Il Natale nelle carceri comuniste della Romania
Durante il comunismo le carceri romene erano famose per il loro sistema ateo applicato alle persone arrivate in quel ambiente il più delle volte per motivi politici inventati apposta per emarginare e addirittura eliminare le menti considerate pericolose per il governo comunista. La direzione delle carceri odiava con tutte le sue forze la fede cristiana, soprattutto alla vigilia delle feste religiose quando le torture si trasformavano in tormenti insopportabili, provando con tutti i metodi a distruggere anche la più debole e ultima traccia rimasta nel profondo dell’anima dei carcerati, della fede e della dignità umana.
Nonostante tutto, i detenuti non hanno mai smesso di resistere, opporsi alle ingiustizie subite, continuare a credere nella rivincita del bene contro il male, e con quel poco che gli era rimasto – lucidità mentale a volte, non sempre per motivi ben comprensibili, fiducia provata, ma mai persa nel prossimo e nell’immensità del Creatore, coraggio tanto da prendere esempio e da ammirare – hanno festeggiato (se si può dire cosi) ogni Natale e festa religiosa intonando canti e preghiere, hanno espresso speranze e desideri rivolti a se stessi e alle persone care rimaste fuori da quel incubo che stavano vivendo e che sembrava senza fine.
Il Natale è stato vissuto dai carcerati come un momento atteso con impazienza, come un atto liberatorio, come un abbandono nelle mani di una forza superiore e benevola, con la convinzione che se il suo simile lo ha abbandonato e maltrattato, la forza divinatrice non lo farebbe mai e lo accoglierebbe sempre nelle sue grazie. Ma è stato vissuto anche come l’incubo più terrificante mai esistito per la crudeltà dei loro persecutori, che la pietà non esisteva nel loro vocabolario e nella loro anima, che hanno dimostrato al mondo intero fino a che punto può arrivare la follia e la malvagità dell’essere umano.
Grazie alle testimonianze di tante, troppe, persone mandate in carcere ingiustamente, solo perché la pensavano diversamente, ma molto meglio rispetto al sistema usato in quel periodo dal governo romeno, possiamo venire a conoscenza, e sicuramente non avremmo mai voluto conoscere questo genere di storie, di eventi ‘natalizi’ terrificanti, allucinanti e anche se l’istinto ci dice di dimenticare per sempre episodi così tristi, è nostro dovere oltre ché l’unica cosa che ormai possiamo fare per ricordare e rispettare i dolori fisici e psichici degli adulti e ahimè dei bambini lasciati nelle mani a dei malati di mente incontrollabili.
I carceri per i ragazzi, i cosi detti riformatori (carceri minorili) erano strapieni di bambini innocenti, allontanati dalle loro famiglie, più delle volte per punire uno dei genitori (punizione più grande di questa non esiste per un genitore, che vive pensando continuamente alla sorte del proprio figlio isolato nella miseria e nel degrado di un carcere) e obbligati a seguire lo stesso programma applicato ai carcerati adulti. Ma, sempre dalle testimonianze, la loro tortura più orribile non è stata né la fame né la miseria né il freddo, ma lo stacco dai genitori e la mancanza dell’affetto materno.
