dott.ssa Irina TURCANU
Emil M. Cioran nasce in un angolo dell’Europa1, a Rasinari, nel 1911, nello stesso paese di Octavian Goga. È il figlio maggiore di un prete ortodosso e della presidentessa dell’associazione locale delle donne di religione ortodossa, radici che porta Geo Savulescu a intravedere negli scritti cioraniani un’apertura verso la conoscenza della verità cristiana attraverso la negazione della spiegazione razionale di un uomo senza Dio2.
Frequenta tra il 1928 ed il 1931 l’Università di Lettere e Filosofia di Bucarest dove ha come principali professori Constantin Radulescu-Motru, Eugen Ionescu,
mentre colleghi sono Mircea Eliade e Costantin Noica. Nel 1932 si laurea con una tesi su Bergson. Il 1934 segna l’esordio letterario-filosofico con la pubblicazione del libro “Pe culmile disperarii” (Al culmine della disperazione) che traccia già gli aspetti fondamentali del suo pensiero.
Nel 1936 insegna filosofia nei licei di Brasov e Sibiu, esperienza estremamente negativa che lo porterà a rifiutare ogni altro carico accademico, mentre ai
suoi allievi lascerà un ricordo avvolto da una sfumatura di insolito, dovuto al modo in cui Cioran professava il suo temporaneo mestiere3. Nello stesso anno pubblica, in lingua romena, Cartea amagirilor (Il libro delle lusinghe) incentrato sul pensiero negativo.
Nel 1937 pubblica una significativa opera, Schimbarea la fata a Romaniei (La trasfigurazione della Romania), volume che presenta la militanza politica di Cioran e dalla quale si allontanerà, definendola, nei periodi di importante pressione comunista romena, il risultato di un entusiasmo giovanile. Nel 1937 si trova a Parigi dove inizia la sua esperienza da esule che lo allontana dalla sua patria e dalla cultura di origine senza però cancellare la presenza interiore del suo paese nativo. In alcune intercettazioni della Securitate comunista4 Cioran, parlando con suo fratello Aurel, esprimerà il suo desiderio di tornare in Romania verso la
quale provava un’incommensurabile nostalgia, e lo avrebbe fatto solo all’insaputa di tutti, obiettivo impossibile nel clima comunista nel quale era precipitata
la Romania dopo la seconda guerra mondiale.
Il soggiorno in Francia è garantito da una borsa di studio, ma prima di partire Cioran tenta la pubblicazione di “Lacrimi si sfinti” (Lacrime e santi) nel quale esprime una critica severa nei confronti della religiosità tradizionale del proprio
paese. Opera che verrà pubblicata a proprie spese, ma il volume uscirà soltanto nel 1986 in lingua francese (Des larmes et des saints). Nel 1937 Cioran si stabilisce
in Francia dalla quale non farà più ritorno nel suo paese d’origine, vivrà a Parigi, in povertà, nella mansarda di rue de l’Odéon. Tra il 1937 e il 1949 le notizie biografiche sono scarse, durate questo periodo
compone il suo primo volume in lingua francese: “Précis de décomposition” (Sommario di decomposizione), uno scritto che rappresenta il culmine del pensiero
negativo di Cioran rispetto al quale i libri successivi specificano soltanto alcuni aspetti particolari. Nello stesso periodo continua a scrivere anche in romeno pubblicando, nel 1940, l’ultimo libro redatto nella sua madrelingua, Amurgul
gandurilor (Il tramonto dei pensieri). È questo il momento in cui Cioran rinuncia alla madrelingua dando origine al suo esilio metafisico; si sente apolide
e, come tale, vuole occuparsi delle sorti della condizione umana5. Nel 1952 esce un altro volume, Syllogismes de l’amertume (Sillogismi dell’amarezza) e nel 1956 egli pubblica La tentation d’exister (La tentazione di esistere). Successivamente, nel 1960, pubblica Histoire et utopie (Storia e utopia), lo scritto più impegnato sulla negatività della storia. Nel 1964 esce l’opera La chute dans le temps (La caduta nel tempo), seguita, nel 1969, da Le mauvais démiurge
(Il funesto demiurgo). Nel 1973 appare il significativo volume De l’inconvénient d’être né (L’inconveniente di essere nato). Nel 1977 pubblica il
volume di riflessioni Essai sur la pensée réactionnaire (Saggio sul pensiero reazionario) su Joseph de Maistre, autore simbolo del pensiero reazionario. Nel 1979 pubblica l’opera dal titolo Ecartèlement (Squartamento). Cioran riflette sugli autori che hanno segnato la cultura occidentale dando vita, nel 1986, ad un interessante volume dal titolo Exercises d’admiration (Esercizi d’ammirazione), una raccolta di saggi che spaziano da J. De Maistre, a Samuel Beckett, M. Eliade, Guido Ceronetti, ed altri.
