una scritta sul muro che ho davanti. Pochi secondi per metterla a fuoco e si materializza, come per incanto, il nome familiare che non mi sarei aspettata di leggere proprio qui e proprio in questo momento, alla fine di una lunga giornata di passeggiate e visite parigine: Brancusi! L’Atelier Brancusi!

La stanchezza svanisce in un batter occhio, il corpo avanza senza nessun comando verso l’ingresso e la mente ha un unico desiderio: continuare a vivere quell’emozione, che ormai l’aveva allagata, di “casa”. Casa lontano da casa, casa vicina a Brancusi, casa in tutto il mondo (come le sue opere).

Sapevo che il mio compatriota aveva lasciato tutte le sue opere e gli oggetti contenuti nel suo studio situato al numero 11 dell’impasse Ronsin, al Museo d’Arte Moderna di Parigi e che nel 1977 una prima ricostruzione dello studio venne realizzata a fianco del Centro Georges Pompidou, ma non conoscevo il fatto che la riproduzione del suo laboratorio di lavoro realizzata dall’architetto italiano Renzo Piana, era terminata e il” mondo” di Brancusi aperto nuovamente la pubblico. Tutte le sue 137 sculture, gli 87 piedistalli, i 41 disegni, i 2 dipinti e più di 1.600 tra lastre fotografiche in vetro e fotografie originali dell’artista, sono qui, nella stessa identica posizione che l’artista le ha lasciate. Infatti, Brancusi dava molta importanza alla disposizione delle proprie sculture nello spazio dell’atelier, tanto che prima di morire decise di lasciare tutte le opere allo Stato francese, a patto che lo studio rimanesse com’era e le sue creazioni fossero mantenute nella disposizione in cui egli le aveva personalmente collocate. Per questa ragione, numerosi critici hanno interpretato l’atelier di Brancusi quasi come un’opera globale, a sé stante.

Le opere di Brancusi sono sparse per tutto il mondo, nei musei d’arte riconosciuti a livello internazionale e nelle più prestigiose collezioni, soprattutto al Museo d’Arte Moderna di New York. In Romania solo due musei custodiscono i capolavori del grande scultore: il Museo Nazionale d’Arte di Bucarest e il Museo d’Arte di Craiova.

Il silenzio solenne delle tre stanze mi proietta in un’oasi di pace nell’Atelier di lavoro dell’artista a Parigi, ogni opera illuminata in modo da rifletterla in tutta la sua bellezza, ogni nicchia in penombra perfetta, ogni parete bianco candido, gli attrezzi di lavoro, tuto crea armonia e tutto racconta di lui.

Romeno per nascita e francese per adozione, sin da tenera età, intaglia piccoli pezzi di legno di poco valore – il legno delle cassette di imballaggio – come passatempo e questa attività di svago diventa un’abitudine tanto frequente che un giorno riesce a costruire un violino addirittura funzionante – lo scultore raccontava che il successo che aveva ottenuto nella realizzazione del violino ha segnato la sua successiva carriera. In quel momento decide di iscriversi alla Scuola d’Arti e Mestieri di Craiova – aveva 18 anni – è passa la prova d’esame con facilità e con grande talento – talento che la scuola lo riconosce subito e gli accorda una borsa di studio che gli permette di mantenersi e di concentrarsi esclusivamente sullo studio a tal punto da finire gli studi con il massimo dei voti, ugualmente anche alla Scuola Nazionale delle Belle Arti di Bucarest.

All’epoca tutti gli artisti romeni consideravano Parigi la capitale mondiale dell’arte e tanti giovani artisti ci andavano per il perfezionamento dei loro studi – anche lui decide di intraprendere questa strada, viaggiando a piedi per due mesi fino a Parigi, dove con un modesto finanziamento dallo Stato romeno riesce a continuare i suoi studi all’École Nationale des Beaux-Arts. Negli anni di studio all’Accademia aveva sviluppato un deciso rifiuto della pratica del modello – “non porta che a scolpire cadaveri” diceva – e cerca una tecnica diversa di lavorare la materia, con particolare attenzione sull’effetto della luce e delle ombre sulla superficie delle opere, rendendo in questo modo i visi scolpiti e non più monumentali, ma più espressivi, soprattutto per la necessità di liberarsi dalle costrizioni dell’insegnamento accademico.

Riesce a farsi notare abbastanza in fretta, con alcune opere in bronzo esposte, tra le quali quella che aveva attirata più attenzione, il Tormento – dolore continuo di una muta sofferenza – poi quasi subito con la Preghiera.

