Il Figlio di Dio è divenuto uomo affinché l’uomo divenga figlio di Dio, dicono i Padri della Chiesa. La Natività del Signore è festa della ricreazione del mondo e questo evento importante nell’economia della salvezza viene rappresentato nell’icona della Natività. Il ricco simbolismo di questa icona contiene elementi dogmatici e biblici, ma anche appartenenti alla storia apocrifa.
Nell’iconografia ortodossa, l’icona non dipinge le caratteristiche fisiche o psichiche delle persone sante, non è fotografia. L’icono-grafo non dipinge, ma scrive l’icona attraverso simboli. Quello che conta non è l’arte in se, né la tecnica utilizzata, ma il carattere teocentrico dell’icona, la sua teofania.
Il simbolismo dell’icona della Natività
«Celebriamo, o popoli, la Natività di Cristo: saliamo con la mente a Betlemme e contempliamo nella grotta il grande mistero: si è aperto, infatti, l’Eden… Preparati Betlemme, preparati Efrata, perché dalla Vergine è fiorito l’albero della vita nella grotta: nasce Cristo per far risorgere la sua immagine un tempo caduta».
La bellezza di questa icona è il Verbo divino che diventa divino-umano a Natale per ripristinare la comunione tra Dio e uomini. L’intero messaggio del Vangelo sulla nascita del Signore dalla Vergine Maria viene espresso qui, con ricchezza di dettagli. Il cielo e la terra s’incontrano nella grotta è questo aspetto si vede anche dal modo in cui viene strutturata l’icona, su tre livelli: la parte superiore suggerisce il mondo celeste, quella inferiore suggerisce l’umanità in generale mentre il livello in mezzo suggerisce l’intreccio tra divino e umano, realizzato in Cristo.
Gesù Emmanuele nella mangiatoia degli animali
«Santissima è la mangiatoia e le fasce racchiudono la divinità:
la vita in esse avvolta spezzerà le catene della morte»
(mattutino del 24 dicembre)
I vangeli non parlano della grotta, solo della mangiatoia, ma la rappresentazione iconografica usa la grotta per mostrare la nascita di Gesù in un ambito scuro, freddo e solitario. L’oscurità della grotta simbolizza il mondo caduto nel peccato. Esiste qui un dettaglio tremendo: la mangiatoia ha la forma di un sarcofago e il Bambino viene rivestito in una sindone, messo come in una tomba. Anche l’incenso portato dai magi viene a suggerire profondamente questo aspetto. La Natività anticipa quindi la morte che, al suo turno, anticipa la vita eterna.
Vicino alla mangiatoia c’è un asino e un bue, come dice il profeta Isaia 1,3: Il bue conosce il suo possessore, e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non ha conoscenza, il mio popolo non ha discernimento. Il bue simbolizza il popolo ebreo (alla testa del Bambino) e l’asino – i popoli pagani (ai piedi del Bambino). Il bue è di colore oro, l’asino di colore argento.
Nella grotta oscura, Cristo è la luce che allontana le tenebre… Io sono venuto come luce nel mondo, affinché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. (Giovanni 12,46)
La Madre di Dio, la nuova Eva, si riposa vicino all’albero della vita
«Che cosa ti offriremo, o Cristo? Tu per noi sei apparso, uomo, sulla terra! Ciascuna delle creature da te fatte ti offre il rendimento di grazie: gli angeli l’inno, i cieli la stella, i magi i doni, i pastori lo stupore, la terra la grotta, il deserto la mangiatoia; ma noi ti offriamo una madre vergine»
(vespri di Natale)
Ella si trova vicino al centro dell’icona, essendo la persona rappresentata con le dimensioni più grandi. Il più piccolo è rappresentato Gesù, nell’umiltà, glorificando così Sua Madre, che supera in gloria anche gli angeli. Comunque, il raggio che unisce il cielo con la terra attraverso il Bambino, avvera la natura divina del Figlio. Sull’asse tracciata dal raggio, dopo il Bambino, c’è Sua Madre.
In questa festa della ricreazione del mondo, Maria è la nuova Eva, madre dell’umanità rinnovata. Così come Adamo è nato da una terra vergine, così anche Cristo doveva nascere da una madre vergine. Eva era ancora vergine quando ha ricevuto la parola della morte, Maria doveva essere vergine per ricevere il Verbo della vita. Eva aveva creduto nella parola del serpente, Maria doveva credere nella parola dell’arcangelo. Eva aveva nato Caino, il fratricide, Maria doveva nascere Gesù, il fratello, la vittima, il Salvatore.
Maria guarda verso la scena del lavaggio del Bambino per avverare il fatto che il Bambino è quello nato secondo la profezia. Il fatto che fino al IV secolo la Natività di Gesù veniva festeggiata insieme al Battesimo (6 gennaio), può condurre all’affermazione che le due feste hanno alcuni elementi in comune, l’acqua essendo uno di questi.
