Settimana di Studi Intensivi dalla Facoltà di Teologia di Lugano – Università Svizzera Italiana – svolta tra il 15-19 febbraio 2016 ha posto in evidenza un argomento complesso e delicato per il mondo cristiano d’oggi: Cristiani perseguitati- oggi martiri. Nella maggior parte dei casi – si sottolineava nel programma – le persecuzioni e il martirio dei cristiani del mondo contemporaneo sono riportate dai media con scandalosa approssimazione: le ragioni storiche, politiche, teologiche di questi fenomeni, soprattutto nelle zone più colpite, sono ben poco approfondite.
L’intento della Facoltà di Teologia e stato di analizzare in una visione multidisciplinare gli aspetti storici, teologici, giornalistici – intrecciati con le testimonianze di cristiani provenienti dalla Siria, Turchia, Egitto, Pakistane, Cina, Romania.Importanti studiosi hanno onorato l’evento: il prof. Fabrizio Panzera che ha ripercorso la chiusura dei conventi e l’espulsione degli ordini religiosi nella Svizzera dell’Ottocento; il diacono Guirguis Mansour e Padre Shenuda Gerges che hanno fatto conoscere le comunità copte che vivono in Ticino, a Milano ed in Egitto, Prof. Davide Righi: Prof. Helmut Moll, Padre Bernardo Cervellera: Prof. Massimo Introvigne, Roberto Simona ecc.
Anche la Romania e stata ricordata in una relazione tenuta da Violeta Popescu intitolata: I martiri della Romania durante la repressione comunista, argomento che ha toccato soprattutto il periodo immediato dopo la seconda guerra mondiale, quando le carceri comuniste nel Paese erano veri centri di sterminio per la gente arrestata. Il comunismo come altri sistemi politici, mettendo a dura prova il cristianesimo, ha dimostrato che l’uomo non può essere salvato se non attraverso la fede, la preghiera, senza misericordia e amore per il prossimo. Senza uno sforzo continuo di entrare in contatto con Dio, l’uomo sottoposto a un sistema del genere, perde la speranza e si sente abbandonato.
La mappa dei perseguitati: dramma con tinte diverse
di Corinne Zaugg- Giornale del Popolo
Egitto, Messico, Romania, Germania, Algeria, Cina, Uzbekistan, Tajikistan, Pakistan, Indonesia, ma anche Svizzera e Italia: la mappa della persecuzione è oggi quanto mai vasta ed estesa. Certamente difficile da ricondurre ad un unico denominatore comune. È questo quanto è sostanzialmente emerso dalla“Settimana di studi intensivi” che la facoltà di Teologia di Lugano ha proposto ai suoi studenti, dal 15 al 19 febbraio, scorsi. Studiosi e testimoni di casa nostra come Fabrizio Panzera che ha ripercorso la chiusura dei conventi e l’espulsione degli ordini religiosi nella Svizzera dell’Ottocento; il diacono Guirguis Mansour e Padre Shenuda Gerges che ci hanno portati a meglio conoscere le comunità copte che vivono in Ticino, a Milano ed in Egitto, o ancora il rettore della Facoltà di Teologia, René Roux, che ha illustrato come il professare la fede sino al sacrificio della propria vita, abbia accompagnato il cristianesimo, sin dal suo nascere.
Le cifre del fenomeno
Nessuno ha azzardato delle cifre. Centomila? Centocinquantamila? Difficilissimo quantificare quanti siano, mondialmente, i cristiani uccisi ogni anno per motivi unicamente legati alla loro fede.
I singoli relatori hanno preferito proporre storie e situazioni legate alle diverse aree geografiche. Come Violeta Popescu che ha riaperto la dolorosa ferita della terribile persecuzione per mano del regime comunista, conosciuta dai cristiani ortodossi, greco-cattolici e romano-cattolici tra il 1946 e il 1964, in Romania. Dalle condanne ai lavori forzati negli appositi campi, al carcere senza processo, alle inenarrabili torture ed angherie che colpivano chi era in odore di cristianità. Per molte delle vittime, il carcere non fu un’esperienza disumanizzante, ma divenne palestra dell’anima e numerose furono le opere letterarie che fiorirono da quelle esperienze durissime. Un titolo per tutti: “Il diario della felicità” scritto da Nicolae Steinhard sui suoi anni di prigione.
La situazione in Cina
Carcere duro e campi di lavoro anche in Cina per i cristiani, anche e ancora ai giorni nostri. Ne ha parlato Bernardo Cervellera, missionario del Pime e giornalista per Asia News con la Cina nel cuore da sempre. La Cina è oggi un Paese che riconosce la libertà di culto e l’espressione di una propria religiosità ma unicamente all’interno di case e chiese registrate e con sacerdoti autorizzati dal ministero degli Affari religiosi. Se ciò non avviene, ossia se la religione viene praticata al di fuori del controllo statale, non si compie un semplice atto o gesto illegale, bensì un crimine punibile col carcere e la detenzione in campi di rieducazione.
