Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Ceausescu – il programma di demolizioni delle chiese in Romania (I)

Mar 3, 2009

Dott.ssa Anca Maria MIHAESCU

La “passione” per l’urbanistica accomuna e caratterizza tutti i regimi totalitari: fondare città nuove, cambiare quelle esistenti, erigere monumenti sono gli atti fondamentali di un sistema politico che si prefigge il controllo delle coscienze, e quindi manipolazione della memoria, individuale e collettiva. In questa storia, la Romania di Ceauşescu, costituisce un capitolo a sé, per l’estensione e la profondità degli interventi programmati, delle devastazioni compiute. Soprattutto dopo il 1977, la campagna di demolizioni, a partire dagli interventi che hanno sconvolto Bucarest, ebbe una doppia funzione.

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La prima fu di distruggere la tradizione culturale romena, inventando una “nuova” tradizione socialista, mentre l’altra fu la funzione repressiva contro l’individuo, tramite l’annientamento della sua capacità di opporsi agli abusi di potere.

Anno dopo anno, interi edifici e chiese furono fatti sparire per lasciare spazio alla costruzione di imponenti complessi con l’intento di demolire la coscienza di una nazione, la sua storia e le sue radici.

Nel 1974 venne emanata la legge per la sistemazione delle città e l’urbanizzazione delle zone rurali, nel cui testo era espressamente prevista la conservazione e la protezione dei monumenti storici ed artistici. I cambiamenti accaduti nel periodo 1977-1989 non rispondevano a quanto previsto dalla legge del 1974, bensì ai voleri arbitrari di Ceauşescu e di sua moglie Elena. La distruzione di un grande numero di luoghi di culto è stata possibile in quanto la Chiesa Ortodossa Romena non era in grado di opporsi allo strapotere del regime totalitario imposto dal Partito Comunista.

Nella trasformazione che la Romania ha conosciuto a partire dal 1945, la creazione di una nuova identità che possa legittimare il regime imposto dalle truppe sovietiche, viene considerata una priorità. Questo sradicamento delle tradizioni è attuato nell’organizzazione dello stato (la Romania passa da una monarchia costituzionale ad una Repubblica Popolare) e delle sue istituzioni, ma anche nell’organizzazione della società civile. In questa maniera l’habitat e l’ambiente urbano, come testimonianza di una storia pre-comunista, diventano l’oggetto di una strategia mirata ad una vera e propria ricostruzione della memoria.

La politica di autonomia nei confronti di Mosca, iniziata da Gheorghe Gheorghiu-Dej e continuata da Ceauşescu, mentre guadagna l’apprezzamento dell Occidente (presidenti come Richard Nixon, Gerald Ford e Charles de Gaulle visitano la Romania nel periodo 1965-1974) e rappresenta un indubbio successo per il regime sia sul piano internazionale che su quello interno, dando peso e credibilità alla via nazionale imboccata dai comunisti romeni, rischia, paradossalmente, di renderlo più fragile: le truppe sovietiche non sono più sul territorio romeno quindi Ceauşescu deve trovare un modo per risolvere le minacce che arrivano dall’interno, ecco perché la costruzione di una legittimità profonda, che vada al di là del mero riconoscimento popolare di un potere fondato sulla bruta forza espressa dagli equilibri della guerra fredda, è ancora più necessaria.

L’invenzione di una nuova tradizione viene progettata in ogni settore essendo diretta a raggiungere la coscienza dei romeni, tanto più che, contrariamente ad altri paesi del blocco orientale, come la Cecoslovacchia, la vicenda prebellica del movimento comunista è di scarso rilievo. I romeni non si identificano con una dottrina che pianifica la distruzione delle città e dei villaggi. L’atipicità della Romania risiede proprio in questo: negli anni in cui nel blocco orientale si poteva osservare una situazione di stabilizzazione in Romania lo stalinismo imperava in maniera ancora più forte sotto la guida di Ceauşescu. Da questo punto di vista la discrepanza temporale è notevole. Nell’intento di portare la Romania sulla cima del socialismo bisogna rimuovere le vestigia del passato, inclusa l’eredità urbanistica che più di tutte ricorda, anche attraverso i nomi, il Belgio d’Oriente e la Piccola Parigi, la storia di un paese che guarda a Occidente.

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