Centro Culturale Italo Romeno
Milano

I romeni in Italia: cresce la presenza e il radicamento, nonostante i ritorni

Ott 26, 2017

I romeni in Italia: cresce la presenza e il radicamento, nonostante i ritorni

Antonio Ricci, Centro Studi e Ricerche IDOS

Una lettura trasversale dei dati statistici raccolti dal “Dossier Statistico Immigrazione 2017”, curato da IDOS e CONFRONTI e presentato il 26/10/2017 a Roma e in contemporanea in altri 20 capoluoghi italiani, permette di ricostruire una efficace “fotografia socio-statistica” della presenza romena in Italia. Si riassumono qui le caratteristiche principali e si rimanda alla lettura integrale del volume per ulteriori approfondimenti (www.dossierimmigrazione.it).

Si chiamano David o Matteo, ma anche David Andrei, Alexandru, Luca o Gabriel. Oppure, nel caso delle bambine, Sofia, Sofia Maria, Maria, Giulia e Alessia Maria. Sono questi i nomi che i genitori romeni immigrati prediligono per i loro bimbi nati in Italia, rivela il Report dell’Istat su “Natalità e fecondità della popolazione residente” (novembre 2016). Nel corso del 2015 sono nati in Italia 19.730 bambini con almeno uno dei genitori cittadino romeno, di questi 14.754 hanno entrambi i genitori romeni. 

Alla fine del 2016 i romeni si confermano la principale collettività immigrata in Italia con 1.168.552 cittadini residenti, pari al 23,2% del totale dei residenti stranieri. Secondo le proiezioni Onu sui dati censuari, la comunità romena in Italia rappresenta un terzo di tutti gli emigrati romeni all’estero (33,8%) e, dopo la marcata crescita registrata nella seconda metà dello scorso decennio, la spinta in aumento continua a far sentire i propri effetti anche se è andata fortemente riducendosi. Nel 2016, infatti, si è registrato un modesto +1,5%, che in valori numerici corrisponde ad un +17.157, apparentemente assorbito dal numero dei nuovi nati con cittadinanza romena (cioè da ambo i genitori romeni).

La realtà è molto più complessa perché le migrazioni romene in Italia si caratterizzano per permanenze temporanee (che poi possono assumere un carattere permanente) e per progetti migratori che non sempre riescono anche a causa delle difficoltà del mercato del lavoro italiano di offrire posizioni di lavoro qualificate e al di fuori dell’economia sommersa. L’aumento della presenza romena perciò è il frutto di una complessa somma algebrica delle variabili che contraddistinguono una collettività tanto numerosa quanto ricca di sfumature. Nel 2015, ad esempio, anno per il quale sono disponibili statistiche consolidate dei flussi, si è registrato un aumento abbastanza simile rispetto al 2016, pari a 19.556 presenze, risultato dalla somma algebrica, da una parte, tra 46.439 nuovi arrivi e 14.754 nuovi nati in Italia e, dall’altra, tra 12.914 ritorni in Romania, 14.403 acquisizioni di cittadinanza italiana, un certo numero di decessi o di irreperibilità, ecc.

A stabilizzare la presenza, nonostante i nuovi arrivi siano ancora numerosi e le nascite in Italia sostenute, è il numero dei ritorni o dei trasferimenti in altri Stati membri. Non è possibile quantificare questo numero con immediata certezza a causa della tendenza di chi è andato via dall’Italia a non comunicare il trasferimento, tuttavia il numero delle partenze effettive emerge di fatto nel medio periodo per effetto delle cancellazioni anagrafiche d’ufficio per irreperibilità. Da una indagine sul campo contenuta nel Dossier 2017 (cfr. F. Merico, pp. 70-73) emerge un significativo parallelismo storico tra il modello dell’emigrazione romena in Italia e quello della prima emigrazione italiana verso Francia e Svizzera. Premessa la differenza di fondo che dall’Italia emigravano uomini soli, tra le varie risultanze emerge che l’uso delle rimesse in Romania è molto simile a quello italiano, cioè viene prevalentemente impiegato per il sostegno della famiglia, anche attraverso investimenti sull’abitazione, e in misura secondaria per avviare un’attività imprenditoriale.

Con una presenza complessiva che alla fine del 2016 si appresta a toccare 1,2 milioni, al netto dei ritorni,  i cittadini romeni sono presenti in tutta la Penisola, con una particolare concentrazione nelle Città Metropolitane del Centro e del Nord (Roma, Torino, Milano, Bologna, Firenze, Venezia). Quasi il 20% risiede nel Lazio e oltre il 15% nella sola Provincia di Roma.

L’età media è particolarmente giovane ed è stimata dall’Istat in linea con quella registrata tra i cittadini stranieri residenti in Italia pari a 34 anni nel 2016, a fronte dei 46 anni registrato tra la popolazione italiana. Diffusa è la dimensione familiare, con nuclei formati mediamente da due componenti per famiglia.

La dimensione femminile è predominante (57,4%), ma molto meno rispetto ad altre collettività europee. Diffusi sono anche i matrimoni misti: sono soprattutto gli uomini italiani a sposare donne romene (2.727 matrimoni, pari al 20,0% delle unioni italiano-straniera); invece, tra le italiane che nel 2015 hanno sposato un partner straniero sono stati 249 i mariti romeni. Infine, 926 celebrazioni hanno riguardato cittadini romeni che si sono coniugati con altri connazionali.

Nonostante il numero significativo di nascite registrate in Italia, le incertezze connesse alla condizione di migrante in un Paese straniero portano con sé inevitabili conseguenze che si ripercuotono sulle scelte familiari, maternità compresa. Il tasso di abortività delle romene residenti in Italia raggiunge un’incidenza pari al 2,2%, ben più elevata della media delle donne italiane (0,7%), delle donne straniere in Italia (2,0%) e delle stesse donne romene in Romania (1,9%) (cfr. Istat, Come cambia la vita delle donne, 2015, pp. 35-36).

