Centro Culturale Italo Romeno
Milano

L’immagine dei romeni in Italia tra realtà e percezione (3)

Mar 3, 2009

docente Afrodita Carmen CIONCHIN

Abbiamo pubblicato recentemente la prima e seconda parte di una inchiesta sull’ immagine collettiva dei romeni in Italia, questione riportata al centro dell’attenzione dal ripetersi di vicende di cronaca nera che vedono protagonisti cittadini romeni, con i conseguenti riflessi negativi sui mass media italiani. L’inchiesta, realizzata da Afrodita Carmen Cionchin, docente all’ Università di Padova, ha coinvolto illustri personalità del mondo culturale italiano ed è stata pubblicata in romeno sulla rivista culturale “Orizont” di Timisoara (www.revistaorizont.ro, numero di giugno 2008). Proponiamo ai visitatori del nostro sito la terza e ultima parte.

Intervista a Mario Deaglio
Professore di Economia Internazionale all’Università di Torino
Editorialista economico de “La Stampa”

Nel presente contesto della realtà romena in Italia, molto discussa e controversa, Lei, da editorialista economico de “La Stampa”, è una delle poche voci che hanno espresso, nella stampa italiana, un punto di vista riflessivo più complesso e articolato, documento e informato in proposito. Citerei qui il Suo articolo del 8 novembre 2007 intitolato “L’uomo nero, il Rom e il Romeno”. Qual è oggi l’immagine dei Romeni in Italia e come viene essa formata e deformata dai media, anche in chiave identitaria, etnica e culturale?
I romeni hanno preso il posto degli albanesi quali “uomini neri” nell’immaginario60156209 collettivo specie dopo l’ingresso della Romania nell’Unione Europea e il conseguente massiccio afflusso in Italia di romeni di etnia rom. I media continuano a non fare alcuna distinzione tra romeni e rom (anche nei casi in cui i rom non sono romeni ma originari di altre aree dell’Europa Orientale) e quindi deformano gravemente la realtà. Originariamente, nei confronti dei romeni prevaleva una certa stima soprattutto per la loro capacità di lavoro e la loro facilità nell’apprendere l’italiano.

Quali sono, secondo Lei, le conseguenze di ciò che definisce, nel Suo articolo, “l’attenzione estrema a fatti di cronaca che coinvolgono negativamente i romeni” e “appiattimento di una realtà complessa”?
Le conseguenze sono simili a quelle che si sono verificate altre volte con la “demonizzazione” di una minoranza: si iniettano nel corpo sociale sentimenti di paura e volontà di difesa e di reazione. Va però detto che in Italia vi è un forte antidoto in quanto le centinaia di migliaia di romeni che si comportano legalmente sono, in genere, piuttosto fortemente integrate e proprio per questo è stato difficile (finora) far vedere davvero il romeno come “uomo nero”.

Dall’altra parte, Lei parla giustamente de “l’estrema disattenzione a ciò che succede in Romania, sicuramente il Paese dell’Europa Orientale più prossimo all’Italia non solo per i legami antichi della lingua ma anche per quelli recenti dell’economia”. In questo senso fa risaltare che “tra Italia e Romania si è verificata una straordinaria integrazione”. In che consiste essa e quali ritiene possano essere gli sviluppi futuri?
Si tratta dell’integrazione economica che vede, accanto allo spostamento di lavoro dalla Romania all’Italia, lo spostamento di capitale dall’Italia alla Romania su scala assai maggiore di quanto normalmente si creda. Ciò è stato generalmente opera di piccole e medie imprese ma, se non vi saranno interferenze politiche, è probabile una maggiore attività in Romania di grandi imprese italiane, soprattutto nel campo energetico e infrastrutturale. Un’altra delle responsabilità dei mezzi di informazione italiani è la loro scarsissima attenzione per un paese in cui la presenza italiana è così importante.

Intervista con Alvaro Barbieri
Filologo romanzo, Università di Padova

Che ne pensa della maniera in cui la stampa italiana riflette la realtà dei romeni in Italia?
Sensazionalismo e disinformazione: sono questi, al solito, gli assi portanti della stampa quotidiana italiana. Sulla situazione e le realtà dei romeni residenti in Italia si riflettono, purtroppo, i difetti abituali della nostra pubblicistica. Credo che non ci sia molto da aggiungere.