Nel 1987 esce il volume sulla cultura buddista, costituente lo sfondo della sua rinuncia negativa ai miraggi dell’esistenza6, dal titolo Aveaux et anathèmes
(Confessioni e anatemi). Nel 1991 pubblica la corrispondenza avuta con l’amico C. Noica, dal titolo L’amico lontano. Postumo, nel 1996, uscirà Anthologie du portrait de Saint-
Simon à Tocqueville. L’esistenza tormentata di Cioran, povera di eventi esteriori, è insignita di premi letterari, tutti rifiutati dall’autore, tranne il premio Rivarol, nel 1950.
Cioran dà alle stampe anche un insolito diario intellettuale di carattere autobiografico, intitolato Cahiers 1957-1972 (Quaderni 1957-1972). Le riflessioni di Cioran sono immerse in una coltre di negatività sin dalle
prime pagine delle sue opere, quando ancora ventenne uccide il filosofo appena nato in lui. Proseguirà su questa strada anche nelle opere della maturità, rinunciando soltanto all’entusiasmo che lo condusse a scrivere un testo che ha
l’obiettivo di risuscitare l’animo umano, nello specifico quello romeno. Prendendo in prestito un termine dell’astronomia, Cioran potrebbe essere definito
una nana bruna, un corpo celeste a metà strada tra la stella ed il pianeta, un pensatore a metà strada tra il filosofo ed il poeta e altresì un pensatore che di ogni
cosa ha sostenuto il pro ed il contro7.
La filosofia di Cioran è una filosofia permeabile per quanto riguarda la vita personale. È una trasposizione in parole delle delusioni, della malattia, e ha come obiettivo quello di non essere capiti perché è una sventura essere capiti, «la
peggiore che possa abbattersi su un autore»8, enucleando una regola d’oro per sfuggire a tale sventura: «lasciare di sé un’immagine incompleta»9. In questa prospettiva, Cioran privilegia l’oralità alla scrittura10, pur scrivendo. Così spiega Cioran le ragioni per cui continua a scrivere:
«Si gira un film, la stessa scena viene ripetuta innumerevoli volte. Un passante, chiaramente un provinciale, non se ne capacita: “Dopo aver visto questo, non andrò mai più al cinema”.
Si potrebbe reagire allo stesso modo di fronte a qualsiasi cosa di cui si siano intravisti i retroscena e di cui si sia colto il segreto. Eppure con una obnubilazione che ha del portentoso, vi sono ginecologi che si incapricciano delle clienti, becchini che
fanno figli, incurabili che abbondano in progetti,
scettici che scrivono …»11 Cioran abbandona la lingua di origine nel 1947 sposando un nuovo idioma, situazione che lo porterà a tendere verso un’irraggiungibile perfezione dalla quale
scaturirà un profondo odio nei confronti del nuovo idioma, ma anche l’incapacità di rinunciarvi. Come dirà nel 1986 al riguardo: «Quando nel 1929 andai a Bucarest per degli studi abbastanza vaghi, constatai che la maggior parte degli intellettuali parlava correntemente il
francese; da qui, in me che lo leggevo soltanto, una rabbia che doveva durare a lungo e che dura ancora, in altra forma, perché – una volta giunto a Parigi – non ho mai potuto sbarazzarmi dal mio accento
valacco. Se non sono dunque in grado di parlare come gli autoctoni, tenterò almeno di scrivere come loro, ecco quale dovette essere il mio ragionamento inconscio; altrimenti come si spiega il mio
accanimento a voler fare altrettanto bene e anzi, lapresunzione insensata, meglio di loro?»12 Cambiare la propria lingua è cambiare l’identità, anzi le delusioni13. Sposare
un nuovo idioma, cambiare paese, significa per Cioran anche aver fatto un salto fuori dal proprio destino con la conseguenza di non saper più verso che cosa voltarsi, verso che cosa correre 14. Cioran dichiara di essere un Don Chisciotte oppure un Cesare, «un giorno,
da una contrada lontana, partii alla conquista del mondo, di tutte le perplessità del mondo»15 stringendo tra le mani, a guisa di arma, lo scetticismo ed il dubbio.
