Foto. Irina Turcanu; scrittrice e giornalista.
Editoria romena a Milano
È nata Rediviva, casa editrice, ma soprattutto un coronamento dei tanti impegni del Centro Culturale Italo-Romeno di Milano e i suoi collaboratori. La presentazione dei suoi primi volumi è avvenuta di recente, anche alla presenza del console generale romeno a Milano, George Gabriel Bologan, il quale ha molto apprezzato il lavoro svolto dal Centro Culturale. Sono intervenuti storici, poeti romeni, giornalisti, ciascuno sviluppando una riflessione attraverso la propria prospettiva riguardo al volume presentato.
In cosa consiste “Repere culturale romanesti in Peninsula” (Riferimenti culturali romeni nella penisola), un libro prevalentemente in lingua romena, ma con testi riassuntivi in italiano?
Redatto in più sezioni, esso spazia dai cenni storici che hanno legato e legano l’Italia alla Romania, fino ai fatti di cronaca e ai contributi degli intellettuali romeni stabiliti nel Bel paese.
Significativa è la frase, nella prefazione, di Micaela Ghitescu, la quale sottolinea che il testo “è uno specchio: degli innumerevoli tessuti, antichi e recenti, che ci hanno tenuti assieme. Lungo il tempo, essi hanno incontrato anche una brutale rottura, quando tra noi e voi è stato imposto il deserto. […] Ma oggi è il tempo dei ponti”.
E da ponte lo fa la cultura, come testimonia l’Annuario del Centro Culturale Italo-Romeno.
Al riguardo, però, vi è una precisazione da fare. Quando si pensa ai ponti, ai legami tra la Romania e l’Italia, si è tentati di ricordare i tempi passati, antichi, quelli dei romani, quando questi conquistarono la Dacia. I tempi di cui parla Ascanio Centorio, testimonianza riportata nel volume, il quale sostiene che, nella Dacia, si parlava la lingua italiana, ma talmente guastata che non la si capiva. Ma poi? Dopo il passato remoto? In genere segue il vuoto, fino ad arrivare alla storia recente, quando, come legame, ci viene in mente un’altra, chiamiamola così, “conquista”, nota col nome di “immigrazione”. Eppure tra i due estremi temporali, vi è un ventaglio non indifferente di intellettuali che hanno funto da ponte, mantenendo unite l’Italia e la Romania. È grazie al lavoro certosino degli ideatori dell’Annuario, se oggi abbiamo la possibilità di colmare il vuoto della memoria e ritrovare i tasselli mancanti del puzzle. E lo si fa con un notevole vantaggio: potendo accedere a un insieme di informazioni raggruppate in un unico volume. Perché, va precisato, la letteratura in materia non manca, ma è dispersiva.
Accanto a questo pregio, l’Annuario ne presenta un altro: la lucidità e l’imparzialità con le quali gli autori hanno realizzato la ricerca. Non vi è alcun falso patriottismo, bensì un’ammirevole oggettività con la quale hanno lasciato cogliere al lettore un messaggio sussurrato: “I romeni non sono solo questo”, nel bene e nel male.
Le riflessioni nate in seguito alla lettura del volume sono tante, come è solito accadere quando incontri un ottimo libro, qualsiasi sia la sua natura. Una domanda, però, mi si è incagliata nella mente, forse mossa dal patriottismo che colpisce abitualmente gli immigrati. Alla stessa stregua di un genitore che non vede da tempo il figlio: si è più indulgenti. Nonostante l’indulgenza, la domanda mantiene una sfumatura di oggettività: com’è possibile che l’immagine degli italiani nei confronti dei romeni sia perlopiù negativa?
I cittadini romeni residenti in Italia sono circa un milione. Da un articolo apparso su uno dei maggiori quotidiani italiani, si legge che gli alunni romeni in Italia sono al primo posto, per il quinto anno consecutivo, come numero. Al terzo posto in quanto iscritti alle università. Almeno un centinaio sono gli intellettuali romeni in Italia, tra scrittori, giornalisti, attori, registi, stilisti, ballerini, studiosi affermati o in erba. Tantissime sono le associazioni culturali romene in Italia.
Eppure, nonostante le cifre da capogiro, di persone impegnate a rendere positiva la percezione degli italiani nei confronti dei romeni, il loro lavoro appare quasi come una goccia d’acqua che ha la pretesa di dissetare il deserto, lo stesso del quale parlava Ghitescu nella prefazione.
La soluzione? Una sola. Quella che già hanno messo in atto le associazioni, gli intellettuali, la stessa attuata dal Centro Culturale, dalla neonata casa editrice Rediviva: parlarne. Perché solo così, prima o poi, le orecchie si abitueranno ad ascoltare, comprendere, cogliere del tutto queste nuove voci.
Irina TURCANU
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