Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Virginia Popescu, violinista

Giu 23, 2009

Il violino mi ha aperto le porte del mondo

Lei ha lasciato la Romania negli anni ’70 seguendo Suo marito italiano. Molti artisti hanno scelto la via dell’esilio, avvertendo le minacciose nuvole che si sarebbero abbattute sulla libertà e la vita del popolo romeno. Risiede da quattro decenni nel paese di Paganini, ma niente tradisce le sue origini native, né nella padronanza della lingua, né nel bagaglio di tradizioni e valori romene. Al di là del mestiere di musicista, che cosa ha significato per lei il violino?

Desidero sottolineare che se il destino mi ha portato in questo meraviglioso paese, pieno di storia, d’arte, di bellezza, non ho mai dimenticato le mie origini, anzi, sono orgogliosa di essere romena, tanto’ è vero che ho sempre mantenuto la cittadinanza romena. Ci tengo alla nostra lingua che ho trasmesso alle mie figlie e nipoti, sono sempre stata partecipe emotivamente a tutti gli eventi che il mio paese ha trascorso. Certo che adesso la bilancia del tempo pende verso l’Italia dove ho vissuto di più, dove ho costruito la mia famiglia, ma torno spesso in Romania, attingo alle mie poche radici rimaste là (zii, cugini), avverto i cambiamenti, assaporo con piacere i colori e gli odori del mio paese. Il violino è entrato nella mia vita per un disegno del destino – io volevo diventare ballerina – che mi ha portato nella casa di mio zio, il generale Stefan Marinescu, che parallelamente alla carriera militare prestigiosa, decorato con l’ordine “Mihai Viteazul” ha conseguito anche il Conservatorio di Musica di Craiova. Desiderava che qualcuno della famiglia seguisse la sua strada artistica.

Stefan Coles si Virginia Popescu

Stefan Coles si Virginia Popescu

 

Si è concretizzato il lei! Si ricorda quei primi momenti quando il violino “rubava” dal suo tempo di spensieratezza, perché si sa, lo strumento rende l’infanzia sacrificata per un bambino.

Mi ricordo una piccola storia legata a questo. Quando dovevo studiare – e questo era giornalmente – ma come ogni bambino desideravo giocare, trovavo un bigliettino appoggiato al violino, come fosse vivo e scritto da lui: “Accarezzami, suona con me che io ti darò il pane un domani!” Chi avrebbe mai detto che il gioco sarebbe diventato realtà?

Di solito la società non considera la professione di musicista in grado di assicurare l’esistenza, ma un passatempo, un complemento alla cultura generale, come professione però non è facile…

Forse una volta era così, oggi e soprattutto nei paesi dell’est, durante l’epoca comunista era assieme alla carriera sportiva, l’unico mezzo di evasione, una possibilità di poter vedere il mondo occidentale. E’ vero, il musicista, come lo sportivo, ha una vita di sacrificio, di allenamento continuo, il lavoro in un’orchestra è faticoso, richiede concentrazione e anche sforzo fisico notevole per 6-8 ore al giorno, ma se riesci ad entrare a far parte di un complesso artistico prestigioso, tutto appaga, hai anche la possibilità economica di condurre una vita più che dignitosa.

Lei ha studiato nella capitale, a Bucarest, ma è nata a Calarasi, in tempo di guerra. Suo padre era pilota e lottava sul fronte. Come era la situazione allora? Come ha vissuto quel tempo di guerra e soprattutto dopo la guerra quando la Romania ha fatto una svolta totale storicamente e politicamente?

Sono nata in ottobre, precisamente in un paesino situato su un affluente del Danubio, oggi Unirea – vicino a Calarasi, nella casa dei miei nonni materni, figure molto care a me. A Calarasi era la nostra residenza famigliare, nella grande casa patriarcale dove, assieme ai nonni paterni, abitavano in più la sorella di mio padre con la sua famiglia e quando mio padre era in licenza, anche noi.

Il tempo di guerra non posso descriverlo perché ero piccolina. So che siamo stati dislocati a Iasi dove c’era la squadriglia di mio padre. Nel ’47 è svolto il processo di “nazionalizzazione” – il passaggio di qualsiasi proprietà privata nelle mani del “proletariato”. Romania era a quei tempi un paese prevalentemente agricolo. Mio nonno, proprietario di terra agricola con manodopera pagata, avendo contadini che lavoravano la terra, fu espropriato, diventando all’improvviso sfruttatore del popolo, perseguitato politico chiabur e costretto a domicilio coatto in una baracca a trenta chilometri dalla città. Mia madre, vedova di guerra, era rimasta con niente dopo la morte del mio padre avvenuta in seguito ad una grave polmonite contratta sul fronte. Aveva due figli piccoli, la casa patriarcale requisita dallo stesso processo di nazionalizzazione e li mancava il lavoro. Grande miseria, gente completamente sradicata, espropriata, disorientata, alcuni in prigione senza un reale motivo, paura del domani, ecco il periodo dopo guerra. Su tutti i muri lo slogan “votate PSD” con il sole dipinto sui muri (che in seguito diventò PCR) portò invece il buio dell’epoca comunista.

