Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Natale Romeno

Dic 22, 2015

Da un’intervista rilasciata da
padre Mihai alla trasmissione della RSI
“Piattoforte in salsa Rete Uno”

Come si vive la festa del Natale in Romania? Quali sono i cibi più caratteristici.

Il Natale, che è l’evento più grande dopo la creazione del mondo, è vissuto in Romania con tanta gioia e tenerezza. Per noi romeni, come osservava il grande storico delle religioni Mircea Eliade, il tempo della festa è totalmente diverso dal tempo quotidiano. Cominciando con la festa di San Nicola e fino all’Epifania, il tempo profano diventa tempo sacro, il che cambia radicalmente la percezione dell’uomo sulla realtà, e anche il cibo acquisisce valenze profondamente spirituali. Cosi, l’uomo nel mondo tradizionale, cucina e prepara il cibo, e mangia, compiendo alcuni riti ancestrali che soddisfano più le necessità dell’anima che quelle del corpo.

Il primo atto si svolge il 20 dicembre, festa di Ignat, una festa paleocristiana del sole sulla quale si è sovrapposta la festa di sant’Ignatie Teoforul (Ignazio Teoforo). In questo giorno, allo spuntar del sole, si fa la mazza del maiale, come sacrificio dal quale il dio Sole, in agonia nelle vicinanze del solstizio d’inverno, riprendeva forza per risalire in alto e schiacciare il buio del mondo. Per questo sopra il maiale sacrificato è acceso un grande fuoco di paglia di grano. Questo rituale ha anche la funzione di purificare il tempo e lo spazio, e anche di predizione del futuro, perché si valuta la lunghezza dell’inverno sulla base della lunghezza della milza del maiale. Si tratta certo di una sopravvivenza pagana, ma il cui simbolismo è molto simile a quello del Natale cristiano. E poi, soprattutto, questo rituale ha i la funzione di creare comunione tra gli uomini: nella cosiddetta cina porcului, cioè la cena del maiale, i piatti preparati vengono consumati insieme ai vicini di casa.
Nella concezione dei romeni, nel periodo di Natale e di capodanno il tempo si rinnova. A rappresentarlo c’è un personaggio chiamato Turca che alla vigilia di Natale va in tutte le case accompagnato da musicisti con violini e altri strumenti. Lo impersona un giovane con un travestimento costituito da un panno multicolore, da un becco di uccello e corna di cervo. Il giovane batte il becco al ritmo della musica e fa degli scherzi per far ridere i presenti. A un certo punto la Turca cade, come se morisse, ma poi si rialza, risuscita, simboleggiando l’inizio di un nuovo tempo ricco di luce e speranza.
Questa tradizione precristiana è stata santificata e illuminata dalla nascita di Cristo che ha rinnovato l’intera esistenza, incluso il tempo, istituendo la prospettiva di un cielo nuovo e di una terra nuova. È interessante che la Chiesa non abbia abolito quest’usanza, come anche quella della festa di Ignat, considerate una base culturale su cui poteva innestarsi, completandola, la verità di Cristo.

La comunione è favorita anche da un alto cibo che non manca mai per la festa di Natale: cozonacul («il cozonac»), un panettone che viene offerto ai gruppi che vanno nelle case a cantare le colinde, i canti natalizi. Questo dolce con la sua forma rotonda rinvia alla forma del sole (anche gli altri cibi offerti tradizionalmente ai cantori, noci e mele, sono rotondi), è ornato con motivi simbolici: la croce, il sole e la luna ecc., e simboleggia in modo chiaro il nostro Signore Gesù Cristo, come dice anche l’augurio che chi va a cantare i canti natalizi rivolge al padrone di casa: «Ti auguriamo salute, anfitrione (sa fii gazda sanatoasa), che ricompensi il nostro canto con un cozonac bello come il volto di Cristo».

Tutti quelli che mangiano il cozonac entrano in comunione gli uni con gli altri e con il Signore. Degno di nota è il fatto che in alcuni parti della Romania si prepari un cozonac a forma di mano, che ricorda il miracolo che la Madre di Dio ha compiuto guarendo le mani della moglie di Mos Craciun, Babbo Natale. La leggenda racconta che Babbo Natale era cattivo, tanto da tagliare le mani della moglie che, senza il suo permesso, aveva ospitato nella sua casa Maria e Giuseppe. Maria le ha riattaccato le mani e Craciun, vedendo il miracolo, si è convertito, divenendo un uomo buono e generoso.
Oltre al cozonac, si cucinano insieme sarmale (involtini con carne, riso e spezie), piftia (gelatina), paté e ciorba (zuppa). Si beve naturalmente vino, che come il cozonac è investito di un simbolismo “eucaristico” e rappresenta il sangue del Signore, il riversarsi della luce e della gioia nell’incontro con il sacro. Esso unisce i cuori e apre le porte del perdono e della pace tra gli uomini e con il Creatore. Brindando si dice: «Dio ci aiuti» o «Facciamo la pace». Per qualche giorno si dimenticano problemi e preoccupazioni, si vive con la gioia e lo stupore dei pastori del Natale.

colindatori

Ci parli delle colinde.