Intervista con Antonello Biagini
Storico, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

In che termini descrive oggi la situazione dei romeni in Italia, tra realtà e percezione?
Brevemente potrei evidenziare alcuni aspetti che non sempre sono stati messi in luce dalle analisi di questo periodo. L’immagine della Romania in Italia ha goduto di una simpatia “latina” di fondo: il coincidere però di alcuni fatti di cronaca con la pressione delle elezioni e con l’allarmismo verso la “percepita” invasione da parte di nuclei di immigrati ha creato quasi le condizioni di una psicosi collettiva. L’ulteriore confusione tra rom e romeni ha aggravato questa percezione.
La diffidenza – più o meno diffusa – verso i romeni in Italia può essere una conseguenza, forse anche per l’allarmismo sul tema dei media. È inevitabile una tendenza al miglioramento – anche se secondo dinamiche di non breve durata – sia per il progresso sociale che economico che la maggior parte della popolazione romena ha conseguito in questi anni.

Intervista con Paolo Donà
Giornalista, “Il Gazzettino” di Padova

Lei è un giornalista che peraltro si è laureato in lingua e letteratura romena all’Università di Padova nel 1982. Qual è la Sua opinione sul modo in cui la stampa italiana riflette la realtà socio-culturale dei romeni in Italia?
La chiave di lettura si trova nello stesso concetto di “notizia”. Ci vorrà molto tempo e sarà anche difficile equilibrare la necessità del giornalista di dare le notizie di atti criminali e le “buone notizie”. È normale che la notizia di un crimine faccia molta più sensazione di una buona notizia. La grande scommessa del terzo millennio, da questo punto di vista, è di non pensare più automaticamente a un romeno quando succede un crimine o si parla di un episodio di violenza. È una etichetta sgradita, che svantaggia e lede profondamente la maggioranza dei romeni, e che chiede di essere eliminata: 23 milioni di persone perbene non possono essere stigmatizzate ogni giorno, ogni ora, ogni minuto dalla “follia sociale” di una minoranza che prima di tutto non stima e non ama la propria terra. Storia, arte, tradizione, folklore, non possono essere adombrate nella percezione internazionale da qualche migliaio di delinquenti. Occorre tuttavia tanta pazienza: è una caratteristica che i romeni possiedono e che fino a qualche anno fa li ha accompagnati come un obbligatorio compagno di vita. Questa pazienza non è stata dimenticata. È – e sarà – di grande aiuto per un futuro con una luce più giusta e più buona.

Intervista con Ervino Curtis
Storico, Presidente dell’Associazione culturale di amicizia Italo-Romena “DECEBAL”, Trieste

Anzitutto vorrei menzionare che, nel panorama delle associazioni culturali create da romeni e italiani in Italia, dopo la “Fondazione Europea Dragan”, costituita nel 1967,  l’Associazione di amicizia Italo-Romena “Decebal” di Trieste, fondata nel 1987, di cui Lei è Presidente, è la più antica associazione attiva d’Italia, con una ricca attività culturale e di ricerca. Nel presente contesto della realtà romena di qui, come potrebbe caratterizzare l’approccio della stampa italiana?
La stampa italiana riflette naturalmente la grande ignoranza che lo stesso popolo italiano ha sulla Romania e sui romeni salvo casi rari. I romeni confusi con i rom, con gli slavi e ammassati assieme ai marocchini, curdi e tunisini etc.  vengono generalmente trattati come la stampa del nord Italia trattava negli anni ’50 i meridionali. È naturale che il grande numero complessivo dei romeni în Italia porta statisticamente a grandi numeri anche per coloro che delinquono tra i romeni ma altresì porta anche a grandi numeri di lavoratori che pagano le trattenute dell’Inps per i pensionati italiani, a grandi numeri di nuovi nati che riempiono le vuote aule scolastiche ed impediscono pesanti ridimensionamenti di personale scolastico, a grandi numeri di badanti che sopperiscono alle carenze della società italiana ed alle difficoltà delle famiglie verso gli anziani, a grandi numeri di addetti all’agricoltura e pastorizia che hanno impedito una tremenda crisi del settore agroalimentare, a grandi numeri nell’industria e nell’edilizia coprendo le carenze provocate dalla poca disponibilità di lavoratori italiani con purtroppo grandi numeri anche tra i deceduti sul posto di lavoro etc. etc. Bisognerebbe più spesso accomunare tutti insieme questi grandi numeri.
(3. fine)

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