I primi dati provvisori sulle acquisizioni di cittadinanza, evidenziano che nel 2016 più del 18% aveva come cittadinanza di origine quella albanese, il 17,2% quella marocchina e il 6,4% quella rumena. L’incidenza delle acquisizioni di cittadinanza rispetto al numero complessivo di residenti in Italia corrisponde solo all’1,1% per i cittadini romeni, per i quali acquisire la cittadinanza italiana ha una importanza relativa in quanto già originari di un paese membro dell’Unione europea.

Una decisa partecipazione al mercato del lavoro contraddistingue nel 2016 la collettività romena che, tra gli occupati rappresenta il 20,4%, tra gli assunti sale al 23,3% e tra i nuovi assunti al 24,1% (dati INAIL).

Nel corso del 2016, secondo la Labour Force Survey, aumenta il tasso di occupazione dei romeni (63,0%, +0,2%) e diminuisce quello di disoccupazione (15,0%, -0,8%). Gli uomini romeni sono inseriti soprattutto nel comparto delle costruzioni (muratori e manovali), in agricoltura (braccianti) e nel trasporto e magazzinaggio (camionisti), mentre le donne nei servizi alle famiglie (badanti e collaboratrici domestiche), nel settore alberghiero (cameriere) o come addette ai servizi di pulizia di uffici ed esercizi commerciali.

Settore rifugio in tempo di crisi si è rivelata proprio l’agricoltura, anche se nel 2016 – per il primo anno – si è registrata una battuta d’arresto della componente romena, calata rispetto al 2015 da 122.541 a 119.838, andamento che l’ha riportata sui livelli del 2014 (119.319). Nonostante la flessione di 2.703 unità, i romeni vedono crescere le giornate di lavoro a loro carico di 243.045 unità. Il 96,6% dei lavoratori romeni è occupato a tempo determinato e il 3,4% a tempo indeterminato. A livello territoriale, prevalgano alcune regioni del Sud (Puglia 16.591, Sicilia 12.803 e Calabria 9.887) e del Nord (Trentino Alto Adige 12.265, Emilia Romagna 11.532 e Veneto 10.905).

I lievi segnali di ripresa, dopo quasi un decennio di depressione economica, non si rispecchiano sulla qualità del lavoro: quasi la metà degli occupati romeni svolge un lavoro non adeguato al titolo di studio posseduto (47,5%), come evidenzia la maggiore concentrazione di questa comunità in lavori meno qualificati, contestualmente al possesso di titoli di studio più elevati rispetto alla media degli stranieri.

A conferma di un inserimento nei settori più fragili sul piano contrattuale e dei diritti (come l’edilizia e l’agricoltura), si colloca il record di infortuni e di mortalità sul lavoro: nel 2016 tra i lavoratori romeni sono 15.641 i casi di infortunio, di cui 34 mortali.

Tra i lavoratori stranieri, secondo diversi studi di settore, i romeni risultano tra quelli maggiormente esposti alla piaga del lavoro nero, anche se non è possibile fornire stime quantitative della dimensione dell’economia sommersa.

Il coinvolgimento imprenditoriale dei romeni in Italia è stato particolarmente stimolato, da una parte, dall’interesse a conservare il posto di lavoro in tempo di crisi, dall’altra da un genuino spirito di intraprendenza e di desiderio di ascesa professionale. Nel 2016 sono 51.366 i responsabili di ditte individuali nati in Romania. L’edilizia (61,9%) rappresenta di gran lunga il primo settore di attività, anche se in progressivo ridimensionamento. In crescita il commercio (12,5x%) e i sevizi imprese (5,0%). La lenta, ma progressiva diversificazione degli ambiti di attività è sostenuta anche dalla crescente partecipazione al settore dei servizi da parte delle donne.

La Romania, che dal 2014 costituisce il principale paese di destinazione delle rimesse inviate dagli immigrati in Italia, con 777 milioni di euro inviati dall’Italia rappresenta il 15% di tutte le destinazioni del 2016, nonostante la diminuzione dell’8,3% intervenuta nel corso dell’ultimo anno. Al positivo andamento economico degli ultimi anni registrato in Romania, confermato dagli indicatori macroeconomici, hanno contribuito direttamente e indirettamente anche i suoi lavoratori migranti: il monte totale dalle rimesse inviate in Romania dal resto del mondo incide per lo 0,8% del Pil nazionale, quelle dall’Italia per lo 0,2%. Inoltre, i lavoratori migranti all’estero, da una parte, contribuiscono alla diminuzione del numero dei disoccupati in loco, facilitando a quelli rimasti la ricerca di un posto di lavoro, e dall’altra favoriscono lo sviluppo del Paese attraverso le rimesse sia finanziarie che sociali.

Alla conclusione del quadro composito delle caratteristiche della presenza romena in Italia sopra descritto, occorre ricordare come il percorso di progressiva integrazione della collettività romena abbia sofferto e soffra ancora di occasionali battute d’arresto collegate agli atteggiamenti discriminatori incontrati, come lo stereotipo “romeni = criminalità” recentemente riproposto, nell’aprile 2017, dal vicepresidente della Camera dei Deputati, sulla base del presupposto, risultato del tutto infondato, che il 40% delle persone colpite da mandato di cattura in Romania arrivi in Italia, dove peraltro si trova un terzo dell’intera diaspora romena e le statistiche attestano un andamento positivo di questa collettività sul piano della devianza.

 

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