Com’è difficile quella lezione, di Ingrid Beatrice Coman
“Avete capito allora che cos’è il comunismo?” disse la maestra, richiudendo il libretto rosso da qui aveva letto per quasi un’ora.
Ad Angelica veniva da sbadigliare e la gamba sinistra le si era indolenzita. Se almeno avesse potuto stirarsi un po’, sgranchirsi o fare qualche passo. E invece doveva restare lì, immobile, le mani dietro la schiena e la testa diritta, come fosse una bambola incastrata tra i banchi.
Ogni volta che la maestra si fermava e chiedeva “avete capito, vero?” loro dicevano in coro “sì, compagna maestra” e lei faceva anche di sì con la testa, per paura che non le credessero.
A dire il vero lei non ci capiva niente di tutti quei paroloni complicati, così ben allineati sui fogli della compagna maestra che le suonavano come una lingua straniera. Erano cose da grandi come partito, patria, comunismo, uguaglianza, e le si ingarbugliava la lingua solo a pronunciarle. E quando la maestra, forse per via delle loro facce un po’ stupite, cercava di spiegarlo con parole per bambini, come diceva lei, le cose si mettevano anche peggio.
Già, perché lei proprio non capiva cosa volesse dire con “tutti uguali”, “ le cose sono di tutti”, “ a tutti secondo le proprie necessità” o “la proprietà non esiste”, per quanto la maestra si sforzasse di spiegare persino disegnando con il gesso sulla lavagna.
Se erano uguali, come diceva lei, allora come mai Alina, la figlia di quel signore vestito di blu che veniva dal partito stava sempre seduta al primo banco, riceveva i giochi migliori e mangiava tutte quelle misteriose merendine colorate che non divideva mai con nessuno? I suoi panini al prosciutto e formaggio non erano uguali alla sua fetta di pane appena sfiorata dalla margarina.
E se tutti dovevano avere le stesse cose, perché il suo cappotino ruvido e con le pezze sui gomiti non somigliava neanche un po’ al giaccone di pelo morbido di Alina, così carino e prezioso che la maestra lo appendeva nel suo ufficio per non farlo sciupare?
Certo che erano proprio belle le bottine di vernice rossa, come quelli di Gatto con gli stivali, mentre lei doveva portare gli scarponi di Magda, scrostati e un po’ slabbrati sulle punte, come due topi imbronciati.
Anche la mamma le raccontava sempre che Dio si prende cura di tutti noi, e lei ci voleva credere; è solo che doveva esserci un malinteso da qualche parte, perché la maestra dice sempre che Dio nemmeno esiste, è una buffonata come Babbo Natale, eppure lei viaggia su quella bella macchina ed è sempre vestita come una grossa bambola in vetrina. Di certo Dio si prende buona cura di lei. Se solo potesse ricordarsi di portare un mantellino di lana anche alla mamma, o anche solo una sciarpa, al posto di quella vecchia pellerina sottile che non riesce mai a scaldarla.
Del resto nemmeno Babbo Natale si ricorda più di passare da loro, visto che l’ultima volta ha avuto in dono solo i guanti rosa con i cuoricini che erano stati di sua sorella.
Il comunismo doveva essere una cosa tanto bella, niente da dire, altrimenti non starebbe scritto su quegli eleganti libri rossi dai caratteri dorati, così graziosamente rilegati.
Solo lei non ci capiva molto e continuava a porsi sempre le stesse domande. Per la verità avrebbe voluto farle alla maestra, tutte quelle domande che bussavano alla sua testa come i bambini dei vicini alla sua finestra quando la volevano scherzare con le loro facce buffe.
Ma la mamma si è raccomandata insistendo che no, non si può, certe cose non si dicono a scuola e lei non voleva mettersi nei guai. E allora restava lì, indolenzita sulla sua sedia, in attesa che l’ora di educazione politica finisse e lei potesse tornare a giocare.
Le mancava suo papà. Lui forse avrebbe le risposte a tutto. Ma è partito per quel lungo viaggio sulla grande macchina bianca e chissà quando tornerà.
“Mi prendi in braccio?” disse a sua sorella appena fu fuori dalla scuola. Lei le rispose di sì, come faceva sempre, e la coccolò per tutta la strada verso casa.
Che bello, almeno le coccole non erano distribuite dai codici del libro rosso e non erano, come i vestiti, i giocattoli e le merendine uguali per tutti, così lei ne poteva avere quante ne voleva.
Il racconto è stato pubblicato nel volume: ‘Memorie di una dittatura’, uscito nel dicembre 2009, curato dell’Associazione Carpatina Onlus di Torino. Il libro è una raccolta di testimonianze scritte da chi ha vissuto la dittatura romena.