È un cammino che lo porta a vivere in conflitto con i propri tempi, «un privilegio. In ogni momento si è coscienti di non pensare come gli altri. Questo stato di discordanza acuto, per quanto indigente, per quanto sterile sembri, possiede tuttavia uno statuto filosofico, che si cercherebbe invano nelle cogitazioni armonizzate con gli eventi»16.
a. La formazione di Cioran
Trascorre un’infanzia felice che ricorderà nelle sue lettere. Abbandona, a dieci
anni, i luoghi natali, considerati paradisiaci, sulla scia di Ion Creanga, vivendo
una crisi di disperazione nel carro che lo porta verso Sibiu, dove frequenterà il liceo Gheorghe Lazar.
Nel 1924 l’intera famiglia si trasferisce a Sibiu. In questo periodo nasce dentro di lui una passione famelica per la lettura. Frequenta l’Università di Lettere e
Filosofia a Bucarest, mentre divine la preda di insonnie sfibranti.
È affascinato da Nae Ionescu, il mentore della sua generazione. Legge Schopenhauer, Nietzsche, Simmel, Worriger, Kant, Fichte, Hegel, Husserl, Kierkegaard,
Bergson. Collabora a periodici di grande importanza come “Cuvantul”,
“Gandirea”, “Calendarul”, “Floare de foc”, “Discobolulu”, “Azi”, con articoli
influenzati dalla “Lebensphilosophie”, criticando la ragione a favore della vita,
militando per la rigenerazione del mondo intero e specialmente della Romania,
attraverso tesi vicine a quella dei membri della Guardia di Ferro.
b. Gli scritti in lingua romena
La rinuncia al romeno da parte di Cioran ha segnato il suo distacco, in quanto intellettuale, dalla Romania, un distacco che si è realizzato in entrambi i sensi:
l’autore si è allontanato ideologicamente dai pensatori romeni, ma anche essi
hanno smesso di volerlo comprendere, un risultato ottenuto anche grazie alla Securitate
comunista, la quale aveva preso nel proprio mirino il pensatore, ormai disinteressato a risuscitare un ideale nel popolo romeno, cercando con ogni mezzo
di avvolgere i suoi lavori in una cattiva luce. Sempre sotto stretta sorveglianza,
grazie alle intercettazioni nella casa del fratello17, luogo frequentato dagli intellettuali
del tempo, il regime iniziò un lavoro di offuscamento dei suoi scritti nella Romania ormai profondamente comunista, motivo per cui Cioran rimarrà, a lungo, poco noto ai suoi connazionali. Solo alcuni scritti avranno un certo successo,
specialmente quelli redatti nella madrelingua.
Esordisce con un saggio filosofico, Pe culmile despartirii (Al culmine della disperazione), 1934, per il quale riceverà il Premio per Giovani Scrittori della
Fondazione Regale. Gli viene accordata una borsa di studio da parte della Fondazione Humboldt
per studiare filosofia a Berlino. Si inscrive ai corsi di Nicolai Hartmann, non particolarmente
amati, e a quelli di Ludwig Klages, il teorico del “ritmo vitale” e
dell’azione mortificante della coscienza sulle pulsioni originali della vita – corsi che lo entusiasmano. Sempre a Berlino, scopre Kokoschka e gli altri espressionisti, ma anche la drammaturgia di Bruckner. Al culmine della disperazione (1934) ha provocato con la sua comparsa una vera e propria pioggia torrenziale di critiche, l’eco dello scioccante saggio sarà
persistente e contradditorio. Il giovane pensatore fa della disperazione un modo di essere. La sua filosofia frammentaria, anti-sistematica, accusando lo spiritualismo
astratto, ridiventava ciò che G. Liiceanu definisce un “genere letterario”.
