Incontro in Italia con la giovane poetessa Ofelia Prodan
Durante il mese di novembre, Ofelia Prodan, giovane poetessa di Bucarest, ha partecipato ad una serata letteraria organizzata dal Caffè Letterario Primo Piano di Brescia, nell’ambito della prima edizione degli incontri “Libere parole in libero spazio”. La poetessa ha letto versi dalla sua ultima raccolta, Călăuza (La guida), uscita di recente per Cartea Românească. La serata letteraria è proseguita con Viorel Boldiş, Daniel D. Marin e sei poeti bresciani. L’evento è stato ospitato da Biagio Vinella, scrittore di Milano. I testi dei poeti romeni sono stati tradotti in italiano da Anita Natascia Bernacchia, Răzvan Purdel e Viorel Boldiş.
Ofelia Prodan ha esordito nel 2007 con il volume di poesie Elefantul din patul meu, che le è valso il Premio per il debutto dell’Associazione degli Scrittori di Bucarest 2008, il Premio per il debutto della rivista “Luceafărul” 2008 e la candidatura al Premio Nazionale di Poesia Mihai Eminescu – Opera Prima 2008). Ha pubblicato in seguito altri cinque volumi di poesia: Cartea mică (2007); Invincibili (2008); Ruleta cu nebun (2008); În trei zile lumea va fi devorată (2010); Ulise şi jocul de şah/Ulysses and the game of chess, edizione bilingue (2011). Ha partecipato a letture pubbliche in Spagna e Germania e alcuni suoi versi sono apparsi in riviste spagnole, francesi e belghe. Călăuza è “un libro di gesti apparentemente banali, ma preparati con minuzia dai protagonisti, i quali spingono i loro esseri verso un altro mondo, che si trova al di sopra e soprattutto al di sotto di noi, in cui le persone provenienti da nessun luogo si smarriscono, allontanate le une dalle altre, in una sorta di purgatorio dei fatti, sorvegliato dall’occhio di un Demiurgo estraneo alle loro sofferenze.” (Nichita Danilov) (Traduzione dal romeno di Răzvan Purdel).
Poeme din Călăuza, Ed. Cartea românească, 2012
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Ferite bianche
incido bellissime ferite sul mio corpo,
ferite bianche e calde come il pane appena sfornato.
sono passate tre settimane ormai
da quando se ne sono andati senza proferire parola. da allora,
sento le loro voci persino mentre dormo. ma ora, le ferite
si aprono come delle bocche e mi
parlano con le loro voci. mi dicono di aspettarli
che tanto la loro partenza è provvisoria. che l’unica cosa che ci separa
è solo uno spazio fragile come un foglio di carta.
penso di scrivergli qualcosa e in quel momento
le mie belle ferite bianche si adagiano
sul corpo come se fossero parole. ma loro non possono
cogliere il messaggio che trasmettono. spetta a me
capire la loro voce e all’improvviso tutto il mio corpo
diventa una ferita profonda e bianca da capo
a piedi, quanto basta per conoscerci a vicenda.
Una morte senza fine
è da un bel po’ che vago cautamente dentro
me stessa. qui posso sempre trovare
qualcosa di totalmente inaspettato e terrificante
come una morte senza fine, per esempio. a volte
mi giro intorno, poi giro attorno agli altri fino
a sentire le nostre urla sorde. eccoli come guardano quello che
vedo anch’io, ma da un altro luogo, da un altro punto di vista.
un essere buono, un essere clemente sovrapporrà
i luoghi in cui ci troviamo ora
e tutto il male che ci sta rosicchiando le anime a poco a poco
si alzerà indolenzito
come un vecchio cieco che colpisce a casaccio
le nostre teste con un bastone di ferro.
in quel momento saprò che dentro di me
c’è tanto di quel posto da far entrare proprio tutti
per fargli vedere quello che vediamo anche noi
quando ritornano dall’oscurità che regna là fuori.