Il suo lavoro prosegue alla velocità della luce, la velocità d’esecuzione era una caratteristica di cui Brancusi era allora orgoglioso: aveva confidato infatti a un amico di essere riuscito a portare a termine ben tre lavori in gesso nel corso di un solo pomeriggio. I suoi lavori finiti rappresentano l’essenza delle cose, la loro radice arcaica, appaiono contemporaneamente primitive ed estremamente moderne, raffinate, ma anche semplici. Tende alla semplicità di vita e di valori che aveva tentato tante volte di raggiungere rifugiandosi tra i pastori sulle montagne dei Carpazi – “Io non credo al tormento creativo. Il fine dell’arte è creare la gioia. Si crea artisticamente solo nell’equilibrio e nella pace interiore.” (Constantin Brancusi)

“La semplicità non è uno scopo nell’arte, pero arrivi comunque alla semplicità quasi senza volerlo, avvicinandoti sempre di più al senso profondo delle cose. La semplicità è in sé complessa e ti devi nutrire con la sua essenza per poter arrivare a capire il suo valore.” (Constantin Brancusi”)

Il 1907 è un anno decisivo per la carriera del giovane scultore. Realizza le prime opre in pietra, il Bacio – l’opera più celebre dello scultore – muovendosi tra due poli, modernità e primitivismo (si trova a Craiova al Museo dell’Arte).

Due corpi che si fondono e si perdono l’uno nelle braccia dell’altro, sigillati da un bacio. Le braccia legano i due corpi come un nastro per non disperdersi perché la linea verticale, partendo dalle teste, scende a dividere i due corpi e permette di distinguere i due amanti l’uno dall’altra, nella fusione totale delle due anime di pietra. Riguardo a quest’opera, Brancusi aveva dichiarato: “Ho voluto creare qualcosa che raccontasse di tutte le copie che sulla terra si sono amate e che questa terra hanno lasciato. Perché ogni mia scultura ha la sua ragione d’essere in un’esperienza vissuta”

Il fulcro concettuale di Brancusi è la sua ricerca di un nuovo linguaggio simbolico capace di intrappolare un significato spirituale, attorno al quale inizia a sviluppare la sua opera.

“Io non inizio a scolpire fino a quando la pietra non mi ha detto quello che devo fare. Non dobbiamo distruggere il materiale, non dobbiamo dargli un’assomiglianza a qualcosa che la natura ha dato ad un altro materiale … la pietra, il marmo, il metallo devono rimanere tali, devono continuare a vivere la propria vita anche quando il pensiero e la fatica dell’artista le trasforma da sculture naturali a sculture artificiali. La materia non va usata a prescindere, per soddisfare lo scopo dell’artista, non va sottoposta né ad un’idea preconcezionale né ad una forma preconcezionale. La materia stessa deve suggerire il soggetto e la forma. Ed entrambe devono arrivare dal profondo della materia e non forzate dall’esterno.” (Constantin Brancusi)

Appassionato di miti e leggende e alla ricerca di un significato intenso e profondo di un’opera, nel 1910 crea Maiastra – emozione e spiritualità arcaica della sua terra romena – l’animale mitico delle fiabe rumene, che è al tempo stesso uccello e principessa.  Attraverso quest’opera, Brancusi inizia una lunga riflessione sul tema del volo, che lo impegnerà per tutta la vita. A tal proposito dichiarava “Lo scultore è un pensatore e non un fotografo delle apparenze instabili, multiformi e contraddittorie.”

La sua creatività non conosce limiti e trova sempre soluzioni nuove per i lavori precedenti, guardandoli sotto altri aspetti ed immagini, creando nuove versioni. La forma che più si ripete nel suo lavoro, altamente simbolica e quella più nota è il volume ovoidale (nella foro il Neonato)

Durante la Prima Guerra Mondiale diventa impossibile approvvigionarsi del marmo che gli serviva per lavorare, ma non rinuncia lo stesso al lavoro, infatti numerose sculture nascono dal legno di quercia delle travi che si proccurava dalle case distrutte dalle bombe. “Ho pensato soltanto a valorizzare la bellezza di quel legno, che mi piace particolarmente, e dunque li ho costruiti diversamente da come avrei potuto fare con un materiale nuovo”. (Constantin Brancusi)

In questo periodo, il legno diventa il suo materiale di lavoro preferito ed il valore del legame tra l’immagine e il materiale in cui essa deve essere realizzata, rimanendo sempre nel tema della semplicità che vuole trasmettere. A questo proposito egli scrive: “La semplicità fine a sé stessa non è più il mio obiettivo, cerco infatti soltanto di far in modo che il mio pensiero si identifichi con il materiale che ho davanti. Ognuno di essi ha una propria lingua, e il mio scopo non è di sopprimerla per sostituirvi la mia, bensì di riuscire a fargli esprimere nella sua lingua (il che costituisce di per sé una parte di bello) ciò che penso, ciò che vedo […] Non appena cominci a vedere realmente le cose, è allora che cominci realmente a sentirle.”