La sua filosofia lirica, seguendo il metodo dell’agonia, con radici nella filosofia
di Kierkegaard e Nietzsche, è un’originale “ontologia poetica”. Essa viene sviluppata
nel primo capitolo, dal titolo Essere lirico. Per Cioran il sistema è artificiale,
odiato in quanto l’autore scrive solo «nei momenti di ispirazione, quando
il pensiero è un’espressione organica e personale che segue la fluttuazione e la
vibrazione della disposizione nervosa e organica»18.
Il lirismo definito da Cioran non soffre di autismo, ma è l’effetto
dell’implosione della soggettività, provocando un riverbero di se stessi. «Essere
lirici significa non poter restare chiusi in se stesso»19. Il lirismo non è più
un’espressione dell’interiorità, ma l’espressione del vitalismo esacerbato e malato.
«Quasi tutte le malattie, dunque, hanno virtù liriche […]. È infinitamente più
importante il problema della sofferenza che quello del sillogismo […]. Conten-
tiamoci dunque di scrivere l’elogio di quest’ultimo [del lirismo], per evitare di
riscrivere quello della follia»20.
La filosofia di Cioran è determinata e determinante per una poetica e un’estetica moderna fondata sulla vitalità e inconscio. N. Manolescu sostiene
che «La poetica di Ion Barbu presenta elementi evidenti di questa isteria vitale,
come quella riguardante il romanzo soggettivo di Camil Petrescu (contro il husserlianismo)»21.
I temi della riflessione cioraniana sono la morte, la malattia, la melanconia e,
specialmente, la disperazione.
L’autore non sviscera gli argomenti in modo concettuale ma metaforico. Come alcuni esistenzialisti, Camus ad esempio, egli considera il suicidio un problema filosofico fondamentale e, nonostante l’esistenza rimanga priva di un argomento
teleologico, egli scopre una logica irrazionale nella passione per
l’assurdo. La disperazione del filosofo, come hanno notato sempre i suoi critici, si presenta
in un senso paradossale, estremamente tonificante, segno che il pensatore oltrepassa il pessimismo e la misantropia in una direzione totalmente opposta,
della comunicazione e dell’unione con un fondamento organico, affettivo. «Da un punto di vista essenziale e ontologico, esso [il bacio] avvicina all’essenza della
vita più di una lunga e complicata riflessione»22.
Nella recensione al libro, C. Noica riconosce di non comprenderlo molto bene, ma non dubita della sincerità del pensiero di Cioran. «Fa niente, Emil Cioran, tu menti. Ma puoi continuare a mentire. Io ti credo»23. L’autore non parla
più, come molti altri della sua generazione, di fatti impersonali, essendo pienamente
sincero, fino all’agonia più profonda – diversamente da come sosteneva S. Cioculescu ed altri – un «uomo che si siede nudo di fronte alla vita e alla morte»
24, rischiando di esporsi alla derisione, perché la sua disperazione ha, in primo
luogo, stile. G. Calinescu, nella Istoria literaturii romane de la inceput si pana in prezent,
non comprendeva la secondarietà delle idee per Cioran. La loro assenza oppure il loro presunto prestito dal suo maestro Nae Ionescu, la forma aforistica kiekegaardiana
le sembravano proprio i motivi necessari per contestare la personalità di colui che scrive qualcosa di indefinito, «una sorta di saggi filosofici» nei
quali si attua un «giovanile esercizio di seminario»25. È proprio la volontà e la forza della personalità ciò che sfugge al critico nel caso di Cioran, il quale estetizzava
e stilizzava, sulla scia di un nichilismo costruttivo, i tormenti lirici, da «grande poeta del pensiero»26 come si sarebbe espresso Ion Negoitescu.
Nel 1936 pubblica il secondo volume di saggi in lingua romena, Cartea amagirilor.
Con questo testo, egli continua il modo di pensare e di essere lirico e aforistico,
ciò che si potrebbe definire come un argomento “onto-retorico”27.
L’autore, inorridito dalla sonnolenza romena nella storia dell’umanità, delle complessità con la quale essa viene mistificata e assottigliata con uno sconosciuto specifico nazionale, pubblica, nel 1937, Schimbarea la fata a Romaniei. Come D. Draghicescu nel Din psicologia poporului roman, Cioran propone un’esatta e assoluta necessità di auto-conoscenza etnica, per raggiungere una teleologia
salutare del miglioramento. Antitradizionalista, pro-occidentale, antiortodosso, egli oppone l’energismo transrazziale della rassegnazione “mioritica”,
pastorale, nella quale scopre l’auto-disprezzo, il celare il sacrificio, la pigrizia,
l’innocenza colpevole di tutti, l’umiliazione umana e la non meritabile pietà. In
questo contesto, «Eu vreau un alt neam» (Io voglio altri parenti), è una spinta
verso il cambiamento e non verso l’annichilimento.