Giuseppe
«Giuseppe, considerando la grandezza delle meraviglie di Dio, pensava di vedere un semplice uomo in questo bambino avvolto in fasce, ma dai fatti comprendeva che egli era il vero Dio, colui che elargisce alle nostre vite la grande misericordia»
(vespri del 20 dicembre)
Giuseppe viene ritratto nel momento più difficile della propria vicenda personale: la sua posizione è quella del dubbio mentre si trova nella tentazione, infatti viene avvicinato da un pastore sotto mentite spoglie (Satana) che gli suggerisce di non credere al sogno che ha ricevuto: «Come è possibile che una Vergine possa concepire un figlio! Come è possibile che la grandezza
di Dio si sia nascosta in questa grotta!»
Ad incarnare il dubbio di Giuseppe è il pastore-diavolo, ritto davanti a lui e ben saldo sul suo bastone, che lo tenta insinuandogli che il Cristo non è il Figlio di Dio. La tradizione dà al pastore–diavolo il nome di Tirso (thirsos), che è anche il nome del bastone di Dioniso, dei satiri e delle baccanti, che non fu capace di germogliare, tant’è che le parole del pastore sarebbero: “Come questo bastone non può produrre fronde, così un vecchio come te non può generare e d’altronde una vergine non può partorire”.
Giuseppe è seduto, appare in preda a tristi e angosciosi pensieri, sono i pensieri relativi alla legittimità del figlio che gli è appena nato, in quanto lui è convinto di non esserne il padre. I vangeli apocrifi si dilungano dettagliatamente sui dubbi e sulle reazioni incredule di Giuseppe davanti al concepimento di Maria, e anche il vangelo di Matteo lo dipinge mentre è in preda all’incertezza (Mt 1,19).
Al suo fianco però viene dipinto un alberello germogliato, che rappresenta la profezia di Isaia: “Un rampollo nascerà dal tronco di Jesse, un virgulto spunterà dalle sue radici”(11,1s.), la quale,
tra l’altro, si rifaceva alla verga secca e scortecciata di Aronne che poté germogliare (le allusioni alla procreazione sono evidenti).
Gli angeli e i pastori
«Danza, terra tutta, glorifica con gli angeli e i pastori il Dio che è prima dei secoli, che ha voluto mostrarsi come bimbo appena nato»
(liturgia delle grandi Ore del 24 dicembre)
Gli angeli alla sinistra della grotta si inchinano verso il Bambino che è nato: non solo tutta la terra adora, ma anche i cieli e i loro abitanti si piegano in adorazione. Sulla destra, si trovano altri angeli. Uno annuncia la nascita; un altro porge verso la grotta un
panno rosso simbolo regale, un altro si piega verso il basso e parla ai pastori, li avverte che è inutile salire la montagna per incontrare Dio (idea legata a tutte le religioni), è venuto il momento in cui Dio stesso scende dall’alto e si fa prossimo dell’uomo: «Bisogna semplicemente essere puri di cuore per vederlo» (Mt 5,8).
I magi
In alto, sulla sinistra, sono i Magi venuti dall’Oriente, avvertiti dagli angeli e dalla cometa, e simboleggiano la sapienza umana e la ricerca dell’uomo di ogni tempo e di ogni religione nei confronti di Dio. Sono a cavallo e rappresentano i giusti che, pur estranei al popolo di Israele, saranno compresi nel nuovo regno messianico. La tradizione iconografica attribuisce loro come caratteristica costante un aspetto giovanile, adulto e senile, riproducendo in una unica sintesi visiva le tre età dell’uomo.
Un grande iconografo del nostro tempo, Gregorij Krug, così commenta: «I pastori rappresentano il popolo eletto; per essi il cielo si è aperto e l’assemblea degli angeli che inneggiano a Dio si è fatta visibile. Sono stati chiamati ad adorare Cristo a nome di tutto Israele e hanno ricevuto la buona novella direttamente dagli angeli. I magi rappresentano il punto più alto del mondo pagano. Per comprendere la natività di Cristo, percorrono un cammino non semplice, anzi molto difficile e complesso, e vengono da un Paese lontano. La via per i magi, guidati da una
stella e non istruiti dalla conversazione con gli angeli, è incerta e piena di insidie. La buona novella si fa strada diversamente, così come diversa è la via dei pastori e dei re orientali. Ciò che unisce
tutti e li lega insieme è il Cristo Emmanuele, che sono venuti ad adorare».
La stella luce
La stella cometa è rappresentata come un raggio che si divide, questo segno indica comunemente la presenza di Dio nella storia dell’uomo. Dalla montagna o comunque dalla parte alta dell’icona, un fascio di luce che comprende in sé la stella che guida i Magi, scende come per illuminare l’oscurità della caverna che si apre nel centro della montagna, e si suddivide in tre raggi che intendono manifestare il dio uno e trino.
L’immagine fa pensare alla mano creatrice del Padre: un raggio di luce tripartito, dalla dimora di Dio si cala sulla grotta e in verticale raggiunge la testa del bambino, attraversa Maria e tutta l’umanità. È il movimento d’amore che dal Padre raggiunge l’uomo attraverso il Verbo, per opera dello Spirito Santo.
La redenzione del genere umano è opera comune delle tre Persone Divine.