Indipendentemente dall’età, dalla collocazione e dalla sentenza, i detenuti delle carceri comuniste romene hanno parlato nelle loro strazianti testimonianze, con grande difficoltà ma con il forte desiderio di far conoscere a tutti quello che è successo e soprattutto per non far sì che si ripeta una cosa simile, delle abominevoli azioni messe in atto dai loro torturatori, ma anche dal sentimento di condivisione del dolore e delle ‘gioie’, dal senso della giustizia e della fiducia nel bene che si sono portati sempre nel cuore, dalla manifestazione spontanea nel dare aiuto e sollievo ai più deboli. Impediti dalle autorità di manifestare qualsiasi forma di credo religioso, non si lasciavano intimidire dalle minacce e sopportavano con santa tenacia le conseguenze della non sottomissione, per un aspetto importante per loro al punto di rischiare la vita: la pronuncia sussurrata del ‘Buon Natale’ e del ‘Dio ti benedica’ mentre si stringevano le mani improvvisamente accaldate dal fuoco interno che ognuno possedeva e custodiva con orgoglio, consapevoli che nessuno mai avrebbe potuto strapparglielo, i risuoni, all’inizio piano piano e poi sempre più forti, del canto
‘La nascita di Gesù’ e ‘E’ arrivato anche qui il Natale’ di Radu Gyr (il poetta delle sofferenze, colui che ha portato Gesù in cella), come in una cattedrale ortodossa vera e propria. Come un segnale mai dato e un’intuizione inspiegabile, il richiamo della popolazione nei dintorni delle carceri ha portato le persone libere a circondare i muri degli imprigionati e ad accompagnare le parole dei canti con voci più forti da farli sentire ‘a casa’, non abbandonati ma sostenuti, non odiati ma amati: ‘Ci sentivamo al settimo cielo, abbiamo vissuto e abbiamo sentito profondamente quei momenti sublimi. Eravamo con Dio e Dio era con noi’. I canti religiosi e le ‘colinde’ (canti natalizi) sono state una delle poche risorse di gioia, forza interiore e spirituale dalle quali i carcerati hanno sottratto il senso di continuare a vivere ‘nell’Inferno’. La fede non è stata fermata e strappata dalla loro anima con nessun metodo quanto più terribile e ‘all’avanguardia’ e siccome in ogni cella c’era almeno un prete o monaco è stato abbastanza facile anche la confessione dei peccati e le messe improvvisate : ‘quelli che non avevano la fortuna di condividere la cella con un prete si confessavano in un modo meraviglioso: al segnale dato da un prete di un’altra stanza con un colpo alle sbarre tutti iniziavano la confessione’.
L’esperimento più terrificante che il regime dittatoriale romeno è stato capace di fare è quello del carcere di Pitesti, di cui ha parlato anche il giornalista Dario Fertilio nel suo libro ‘Musica per lupi. Il racconto del più terribile atto carcerario nella Romania del dopoguerra’. Quello che accadde a Pitesti in quegli anni, secondo Fertilio, rappresenta ‘qualcosa di imparagonabile e unico nella storia del Novecento: non l’annientamento ideologico e biologico come ad Auschwitz, non lo sterminio pratico e di massa come nei gulag sovietici e neppure la rieducazione forzata e spietata come in Vietnam o Cambogia. Si tratta piuttosto di una tortura ininterrotta, attuata di giorno e di notte secondo regole precise, e concepita come un fine in se stesso‘.
Non esistono parole adatte per descrivere tutto questo, solo leggendo e cercando di capire, solo provando a capire perché impossibile capire pienamente, la testimonianza più sincera e allo stesso tempo più straziante di Dumitru Bordeianu, confermata dai versi di Radu Gyr: ‘Non ti alzi / Finchénon cadi / Con la testa pesante / Nella polvere amara’. Peggio dell’Inferno. Il Natale nel carcere di Pitesti – 1950
Testimonianze: Dumitru Bordeianu – Confessioni dalla palude della disperazione
Eravamo cosi disidratati e dimagriti per la mancanza di acqua, che sembravamo piuttosto delle ombre, non uomini. Fino a quel momento le torture subite,le botte e la sete, non avevano toccato ancora il limite della degradazione assoluta, ma la mia confessione contiene verità che sarebbero entrate nel campo della patologia e la malvagità avrebbe toccato il parossismo.
Non sono riuscito mai ad immaginarmi che l’uomo, essere ragionevole, avrebbe mai potuto umiliare il prossimo in una maniera cosi orribile. Quale mente demonica ha potuto escogitare cosi tanta crudeltà?
Proprio nel giorno di Natale, quando ognuno di noi, nella propria intimità, ricordava la festa di Natale insieme alle persone care, siamo stati messi davanti a dei fatti che ci hanno sbalordito.