Colindele («le colinde»), dicevamo, sono i canti natalizi. La Romania, come sottolineano i folcloristi, ha conservato centinaia e centinaia di canti, un patrimonio molto più ricco di quello della maggior parte degli altri paesi europei. La parola colinda viene da colo, una parola dello slavonico, la lingua slava antica, che vuol dire cerchio ed è la radice anche di cozonac. Si riflette qui l’idea, assai diffusa nelle culture umane, che ciò che è circoscritto in un cerchio è protetto da qualsiasi influenza maligna.

Cantare le colinde è la più antica e diffusa tradizione romena. Dal 24 dicembre sera fino al mattino, nei villaggi, ma anche, ancora, nelle città, risuonano i canti natalizi per le strade e nelle case, che nella notte del Natale devono rimanere aperte. Si comincia la preparazione dei canti il 15 novembre, l’inizio dell’Avvento per la Chiesa Ortodossa. I cantori iniziano a cantare nella casa del prete, poi nelle case dei familiari e in quelle in cui si sono ragazze che vogliono sposarsi.
Alcune colinde sono di origine pagana, ma come i riti di cui abbiamo parlato prima sono state cristianizzate, o vengono interpretate in chiave cristiana. Sono rimaste le linee melodiche, ma è stato cambiato il testo. Questi canti hanno un carattere lirico e spesso sono adattati dai cantori alla situazione dei presenti. I canti propriamente cristiani hanno origine letteraria e si riferiscono esplicitamente a Gesù. In ogni caso, le colinde annunciano la nascita di Cristo e portano gioia, luce e benedizione celeste nelle case e nelle anime degli uomini.
La saggezza popolare crede che tra Natale e l’Epifania i cieli siano aperti, e che il mondo terrestre e quello celeste comunichino anche tramite questi canti natalizi. Dal punto di vista teologico cielo e terra sono le due componenti della Chiesa di Cristo: la Chiesa militante sulla terra e la Chiesa trionfante dei santi in cielo. Questo rapporto tra i vivi e i morti, che per la fede sono altrettanto vivi di chi è ancora sulla terra, si manifesta anche nelle maschere che i cantori indossano talvolta in alcuni luoghi della Romania.

I cantori mascherati raffigurano infatti coloro che ci hanno lasciato ma che in questi giorni in cui il cielo è aperto tornano per celebrare la festa insieme ai loro cari. In questo contesto, il canto diviene un ponte tra i due mondi e una prefigurazione del regno che verrà, dove tutti saremo in festa con lo Sposo Celeste. I canti natalizi ci fanno passare insomma al di là del quotidiano, in un quadro atemporale, vicini all’eternità.

Vorrei far notare che questi riti e simboli sono vissuti dai partecipanti con una profonda partecipazione psicologica che in paesi più secolarizzati non esiste più. Noi non commemoriamo la nascita di Cristo, ma la viviamo nelle nostre anime assieme ai pastori, agli angeli e ai re magi.

Che altre usanze natalizie ci sono in Romania?

Da Natale e fino all’Epifania, i bambini vanno in giro con la steua, la stella. Si tratta naturalmente della stella che ha guidato i Magi alla grotta della Natività, che è un simbolo della luce spirituale e di Cristo stesso.

Non manca l’albero. Anche l’albero è un simbolo precristiano di fertilità, fortuna, lunga vita e prosperità, e in Romania si utilizzano alberi nei battesimi, nei matrimoni, nei funerali. Ma l’albero di Natale è il più importante e lo si fa riccamente addobbato e il più grande possibile. Lo stesso significato hanno i rami di abete usati per decorare la casa.

Si può poi ricordare che in molti luoghi alla vigilia di Natale si restituisce ciò che è si è avuto in prestito e si gettano chicchi di mais augurandosi un buon raccolto agricolo, e ancora che nel Banat, una regione a ovest del paese, il fuoco deve essere tenuto acceso tutta la notte affinché il nuovo anno sia luminoso e felice. Nella stessa regione si preparano doni per Babbo Natale e anche fieno e cereali per il suo cavallo.

E a Gesù non si offrono doni?

Fra le tante leggende fiorite sul racconto di Natale c’è n’è una che parla di un giovane pastore che è arrivato alla grotta a mani vuote, senza portare un dono. Volevano allontanarlo ma Maria lo fece rimanere dicendo che aveva portato il dono più bello: lo stupore. È questo il dono dei molti romeni, insieme alla gioia e alle colinde. Non posso però non notare come anche in Romania, soprattutto nelle grandi città contaminate sempre di più dal secolarismo occidentale, si stia perdendo il vero senso del Natale, diventato troppo commerciale.

Che augurio vuole fare ai nostri ascoltatori per questo Natale?

Più importante dei regali è ricordarsi che Cristo vuole nascere nelle nostre anime. Non è mai stanco di nascere tra gli uomini affinché gli uomini rinascano in lui. Auguro a tutti gli ascoltatori e a me, che il nostro cuore diventi per questo Natale e nel nuovo anno una Betlemme calda e accogliente dove possa nascere di nuovo Gesù. Adorando il bambino Gesù, Dio fatto uomo, veniamo presi dalla nostalgia della bellezza divina che un tempo l’umanità possedeva. Che attraverso questa nostalgia Dio ci dia la forza di diventare “filocali”, amanti e cercatori della vera bellezza!

Al termine dell’intervista padre Mihai ha completato il suo augurio agli ascoltatori cantando un canto natalizio molto conosciuto in Romania: «Oggi è nato Cristo, Messia, volto di luce! Lodate, cantate e rallegratevi!»

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