Zero Positivo, romanzo scritto dalla Cocis con toni brillanti e linguaggio fluido ed evocativo, è la storia di tre liberazioni, di tre salvezze di cui è autobiograficamente protagonista l’autrice stessa.
La prima salvezza: dalla malattia, che drammaticamente coinvolge l’autrice mentre porta nel grembo un bambino. Malattia che sconvolge i percorsi dell’autrice, malattia contro cui lotta, malattia accolta e riconciliata, malattia finalmente superata e vinta.
La seconda salvezza: dal regime rumeno, che aveva provocato lo spegnimento delle libertà, soprattutto della libertà di pensiero e di coscienza. La libertà è sperimentata dall’autrice nella sua carica potenziale: il regime nella famiglia di Cristina non riesce a eliminare la capacità di amare, in un contesto in cui molti avevano smesso di pensare, proprio continuando a ubbidire.
La terza salvezza, la più profonda: dalla paura. L’ospedale, liberato interiormente dai tristi colori delle camere asettiche, diventa luogo dei ricordi, della solitudine e dell’isolamento trasformati in presenza e pienezza degli affetti. Persino oltre le mascherine, utili ma tristi, dei medici, la protagonista del romanzo riesce a intuire gli sguardi fugaci, pieni di pietas e sollecitudine nascosta dietro un ruolo professionale che all’empatia sembra dare talvolta poco spazio.
Zero Positivo è un romanzo della carne: l’autrice, pur nella malattia, capisce – mentre nel grembo custodisce il piccolo Victor – che la carne non è la prigione dell’anima: e nella riconciliazione con le ferite che la carne vive si gioca per l’autrice un cammino di liberazione dei ricordi, e la psiché viene definita nelle sue enormi potenzialità.
Zero Positivo, difatti, è la storia di una memoria purificata, di una memoria che è capace di andare persino oltre la storia del proprio vissuto personale, nello spazio dei ricordi di famiglia, lo spazio del tempo dei genitori, tempo non vissuto da noi in prima persona, tempo grazie al quale esistiamo. I ricordi, protagonisti indiscussi del romanzo, abitano proprio sulla superficie del corpo ammalato dell’autrice. In questa memoria, per Cristina diventa difficile persino sognare: perché certi sogni, che sono troppo belli, diventano i più brutti, visto che fanno soffrire constatando lo iato tra presente e passato, tra quello che si è e quello che si è stati, tra quello che si è e quello che si vorrebbe essere.
Zero Positivo, pur essendo la storia di una guarigione, quasi insperata, sembra non essere la storia di un miracolo. Chi non ha letto il libro può pensare: l’autrice è guarita, è una specie di miracolo! Chi ha letto il libro invece pensa: davvero in questa vita tutto è miracolo, soprattutto le gioie semplici di un colore o di un profumo o di un bacio.
Nel romanzo c’è una costante compagnia ombrosa: la morte. Inizialmente, sorella morte è quasi evitata. Poi, accolta, e affrontata. Così scrive l’autrice: “la parola morte aveva preso forma concreta perché era stata pronunciata e finalmente aveva penetrato il silenzio in cui l’avevo avvolta nel tentativo di annullarla, annientarla”.
Il coraggio di pronunciare la parola morte rende l’esperienza dell’autrice anche leggera, spensierata, relativa. Il romanzo, trattando di argomenti obiettivamente impegnativi e radicali, è ricco di gioia: per l’autrice la volontà di Dio non ha a che fare col peso di una spada di Damocle pendente sulla testa, ma sempre con qualcosa di bello, anche allegro.
La lettura del testo è perciò vivamente consigliata, perché mette in contatto con un’anima pulita, limpida, purificata.
di Antonio Allegritti – Avezzano [AQ]