Quel mattino, appena ha suonato la campanella del risveglio, alle sei, Zaharia, che mancava dalla stanza da una settimana, ha ordinato a tutti di rimanere sull’attenti sui letti, d’ora in avanti tutte le mattine e tutti quelli che avevano bisogno di andare in bagno non avevano più il permesso di usare il secchio, ma dovevano fare i bisogni dentro la propria gamella per il cibo. Eravamo terrorizzati dalle parole udite. Una cosa simile non l’avevamo mai sentita o vista.Quella mattina molti di noi non hanno avuto bisogno di andare in bagno comunque, per colpa del cibo insufficiente andavamo in bagno soltanto ogni due tre giorni. Perciò solo un terzo di noi ha fatto i propri bisogni nella gamella. Nella stanza c’era un odore sgradevole, ma lo sopportavamo bene perché eravamo abituati a sentirlo. Dopo che alcuni di noi hanno usato la gamella per i bisogni, Zaharia ha ordinato loro di sedersi sul bordo dei letti, di prendere il cucchiaio e di mangiarsi le feci.
Dio! Quanta indecenza, quanta umiliazione e quanta degradazione! Molti si sono rifiutati di mangiarsi le feci, altri hanno avuto tanta nausea da dar di stomaco a lungo. C’è stato uno spettacolo che nessuna fantasia, anche malata, avrebbe mai potuto immaginare. Davanti a questo stato indescrivibile, tanti desideravano la morte. Eppure, ci sono stati alcuni di noi che si sono mangiato le feci: per pudore però non farò nomi. Per colpa dei rifiuti degli altri, le botte che abbiamo preso sono state cosi tante come soltanto nella stanza numero due avevamo vissuto: siamo stati picchiati in viso, in testa, dove capitava, con tutti gli strumenti di tortura. Ad alcuni di noi gli sono scapate dalle mani le gamelle sporcando i letti con le feci che contenevano ed emanavano un odore nauseante.
Quelli che si erano sporcati quando hanno rovesciato le gamelle sono stati portati in bagno a lavarsi i vestiti sporchi e le feci cadute in terra sono state raccolte con le mani e buttate nel secchio.
Gli altri, destinati a mangiarsi le feci, dopo le bastonature subite erano ridotti cosi male che stavano immobili sui letti come delle statue. Sono stati picchiati duramente e in pochi hanno avuto il coraggio di affrontare Zaharia e dirgli che nemmeno i più terribili mostri non sarebbero stati capaci di mutilare ilprossimo in modo cosi bestiale.
Per Pintilie è stato l’inizio dell’assassinio, mentre per Nedelcu quello della demenza. Vlad Dragoescu, non legionario, d’indole sensibile, aveva di continuo cosi tanta nausea che sembrava più morto che vivo.
Pensavo con orrore alla mia reazione quando sarebbe toccato anche a me.
In questo modo, cari compagni e lettori, abbiamo festeggiato noi il primo giorno di Natale dell’anno 1950.
Perdonate però anche voi, come anche noi abbiamo fatto, tutti quelli che ci hanno sottoposto a tali degradazioni.
Sopra i resti delle feci rimaste attaccate alle pareti delle gamelle hanno buttato la brodaglia di tutti i giorni, obbligandoci a mangiare questa schifezza. Anche se Pintilie e Nedelcu si sono rifiutati di mangiarla, gli hanno legato le bocche con dei bavagli e gli hanno introdotto dentro con un cucchiaino, a forza, questo miscuglio.
Lo stesso giorno di Natale, Zaharia è andato nella stanza quattro dell’ospedale, da dove è ritornato con dei documenti in mano, li ha buttati sul letto di Magirescu e Pavaloaia, per leggerli, mentre lui ha preso a camminare su e giù per la stanza, con le braccia dietro alla schiena, canticchiando il suo ritornello preferito.
Dopo mezz’ora di musica si è fermato e ha chiesto a Magirescu di nominare quelli che conoscevano i canti natalizi e che si erano preparati per cantarli prima dell’inizio dello smascheramento. Siccome lui conosceva tutti quelli che avevano fatto le ripetizioni dei canti per festeggiare il Natale in carcere, li ha raggruppati in un angolo di un letto lungo e ha distribuito a ognuno i documenti che gli erano stati consegnati. Idocumenti contenevano i testi dei canti natalizi e sopra alle parole dei testi avevano scritto le parole più scabrose rivolte al Figlio di Dio e alla Santa Vergine Maria.
