Nicu Steinhardt (1912-1989) è una figura di spicco nel panorama culturale romeno del Novecento. Nel 1959 fu processato e condannato a tredici anni di reclusione per essersi rifiutato di collaborare con il regime. All’uscita dalla prigione, riprese una proficua attività letteraria che lo portò a pubblicare diversi libri e centinaia di articoli. Diventato monaco nel 1980 col nome Nicolae Delarohia, Steinhardt fu accolto benevolmente al monastero Rohia della regione Maramureș. Da lì si sposterà, comunque periodicamente a Bucarest e passerà dall’attività di traduttore a quella, intensissima, di saggista e cronista letterario, musicale e artistico, attività testimoniata dai sei libri pubblicati (con tagli operati dalla vigile censura) e dalle centinaia di saggi, articoli, note, cronache, riflessioni apparsi in varie riviste.
Tutto intorno a questo libro è rivestito di straordinario, a partire dall’esperienza di vita dell’autore – ebreo convertito al cristianesimo e battezzato in galera – e a continuare con la storia del manoscritto che sta alla base del libro. Esistono, di fatto, due manoscritti in romeno di questo libro: il primo, confiscato inizialmente dalla Securitate (la famigerata polizia segreta romena durante gli anni della dittatura, comunista) e poi restituito all’autore; il secondo, più esteso, interamente riscritto da Steinhardt dopo la confisca della primo. Entrambi sono stati, in seguito, da lui completati, corretti e nascosti. L’attuale edizione riproduce la prima delle due versioni.
(…) Per uscire da un universo concentrazionario che non deve essere necessariamente un lager, una prigione o un’altra forma di carcere, poiché la teoria si applica a qualsiasi tipo di prodotto del totalitarismo, esiste la soluzione mistica della fede.
Sono entrato cieco in prigione ed esco vedente; sono entrato viziato, coccolato, esco guarito dalle arie, dalle pretese, dalla presunzione; sono entrato scontento, esco conoscendo la felicità; sono entrato nervoso, permaloso, sensibile alle sciocchezze, esco indifferente a tutto ciò; il sole e la vita volevano dire poco, adesso so assaporare la più piccola fettina di pane; esco ammirando soprattutto il coraggio, la dignità, l’onore, l’eroismo; esco riappacificato: con quelli verso cui ho sbagliato, con i miei amici e nemici e anche con me stesso. Perciò sto in ginocchio e ringrazio Gesù Cristo promettendogli di fare il possibile per comportami, d’ora in poi, con distacco di fronte a tutte le avversità, gli ostacoli, le provocazioni; sarò solo allegro, sempre riconoscente per ogni gioia, ogni parolina buona che non sia bestemmia e imprecazione e desidererò piuttosto la morte che commettere peccati che gridano vendetta al cielo. N. Steinhardt
Più che situarsi al suo centro quale «io narrante», Steinhardt sembra distillarsi e diffondersi dappertutto nel microcosmo – creato per meglio amalgamarlo – come sostanza viva e miracolosa, con la sua incrollabile fede in Dio, negli uomini, nella libertà. Perché – e questo pare il supremo insegnamento del diario – nessuna prigione al mondo (e neppure il mondo intero, prigione più grande del carcere) può impedire all’uomo di pensare e di avere fede. La fede vince la paura e fa diventare l’uomo libero, libero e felice. Gheorghe Carageani
Ileana Mălăncioiu, membro corrispondente dell’Accademia Romena e nota personalità del mondo letterario romeno considerava il Diario della felicità come il libro più importante pubblicato in Romania dopo il 1989.
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