Realizza a partire dagli anni Venti del Novecento e per tutti gli anni Trenta numerose sculture dedicate al tema degli animali – Leda – titolo tratto dal mondo greco, il profilo di un uccello acquatico racchiude quello di una donna inginocchiata ed entrambe le immagini si rivelano in un’unica sagoma scolpita nel marmo. Riconosciuto a livello internazionale come grande scultore moderno, la Romania gli commissiona un monumento in onore dei soldati romeni morti nella Prima Guerra Mondiale a Tirgu Jiu. Nel corso dei suoi viaggi in patria, Brancusi aveva sollecitato più volte le autorità locali per permettergli di costruire un monumento di quel tipo, gratuitamente e nel 1920 gli viene concesso finalmente il permesse di realizzare un vasto complesso monumentale, composto dalla Colonna Infinita, alta 29 metri, dalla Porta del Bacio, intitolata così per i motivi decorativi che la ricoprono, desunti dall’opera antecedente il Bacio, dalla Tavola del Silenzio, una semplice tavola circolare con dodici sgabelli ed dal Viale delle Sedie; tutti e quattro i monumenti simbolici rappresentano momenti ben specifici della storia romena e sono disposti sulla stessa asse, da est ad ovest, e con una lunghezza di 1275 metri.

Si parte dalla Tavola del Silenzio – significa l’ultimo pasto silenzioso dei soldati prima della partenza in battaglia ed il tempo a disposizione è scandito dalle dodici clessidre usate come sedie, con riferimento ai dodici apostoli.

Terminato il tempo dedicato all’ultimo pasto, si imbocca la Valle delle Sedie per raggiungere la Porta del Bacio – rappresenta la porta d’ingresso in un’altra vita, la guerra che porta la morte, l’ultimo bacio ricevuto dalle persone care.

Dalla Porta del Baccio ci si incammina per un lungo percorso lungo il Viale delle Sedie – chiamata cosi perché, da un lato e dall’altro del viale, sono collocate 30 sedie in pietra che raffigurano anche questa volta delle clessidre che misurano il tempo.

Si arriva infine alla Colonna Infinita, il sacrificio eterno.

“Chiamiamola una scala verso il cielo– dice – perché può essere prolungata nel cielo cinquecento metri e più, permettendo di raggiungere Dio a questo ritmo”. Più tardi, ripercorrendo i temi della propria opera, Brancusi sostiene: “La natura crea le piante che crescono dritte e alte dal terreno; qui c’è la mia Colonna […]. Le sue forme sono le stesse dalla terra fino in cima, non ha bisogno di un basamento per tenerla in piedi, il vento non l’abbatte, sta ritta con la sua stessa forza come un cactus gigante nei deserti della California […]. Vorrei che i miei lavori si alzassero nei parchi e nei giardini pubblici, che i bambini giocassero su di loro come avrebbero giocato sulle pietre e i monumenti nati dalla terra, che nessuno sapesse cosa sono e chi li ha fatti, ma che tutti sentissero la loro necessità, la loro amicizia, come qualcosa che appartiene all’anima della natura”.

 

Il tempo scorre troppo velocemente ed è oramai arrivata l’ora di chiusura del “mondo” di Brancusi, l’Atelier, solo per qualche ora notturna però, perché è infinito come la sua colonna. Esco dall’intimo edificio romeno all’interno – per il contenuto, francese all’esterno – per collocazione e italiano per architettura, più orgogliosa di prima, per la bravura della mia gente, e più amareggiata, perché qualsiasi opera che ammirerò nei prossimi giorni in terra francese sarà ombreggiata dal ricordo troppo recente del genio romeno.

Articolo a cura di Lorena CURIMAN

Fonti:

  • Visita dell’Atelier Brancusi a Parigi prima della Pandemia del Covid19
  • “Grandi scultori, Costantin Brancusi” – Maria Elena Versari (Gruppo Editoriale l’Espresso, 2005)

 

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