Un nuovo mondo
stavamo lì coperti da grosse strisce di carne e battevamo i denti
per il gran freddo. parlavamo solo con i segni. ci dicevamo
che questo mondo è nuovo. che non conosce ancora la paura.
che noi siamo gli unici a temere che il freddo ci strapperà
le strisce di dosso rendendoci spiriti fluttuanti sul mondo,
se solo avessimo parlato. e mentre i nostri segni si moltiplicavano a dismisura
insieme al timore, la neve più bianca delle ossa dei primi morti
aveva coperto tutto. camminavamo e le nostre impronte affondavano
nella neve come le parole di coloro che chiamano la propria fine.
ci siamo fermati nel mezzo del mondo, abbiamo spalancato le nostre bocche
e abbiamo aspirato tutta la neve. e all’improvviso il freddo ci ha
indolenzito le ossa e tutta la carne si è staccata per farci
fluttuare lentamente sopra il nuovo mondo.
Acqua nera
Adesso andremo a farci una bella nuotata nell’acqua nera.
Non vedi quanta pace c’è dentro? A volte mi dimentico il corpo fuori
e li sento ancora più vicini perché quest’acqua è nera dal gran dolore
che provano i morti. loro vengono e se ne vanno tutte
le sere. la luna si nasconde dietro le nuvole e loro si spogliano piano piano,
in un silenzio da brividi e lavano le loro sofferenze. poi se ne vanno
senza guardare indietro. si racconta che se lo facessero anche per un solo istante
rimarrebbero intrappolati qui. proprio come noi. proprio come i nostri corpi
che nuotano in solitudine nell’acqua nera mentre noi,
nonostante l’effettiva vicinanza,
non troviamo mai la pace.
La luce nera
le cose che mi guidano. il dolore sordo che vibra dentro
il corpo. le lacrime mischiate alla saliva. io abito qui e
nessuno può dirmi vattene. il sole irradia una luce nera,
questo sole qui colpisce le pareti della mia camera con i suoi dardi.
qui le malattie ti fanno bene quando s’insinuano nel corpo,
un lenzuolo smisurato e vivo come l’acqua mi copre.
non mi riconosco più e inizio a colpire furiosamente il mio corpo.
nella mi testa si posa un silenzio morboso che dura fino a quando il sole
non mi trafigge. il dolore scompare. se ne va come una persona
che mi ha tenuto abbracciata fino allo sfinimento per poi vagare triste,
perché non può più tornare nella propria casa.
Poem din Ruleta cu nebun, Ed. Vinea, 2008
Il cieco e il cane
il cieco ha un grosso cane dalla fitta peluria
siede tranquillo su un sasso e s’ingozza
con un tozzo di pane si ferma ogni tanto
di masticare colpisce col bastone
la testa del cane e piega la sua all’indietro
allora si vedono meglio gli occhi opachi
il cane lo fissa il cieco si alza
dal sasso e comincia una danza bizzarra
noi gli stiamo intorno con gli occhi spalancati
non facciamo rumori non ci muoviamo
ma il cieco ci avverte il cieco balla come se
fosse solo con una musica che solo lui sente
il ballo si intensifica gira
rigira colpisce le cosce con le mani
alza le gambe in alto e all’improvviso si ferma
si siede tranquillo sul sasso colpisce col bastone
la testa del cane noi gli stiamo intorno come un grappolo
arriva lentamente la sera e il cane ci fissa
è un cane buono, un pastore
Poem din Invincibili, Ed. Vinea, 2008
Il cavo
un capo lo reggo io e il secondo un altro
da quando ci conosciamo
non smettiamo di tirare con le unghie e coi denti
con tutta la rabbia questo spesso cavo che
ci unisce come un morbo
uno di noi ha sempre
un leggero vantaggio
ci piace perché ci troviamo in due estremità opposte
io tiro verso di me e l’altro, ovviamente,
verso sé stesso
non ci stanchiamo mai
di questo gioco non ci si sazia
non dormiamo neppure di notte
poco tempo fa abbiamo rinunciato al cibo
ai lati c’è una folla
che ci acclama continuamente
ride incita
all’improvviso le nostre forze si decuplicano
e quindi tiriamo più forte
neanche noi sappiamo più quanto tempo è passato
sentiamo di essere vicini molto vicini alla fine
i nostri corpi si sono assottigliati a tal punto
che solo il cavo si distingue ancora
solo la gente continua a gioire
noi scompariamo a poco a poco
solo quella gente non smette di gioire