Poiché sono un credente e tutto il mio essere tremava quando pronunciavo il nome di Dio, non ero sicuro di poter dire quelle parole blasfeme, oltraggiose, indirizzate al Santo Padre e alla Madre di Dio da parte dei servi del Diavolo, in quel giorno santo del 1950, nella stanza numero tre della sottosuolo. La stessa identicadiavoleria si è ripetuta in tutte le stanze del sottosuolo e del pianoterra.
Nemmeno le donne più immorali di tutto il mondo, nemmeno l’ essere umano più perfido al mondo, non si sarebbe mai permesso di pronunciare tali parole di offesa rivolte alla Santità di Dio.
Essendo stonato come una campana per la musica, io non sono stato obbligato a far parte del coro satanico. Si sono rifiutati di partecipare e di cantare queste mostruosità: Pintilie, Nedelcu, Zelica Berza, Reus Gheorghe, Dinescu e Gelu Gheorghiu. Per questo motivo sono stati picchiati terribilmente e i canti blasfemi sono stati intonati durante i tre giorni di Natale.
Il secondo giorno siamo stati costretti di nuovo a utilizzare le gamelle, dalle quali mangiavamo, per i propri bisogni , e da quel giorno maledetto e fino a dopo Pasqua del 1951 nessuno di noi ha più il permesso di lavarsi le gamelle e i cucchiai.
Altrettanto, ci è stato vietato di bere l’acqua dalla tazza che stava sempre sul tappo del secchio e ci è stato imposto di versare l’acqua dalla tazza direttamente nelle nostre gamelle prima di berla. Tanti di noi, per prendere quanto più tempo possibile prima di mangiarsi le feci rimaste nelle gamelle, si trattenevano a lungo di andare in bagno, con conseguenze gravi di costipazione, che hanno portato a complicazioni ancora più serie.
Sempre il secondo giorno di Natale è toccato a me partecipare a questa prova degradante, mai esistita neanche per gli animali. Mi fa male descrivere tutti questi sacrilegi non solo per noi, che li abbiamo subiti ma anche per i lettori, che avranno un senso di disgusto, schifo e nausea. Ugualmente al primo giorno, alcuni hanno avuto forti conati di vomito solo guardando le gamelle dalle quali dovevano mangiare gli escrementi . Hanno provato a chiudere gli occhi, tappandosi il naso, ma tanti non sono riusciti a mangiareneanche un cucchiaio. Quelli che si sono opposti categoricamente sono : Petrica Tudose, Eneea, Virgil Mitan, Ion Grigoras, Hutuleac Ion e altri ancora. Fra quelli presi di mira da Zaharia, che assistevano a questo spettacolo grottesco, c’ero anch’io. Con tutte le pressioni che mi hanno fatto e tutte le botte che ho preso e con tutti i miei sforzi, il senso di nausea è stato
cosi forte che non sono riuscito a mangiarmi le feci. In questo ambiente imbevuto di vomito, ero sicuro che ognuno dentro di sé viveva una rivolta vicina alla follia.
E da allora, le torture hanno continuato in modo ancora più bestiale, fino al terzo giorno di Natale, non è rimasto neanche uno senza vivere questa violenza. Tutto questo è stato fatto all’insaputa del guardiano, perché non era lui che ci portava da mangiare per vedere in che condizioni si trovavano le nostre gamelle, ma un’altra persona del partito.
Nei giorni seguenti, hanno provveduto allo stesso modo anche con l’urina, con risultati più efficaci, se si può dire cosi. Il colmo della degradazione è stato raggiunto quando ad una parte di noi gli è stato imposto di mangiare le feci degli altri (io, non so il perché, ma non sono stato obbligato a farlo). Si sono spinti lontano in questa operazione indecente, che alcuni hanno preferito mangiarsi le proprie feci per non essere obbligati a mangiare quelle degli altri. Questa imposizione paranoica èdurata più o meno tre settimane, ma per alcuni qualche mese, in tutto questo tempo siamo stati picchiati cosi crudelmente perché ci rifiutavamo di sottometterci, che queste settimane sono diventate per noi l’inizio di un delirio colettivo.
Articolo a cura della dott.ssa Lorena Curiman