Pertanto, ci sono oggi in Cina non due Chiese, ma due rami di una stessa Chiesa: uno che ha accettato il compromesso con lo Stato, garantendosi così una certa tranquillità e un altro che rifiutando questo controllo, si trova a dover vivere di nascosto il proprio credo, in maniera “sotterranea”. Numerosissimi i preti, ma anche i Vescovi, “scomparsi” e detenuti da decenni senza che ne trapeli alcuna notizia.
Cervellera ha citato il caso del vescovo Cosma Shi Enxiang detenuto per oltre cinquant’anni e morto lo scorso anno.
Come la parola “martire” assume significati e connotazioni diverse a seconda se a declinarlo siano i cristiani o i seguaci di Mohamet – come hanno messo in luce con angolature diverse Helmut Moll e Davide Righi- così anche la persecuzione ha stadi e gradi diversi.
Persecuzioni in Occidente
In Occidente è spesso “latente”, ha spiegato Massimo Introvigne, sociologo, fondatore e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni, citando i casi di persone licenziate perché portavano al collo una catenina con un crocifisso sul lavoro o messi alla gogna mediatica, per un’affermazione ritenuta poco gay-friendly.
Il mondo islamico
La diversità è, invece, sempre un’occasione per Roberto Simona di Aiuto alla Chiesa che Soffre ed esperto per le minoranze cristiane in territori musulmani, che mette in luce come il mondo musulmano sia vasto (1,5 miliardi di persone), differenziato (non esiste un solo islam) e non sia localizzato unicamente nel Medio Oriente (solo 1/3 della popolazione musulmana vive lì). Pertanto è importante, ha spiegato, non cedere alla logica delle contrapposizioni e alla banalizzazione degli stereotipi, ma andare incontro alla diversità con curiosità, disposti a mettersi in gioco con tutta la propria umanità.
L’indicibile “memoriale del dolore” della Romania
Il “Memoriale delle vittime del Comunismo e della Resistenza” si trova a Sighetu Marmatiei , nel distretto di Maramures, nel nord della Romania.
Al suo interno migliaia di nomi e di foto che vogliono togliere dall’anonimato la sofferenza di chi tra le mura di quel carcere ha trascorso anche venticinque anni di prigionia e subìto inenarrabili torture anche solo per aver portato al collo un crocefisso, custodito in casa un’icona, fatto un segno della croce.
Ne ha parlato, Violeta Popescu nell’ambito della Settimana di studi intensivi della Facoltà di Teologia, a Lugano
Quando negli anni ’90 é venuta alla luce la terribile persecuzione subita per mano del regime comunista rumeno ai danni di fedeli ortodossi, greco-cattolici, romano-cattolici, per la grande maggioranza della popolazione rumena è stato uno shock. Si è trattato di una corsa contro il tempo, ascoltare e raccogliere le testimonianze degli ormai anziani sopravvissuti. Tra di loro figure gigantesche: come Padre Arsenie Papacioc ( “il comunismo ha riempito il cielo di santi”), il poeta Ioan Ianolide (che dopo 25 anni di carcere ha affermato: “Tutto per Cristo”) o ancora l’ebreo convertitosi in carcere Nicolae Steinhard ( il cui diario di quegli anni s’intitola “Il diario della felicità”).
Ponte tra oriente ed occidente, sintesi tra latinità e ortodossia, la Romania tra il 1945 e il 1964 ha vissuto un terrore sistematico le cui vittime non è stato possibile quantificare esattamente poiché nel 1969 il governo comunista ha ordinato la distruzione degli archivi storici. Si stima che nelle 50 carceri e nei 72 campi di lavoro forzato rumeni, siano passati 3 milioni di persone, mentre le vittime dovrebbero essere intorno alle 800 mila.
La Romania vanta, inoltre, un altro primato negativo. Quello di aver dato vita all’esperimento Pitesti: un “genocidio delle anime” come è stato definito da chi lo ha subito (tra le mille e le tremila persone) che prevedeva che fossero i detenuti tra di loro a “rieducarsi” a vicenda tramite la tortura, in un clima di totale disumanizzazione e terrore costante.
Una pagina di storia difficile che non va però dimenticata, ma anzi recuperata e a cui Violeta Popescu ha dedicato un volume “Le catacombe della Romania. Testimonianze dalle carceri comuniste 1945-1964”).
Lugano,
articolo di Corinne Zaugg, Giornale del Popolo del 20.2.2016)