Al di là delle tesi imperialistiche, anche G. Calinescu riconosce in questo testo un lovinescianismo28 di fondo, un tendere verso l’europeizzazione ignorata
troppo a lungo e la riscoperta degli ideali dei militanti del ’48. «Emil Cioran respinge
le piccole missioni, la cultura del villaggio, mette sotto processo “Junimea” e approva il liberalismo, entra, in una parola, totalmente nello spirito delle
forze rivoluzionarie proprie a Lovinescu».29
Nel 1950 pubblica Lacrimi si sfinti (Lacrime e santi), un libro che provoca
molte reazioni, drasticamente criticata da M. Eliade per il suo nichilismo e confusione,
mentre alcuni recensori lo accusano di «sacrilegio»30. Lacrime e santi
(1937) è il libro di un pensatore il cui spirito è , come ha mostrato Mariana Sora31,
romantico e emineschiano32. Cioran non si sente a casa propria da nessuna
parte, l’esilio ha come referente il tempo e non lo spazio. Egli è un Faust con due
anime diverse, una ardente, l’altra contenuta, felicemente bilanciate in un mondo
oscuro dell’angoscia. Il suo romanticismo è una costante dello spirito e non un
costrutto poetico, per questo Cioran è stato avvicinato, non solamente in modo
critico, ma anche in modo biografico, a Samuel Beckett. Questo «ricercatore
dell’assoluto»33 fallisce nel tentativo di uscire dall’ego attraverso il nos. Alla
relazione con Eminescu, l’autore di Memento mori oppure di La preghiera di un
Daco, arriva attraverso Nietzsche, il buddhismo, la scolastica, gli eretici. La malinconia
demoniaca coabita con l’eroismo byroniano. Il fervore del discorso sulla
paura del male è filtrata attraverso il demonismo, l’eresia, la mistica tedesca medioevale,
l’impulso distruttivo baudelairiano. Egli è un «romantico deciso ad abolire il proprio romanticismo, spegnendo dentro di sé la fiamma della spinta
verso Dio, ma anche quella verso il demone prometeico»34, scrive Mariana Sora. Amurgul gandurilor (1940) è un libro scritto da Cioran mentre si trovava ancora
in Romania. Esso è un insieme di aforismi lirici e confessionali appartenenti ad un egoista che continua a rifiutare le accumulazioni di libri, praticando una
auto-scopia profonda della propria biografia spirituale con radici biologiche e psicologiche. G. Calinescu, uno spirito diverso, non è riuscito a intuire il sincronismo
e il destino di questo spirito adottato, universalizzato, di Occidente e
quindi ne contesta l’originalità: «In Amurgul gandurilor ci sono aforismi un po’
infantili basate sul paradosso e l’esclamazione, cammina seguendo Kierkegaard» 35.
Indrepatar patimas è l’ultimo manoscritto romeno, di 111 pagine, lasciato in Romania, comprende 56 frammenti. La seconda parte del libro non è stata continuata,
rimanendo soltanto anticipata. I frammenti sono «equivalenti lirici»,
come li definisce G. Liiceanu36, incentrate sul tema dell’assoluta solitudine nella natura e nella storia. L’ego è solitario perché indistruttibile e non comunicato, a
dispetto della sua proiezione inconsistentemente discorsiva.
La malinconia, la monotonia, l’orrendo lo macera emotivamente. Il tempo
dominante della riflessione è quello del crepuscolo, mentre l’agonia lo sovrasta. Lo spazio emblematico è quello parigino, dell’esilio scelto, evidenziando il clivaggio
ontologico dell’abisso valacco originario e l’inizio dello sfilarsi paradossale
dell’Essere.
