Violeta P Popescu
Come già si conosce La Romania, insieme agli altri paesi vicini, è stata parte della zona d’influenza sovietica e comunista dopo la seconda guerra mondiale. La sua storia fu modificata sotto la minaccia delle truppe sovietiche per circa cinque decenni. Questo cambiamento forzato ha significato, tra altre gravi distorsioni, un tragico isolamento, una divisione dalla gran famiglia europea.
La popolazione della Romania, secondo dati recenti, è di 22,5 milioni di persone insediate su un territorio un po’ più piccolo dell’Italia ed è quasi totalmente alfabetizzata (97,3%). Il movimento naturale si caratterizza per la notevole stabilità, con tassi di natalità e di mortalità non solo abbastanza vicini ma con una tendenziale prevalenza delle morti sulle nascite un fatto che, unito all’emigrazione delinea un quadro di progressiva riduzione della popolazione complessiva.
L’immigrazione romena deve essere vista come un insieme composto di due categorie distinte: quella rappresentando il vecchio esilio – i romeni integrati nell’Occidente da tanti anni, e quello recente – dopo la Rivoluzione romena del 1989, generata da fattori soprattutto economici.
Dopo la caduta del regime Ceauşescu, la realtà riguardante l’immigrazione cambia in maniera paradossale. Non si può più parlare di un esilio forzato, costretto da una realtà durissima come quella della dittatura comunista del regime Ceausescu. Dopo tanti anni vissuti come in una galera, in una chiusura da tanti punti di vista, una volta strada aperta, i romeni hanno cominciato a provare l’esperienza dell’Occidente, per alcuni con tanti rischi. Non è un segreto per nessuno la ragione per quale tanti romeni hanno lasciato il paese: la ricerca di una una vita migliore dal punto di vista economico.
I primi ingressi in Italia sono stati registrati all’inizio degli anni ’90, dopo del crollo del regime di Ceausescu. Successivamente si è assistito a una brusca accelerazione, che nel giro di pochi anni ha portato i romeni a diventare la prima comunità straniera in Italia, più popolosa, ad esempio, di una comunità “storica” di immigrati, ad esempio quella dei marocchini.
L’imigrazione romena e diventata, un gesto disperato per tanti romeni e ha, in realtà, una sostanza politica. E’ un aspetto doloroso della crisi morale provocata da tutto quello che è successo dopo la Rivoluzione del 1989.
La mancanza di prospettive, di una vita normale, di speranza ha spinto disperatamente tanti romeni all’unica scelta: uscire del proprio paese. Certamente, esistono studi sociologici di specialità che analizzano questo aspetto particolarmente complesso. Per la grande maggioranza di queste persone, invece, paesi come l’Italia o la Spagna rappresentano di solito una fonte di guadagno, ma spesso anche una fonte di confusione.
All’inizio degli anni ’90 la Romania è emersa sullo scenario europeo come paese a forte pressione migratoria. Inizialmente furono le minoranze etniche ad emigrare (quella sassone, ungherese e in parte rom) unite alle fasce della popolazione culturalmente più attrezzate in cerca di migliori opportunità.
Con la caduta del regime, sono state chiuse le fabbriche in cui gli operai romeni lavoravano e molti che non sono sopravvissuti al passaggio da una economia pianificata e centralizzata a una economia di mercato, si sono trasformati con il tempo in pendolari transnazionali pur di conservare quello “status” economico e sociale considerato privilegiato.
Secondo le stime ufficiali dell’Istituto Nazionale di Statistiche italiano, a partire dal 1990 sono stati 380 mila i cittadini romeni emigrati all’estero in maniera permanente. L’Italia, insieme a Spagna e Germania, la meta prescelta. La lingua, basata per più dell’80% su termini di origine latina, a differenza dei paesi confinanti, tutti slavofoni (ad esclusione dell’Ungheria), faceva la strada di integrazione più facile. da trait d’union.
Se nella prima fase degli anni ’90 si svilupparono le cosiddette migrazioni “circolari” o “informali” col passare del tempo l’emigrazione prendeva sempre più la forma di un esodo sistematico, basato su reti parentali e amicali precedentemente stanziate e in grado di dare una prima accoglienza all’immigrato. Prendeva sempre più piede una immigrazione “economica” che ha visto coinvolte più ampie fasce della popolazione romena attratte dalle maggiori opportunità di reddito dei paesi occidentali dell’Europa.
I fasi
La prima fase di emigrazione ha avuto luogo tra il 1990 e il 1992, è la “fase dell’enticità e dell’apartenenza religiosa”. In questa fase i gruppi etnici tedeschi e ungheresi abbandonno il Paese partendo dalle zone in cui è maggiore la loro concentrazione, come la Transilvania e il banat.
La seonda fase si svolge dal 1993 al 2000 – è quella in cui i romeni lasciano il Paese in maniera definitiva.
Dopo 2000 ha luogo la terza fase, quella della imigrazione all’estero per lavoro o della migrazione circolare. In questa terza fase l’emigrazione all’estero si orienta verso l’Italia e la Spagna.
La migrazione è particolarmente sostenuta quanto più le condizioni economiche sono percepite come sfavorevoli per progetti individuali o familiari.
La maggiornza dei romeni immigrati in Italia proviene dai villaggi rurali della Moldavia e ha già alle spalle una pregressa esperienza migratoria, quanto meno all’interno della Romania.
Costretti all’urbanizzazione di massa nel corso degli anni 70-80 a partire dal mese di dicembre 1989, quando le industrie romene si sono fermate, si è assistito ad un diffuso ritorno nelle campagne o alla partenza all’estero dei pioneri dalle province di Botosani, Suceava, Vrancea, Bacau, galati e Focsani.
La letteratura più recente ha concentrato l’attenzione su almeno tre cause alla base di questa atrrazione per Italia da parte dei romeni:Italia offra ampie possibilità grazie a politiche di ingresso poco resttritive; Il sociologo Dumitru Sandu una delle voci più autorizzate della sociologia roemna ha messo in evidenza come anche il background cattolico poosa fungere da sostrato comune e facilitare l’avvio dei flussi migratori. L’ipotesi rafforzata dal vescovo di Iasi Petru Gherghel ha riferito che i latini cattolici emigrati in Italia dalla sua diocesi di Iasi (Moldavia) erano almeno 20.000 in 2005; La presenza dell’imprenditoria italiana. Durante il comunismo il regime aveva svilupatto proprio nella Moldavia l’industria tessile e calzaturiera; La presenza degli imprenditori italiani in Moldavia ha creato una rete di contatti e uno scmbio di informazioni tale da renedere l’Italia una meta migratoria appetibile.
Violeta P. Popescu, intervento in occasione del convegno “LEft Behind”organizzato da L’Albero della Vita e la Commissione Europea rappresentanza di Milano
26 maggio 2010: Palazzo delle Stelline – Corso Magenta, 59 Milano – Uffici della Commissione Europea