di Marco Roncalli
Sibiel, piccolo paese sperduto nei Carpazi. Qui si trova il più grande museo delle icone orientali su vetro, capolavori spesso sconosciuti dell’arte bizantina raccolti dall’opera infaticabile di un prete rumeno. Un’esposizione diventata un importante centro ecumenico.
Scriveva il teologo san Giovanni Damasceno, il più grande difensore del culto delle sacre icone: «Fin dai tempi antichi, Dio l’incorporeo e l’incircoscritto non fu mai raffigurato. Ora, tuttavia, quando Dio è stato visto rivestirsi di carne […] faccio un’immagine del Dio che io vedo. Io non adoro la materia, adoro il Dio della materia, che per me è divenuto materia, e si è degnato di abitare nella materia, e ha portato la mia salvezza attraverso la materia». Niente di meglio che richiamare queste parole per iniziare questa storia. Che attinge a tutta la ricchezza della tradizione cristiana ortodossa, ma anche alla creatività dei pittori contadini romeni. Perché di questo si deve parlare presentando il singolare connubio di religiosità e arte rappresentato dalla icone su vetro della Transilvania (sin qui nota soprattutto per… il conte Dracula…).
Sappiamo che, lungi dall’essere semplici immagini raffiguranti soggetti religiosi, le icone traducono la fede e la preghiera della Chiesa e che – tra l’altro – la materia di cui l’icona è fatta deve riverberare la trasparenza tra cielo e terra, la santificazione dell’umano nel Divino a partire dal mistero dell’Incarnazione… Ebbene queste icone su vetro, differenti rispetto alle icone classich (per temi, stili, ispirazione), vorrebbero parlare lo stesso linguaggio di fede, di stupore mistico, di vicinanza al divino. O quantomeno trasmettere quei riflessi di eternità che noi riconosciamo nelle nostre immagini religiose popolari. Nell’Europa Centrale le antiche radici del dipinto su vetro si palesano tra il XVIII e il XIX secolo, in particolare fioritura aconoscendo in Romania singolare seguito di quella che è stata definita la ‘lacrimazione miracolosa’ dellasu un’icona in Madonna con Bambino dipinta legno in un villaggio del Nord. Successivamente il fenomeno ha alterni periodi di fortuna, tecniche ed esiti diversi. In Transilvania, dove fu adottata l’iconografia ortodossadipinte seguendo modelli bizantina, le icone venivano su carta posti sul retro della base in vetro (per lo più unto con il petrolio per veder meglio in trasparenza). A realizzarle erano uomini di chiesa, ma pure anonimi contadini che le vendevano al mercato per acquirenti che trovavano costose quelle lignee. In ogni caso dipingerle non era solo un fatto materiale: secondo le antiche regole della pittura ortodossa, si richiedeva – oltre le abilità tecniche – una preparazione spirituale:
preghiera, digiuno, apposite liturgie. Fra i soggetti più rappresentati la Madonna con Bambino, la Natività, la «Madonna Crocifissione, la Risurrezione. Nutrito anche il repertorio addolorata»,
dei santi. Pregandovi innanzi, i contadini romeni hanno una delle icone chiesto a lungo la loro intercessione. Poi ci sono state su vetro conservate due guerre mondiali e la persecuzione comunista… Ciò al Museo di Sibiel, nonostante questo fuoco di bellezza sgorgata dalla fede che riunisce vari non s’è spento.
A ricordarci tutto questo è Giovanni Ruggeri, ottimo conoscitore della Romania. Con il suo volumetto illustrato Le icone su vetro di Sibiel (edizioni Città aperta), ci accompagna in un paese dei Carpazi, a 20 chilometri dalla più nota Sibiu, a suo tempo così insignificante per il regime comunista da non essere nemmeno sottoposto alla collettivizzazione. Qui si trova il più grande museo della ‘religiosità su vetro’, che, paradossalmente, facendo leva sul valore culturale, ha preso vita proprio negli anni bui sotto il regime di Ceausescu, ad opera di un prete ortodosso e della sua comunità. Insomma la piccola epopea di un villaggio romeno in pieno comunismo, sopravvissuta grazie a padre Zosim, approdato a Sibiel nel ’64, dopo dieci anni di carcere e cinque di lavori forzati. Visitando le modeste case dei parrocchiani e scoprendo un po’ dappertutto i dipinti vitrei ecco l’idea di una prima raccolta, poi nel 1970 un edificio destinato ad accoglierla (presto meta di visitatori). Attorno al ’75, Sibiel diventa una sorta di piccolo centro ecumenico dell’Est, dove si trovano a pregare ortodossi, cattolici e protestanti. Ci arrivano anche il vescovo Robert Runcie, poi primate anglicano, teologi come Oscar Cullmann, Jürgen Moltmann, Olivier Clément. Visite di carattere ecumenico ma che hanno procurato aiuti decisivi (specie nel 1976 da parte del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra con segretario Philip Potter) per la realizzazione di una nuova sede del Museo. Aggiungete supporto e benedizione del metropolita di Transilvania Antonie Plamadeala e del patriarca di Romania Justinian ed ecco il Museo Zosim Oancea. Oltre seicento capolavori su vetro realizzati tra il ’700 e il ’900. Spirito e di materia. Da scoprire.
Estratto dal giornale Avvenire, 1 febbraio 2009