Singuratate si destin 1931 – 1934; Revelatiile dureri racchiude la pubblicistica
della giovinezza di Cioran apparsa in due edizioni, una nel 1990 e una nel 1991, nonostante questo manca ancora un’edizione integrale e non censurata
dell’opera. L’autore ha invocato il diritto ad un’ultima immagine della sua opera, realizzando eliminazioni e riscrivendo, sia qui, come in Schimbarea la fata a
Romaniei. Alcuni, come Z. Ornea, l’hanno accusato di aver sfigurato la propria opera, introducendo criteri politici e ideologici a discapito di quello estetico37. Il
radicalismo politico è stato riconosciuto come eccessivo da Cioran stesso, esso si
identifica con l’effetto estremo del vivere in un mondo che sperimentava assiduamente l’esistenza paradossale. Cioran rimane acuto quando circoscrive le
proprie riflessioni intorno agli argomenti che l’avevano ossessionato: la disperazione,
la solitudine, il destino, la malinconia, la morte, l’utopia; oltrepassando,
con intelligenza, l’apologia delle barbarie, della follia, dell’estasi e dell’abisso. N. Florescu ha identificato pagine dello scrittore nella rivista “Luceafarul” apparsa in lingua romena a Parigi raggruppandole nel volume “Razne”.
c. Gli scritti francesi
Diversamente da quelli scritti in lingua romena, gli scritti francesi hanno conosciuto una maggiore notorietà e divulgazione. Précis de décomposition (Sommario di decomposizione), sarà apprezzato da
Claude Mauriac, André Maurois e specialmente da Maurice Nadeau. Con Syllogismes de l’amertume adotta definitivamente l’aforisma come stile
di scrittura. Riedito nel 1976, il libro, inizialmente ignorato, diventa un bestseller. «Sillogismi è un libro che piace solo ai giovani. Gli altri, i miei amici per
primi, la trovano insignificante e frivola. Io sono più indulgente, per colpa del mio prediletto per i libri falliti»38.
Appare La tentation d’exister, un libro evento in Francia. «Non è esisto, senza dubbio, da 20 o 30 anni, sul piano intellettuale, un evento paragonabile con la pubblicazione del lavoro di Cioran», scrive un critico della “Dimanche matin”
Appare Histoire et Utopie. In Francia, il mondo intellettuale è marxista e la ricezione del volume riflette l’opinione della sinistra occidentale. Viene lodato particolarmente lo stile “magnifico”, così denominato da Roger Caillois41.
Pubblica La Chute dans le temps e Jean-François Revel, in « Le Figaro Littéraire», (3 XII 1964), scrive : « Cioran ci offre il piacere più raro – quello di gustare
le idee senza essere d’accordo con esse – quello di uno stile veloce che si legge piano »42.
Appare, nel 1960, Le Mauvais Demiurge. Rieditata nel 1965, nella popolare collezione “Livre de Poche” (Trattato di decomposizione). “Le monde” gli dedica
due pagine, a firma del filosofo esistenzialista e drammaturgo Gabriel Marcel. Cioran detesta la pubblicità: «Ho cercato di fermare tutto questo affare, ma non
è stato possibile»43. Pubblica un libro che non considera «Né buono, né cattivo […] un somma di
riflessioni e aneddoti, del genere futile e funebre insieme»44, si tratta di De l’inconvénient d’etre né.
Pubblica Ecartèlement (Squartamenti) e così si esprime al riguardo: «I libri che ho scritto qui in più di 30 anni non hanno mai avuto un successo reale. Ed
ecco che di questa, la quale sicuramente meno buona delle altre, ne parla tutto il mondo»45. Un’altrettanta grande rivelazione è stata quella delle epistole di Cioran, parzialmente
scritte in romeno, Scrisori catre cei de-acasa pubblicate nel 1995, svelando così la sua immagine più autentica.
Emil Cioran, dopo aver presentato un mondo altrettanto incerto quanto quello dipinto da Pascoli nell’opera Il lampo, morirà nel 1995 dopo anni di solitudine e
di improduttività letteraria.
NOTE
1 Emil M. Cioran, Esercizi di ammirazione, Adelphi, Milano, 2005, p. 108.
2 Geo Savulescu, Lucian Blaga. Filosofia prin metafore, Editura FCR, Bucuresti, 2000, p. 6.
3 Ionel Necula, Emil Cioran in vemea Romaniei comuniste, in «Pro-Saeculum» 7/2008, p. 44.
4 Ibidem.
5 Aurelio Rizzacasa, Sentinella del nulla. Itinerari meditativi di E. M. Cioran, Morlacchi, Perugia,
2007, p. XV.
6 Ivi, p XVI.
7 Emil M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, Adelphi, Milano, 2007, p.39.
8 ID, Esercizi di ammirazione, op. cit., p. 15.
9 ID, L’inconveniente di essere nati, Adelphi, Milano, 2003, p. 158.
10 Ivi, p.65.
11 Ivi, p.64.
12ID, Esercizi di ammirazione, op. cit., pp. 223-224.
13 ID, La tentazione di esistere, Adelphi, Milano, 2008, p. 57.
17 Aurel Cioran, figura scomoda per il regime comunista, rimarrà l’unico legame, accanto alla sorella
Virginia, di Emil Cioran con la Romania, dopo la morte dei genitori. Aurel verrà processato a
Sibiu, assieme ad altri 27 intellettuali romeni, e condannato a sette anni di prigionia. Come di
consuetudine per il regime, anche la sorella Virginia Cioran verrà arrestata, l’unico a mantenere la
propria libertà sarà Emil Cioran, grazie al suo esilio in Francia. Dopo i sette anni di prigione, Aurel
Cioran diventa la fonte primaria per la Securitate non tanto per le sue attività, quanto perché nella
sua casa vengono ospitati importanti intellettuali reazionari romeni, tra essi Constantin Noica.
14 ID, L’inconveniente di essere nati, Adelphi, Milano, 2003, p. 187.
15 ID, Esercizi di ammirazione, op. cit, p. 64.
16ID, L’inconveniente di essere nati, op. cit., p. 146.
18 ID, Al culmine della disperazione, op. cit., p. 20.
19 Ivi, p. 16.
20 Ivi, p. 18.
21 Victor Marian Buciu, Scriitori bilingvi. Ionescu si Cioran, FCR, Bucuresti, 2005, p. 21.
22 ID, Al culmine della disperazione, op. cit., p 98.
23 Per Emil Cioran, in «Familia», n. 7, novembre 1934.
24 Victor Marian Buciu, Scriitori bilingvi: Ionesco si Cioran, op. cit., p. 22.
25 George Calinescu, Istoria literaturii romane de la inceput si pana in prezent. Compendiu, Minerva,
Bucuresti, 1983, p. 396.
26 Victor Marian Buciu, Scriitori bilingvi: Ionesco si Cioran, op. cit., p. 22.
27 Victor Marian Buciu, E. M. Cioran – Despartirea continua a Autorului cel Rau, Editura FCR, Bucuresti,
2005, p. 96.
28 Eugen Lovinescu (1881-1943) è stato critico e storico letterario, teorico della letteratura e sociologo
della cultura, moralista, drammaturgo, novellista, il critico più autorevole dopo Titu Maiorescu.
29 George Calinescu, Istoria literaturii romane de la inceput pana in prezent. Compendiu, op. cit.,
p. 369.
30 Victor Marian Buciu, Scriitori bilingvi: Ionesco si Cioran, op. cit., p. 23.
31 Marina Sora, Cioran jadis et naguère, L’Herne, Paris, 1988, p. 67.
32 Mihai Eminescu (1850-1889) è il maggiore poeta romeno. La sua opera si presenta come un
perfetto connubio di romanticismo e simbolismo; la più nota di esse è Luceafarul (Espero).
33 Victor Marian Buciu, Scriitori bilingvi: Ionesco si Cioran, op. cit., p. 24.
34Marina Sora, Cioran jadis et naguère, op. cit., p. 67.
35 Geroge Calinescu, Istoria literaturii romane de la inceput pana in prezent. Compendiu, op. cit.,
p. 396.
36 Victor Marian Buciu, Scriitori bilingvi: Ionesco si Cioran, op. cit., p. 25.
37 Ibidem.
39. Con l’occasione dell’edizione americana, Cioran confessa a suo fratello:
«Credo sia il mio libro migliore»40.
38 Victor Marian Buciu, Scriitori bilingvi: Ionesco si Cioran, op. cit., p. 26.
39 Ibidem.
40 Ivi, p. 27.
41 Ivi, p. 28.
42 Victor Marian Buciu, Scriitori bilingvi: Ionesco si Cioran, op. cit., p. 29.
43 Ibidem.
44 Ivi, p. 30.
45 Ibidem.