Come si entrava all’Università, al Conservatorio di Musica? Oltre le esigenze dell’esame di specialità i candidati erano sottoposti anche a verifiche politiche? Era diventata questa una norma in quei tempi?

Premetto che dal ’47 in poi ci sono state tante mutazioni e movimenti storici durante il periodo comunista. Negli anni ’60-’63, a parte il numero chiuso all’Università che l’insegnamento dell’epoca impose – che io considero però positivo, in quanto una selezione professionale avviene comunque ed è meglio prima che dopo – c’era il periodo dell’origine sana. Aveva priorità all’ingresso all’Università colui con “origine sana” – figlio di operaio o contadino. L’origine “non sana” – figlio di intellettuale, o altro quindi – era la categoria portatrice di ideali liberali, democratici, nemica del regime comunista. Se facevi parte di questa categoria dovevi avere voti molto alti negli esami. E’ successo a qualche mio collega con il “dossier” non adeguato, rischiare un anno, o non entrare per niente all’Università nonostante l’ottima preparazione. Io fortunatamente, dopo tutte le nostre peregrinazioni, risultavo figlia di semplice impiegata, e non ho avuto problemi di questo genere, anzi, per tutto il periodo di scolarizzazione universitaria ho avuto la borsa di studio, in quanto mia madre aveva un reddito bassissimo.

Il Conservatorio musicale “Ciprian Porumbescu” a Bucarest dove lei ha studiato, ha una vecchia e lunga tradizione rappresentata nella prestigiosa figura del più grande musicista romeno George Enescu. Molte generazioni di studenti sono state forgiate nell’arte di questo Maestro. In seguito, negli anni ’40 il compositore Mihail Jora ne ha prelevato la presidenza, guidandolo con particolare rigore, conservando così l’alto prestigio dell’insegnamento musicale. Com’era il periodo del suo inserimento, che cambiamenti avvertiva?

Tornerei un può indietro; pensi che quando ero nella prima elementare (anni ’48) si faceva ancora la preghiera prima dell’inizio delle lezioni, nel ’50-’51 (non mi ricordo) quando è morto Stalin siamo stati obbligati quasi a piangere perché era morto il nostro “padre Stalin” e l’insegna di pioniere e la cravatta rossa erano l’aspirazione di ogni bambino. Poi, nella vita studentesca se non eri UTC-ista non eri degno e non potevi beneficiare di alcuni diritti – borsa di studio, per esempio. In Romania esistevano tre istituti musicali: a Bucarest, Iasi e Cluj. Certamente il Conservatorio Ciprian Porumbescu era la meta per tutti gli studenti che desideravano perfezionarsi e scegliere la professione di musicista. Esistevano due sezioni: una pedagogica – che formava i futuri professori di musica per le scuole di cultura generale e musicali e l’altra strumentale – che formava i futuri strumentisti e cantanti. Vigeva una grande disciplina, ma soprattutto grande emozione e rispetto per i nostri illustri maestri, molti formati a Parigi. Purtroppo oggi nelle scuole, di qualsiasi livello, mi sembra che la parola rispetto per i professori sia quasi scomparsa. Il concetto di libertà d’espressione o la libera espressione delle personalità è mal intesa. E purtroppo, questa è una cosa che ha grande importanza sia nella preparazione individuale sia nella formazione umana.

Perché siamo in Italia e parliamo della cultura italiana e dell’intreccio culturale italo-romeno, guardando il passato storico del Conservatorio di Musica, ho trovato il nome di Alfonso Castaldi, compositore italiano, professore per tre decenni, il quale, dopo gli studi conseguiti in Italia si è stabilito in Romania per il resto della vita. Ha costituito la prima classe di composizione nel 1905, rivestendo per un breve periodo anche il ruolo di Ministro delle Arti in Romania nel periodo interbellico. Ritornando al nostro tema, capisco che siete stati una generazione con risultati speciali, che si è affermata molto bene nel panorama musicale romeno…

Non solo romena, ma internazionale direi. Ognuno nel suo campo, sia in Romania che all’estero si sono realizzati e hanno fatto onore alla scuola musicale romena. L’artista Marina Krilovici, vincitrice di tanti concorsi internazionali, con grande carriera internazionale. Aurel Niculescu, direttore d’orchestra e docente al Conservatorio. Emilia Nica, prima viola in Germania, assieme a suo marito Erwin Gesswein, primo corno in Germania. Tiberiu Stoianovici primo violino di spalla in Germania. I miei colleghi di quartetto: Ilie Mihai, primo violino a Roma, Ion Catianis, primo flauto nell’Orchestra della Radiotelevisione Romena. Marian Soare – primo trombone, Ilie Mihalache – timpanista, Paul Rogojina – compositore, Nicoleta Maglusescu – prof. violino a Bucarest, Gabriela Stefan – prof. piano a Bucarest, Zitta Finkelstein – concertista pianista a New York, Serban Rusu – docente di violino a Boston. E tutti gli altri dello stesso livello, ed infine Virginia Popescu, violinista nell’Orchestra del Teatro alla Scala e Filarmonica della Scala.

Finiti gli studi, è entrata a far parte dell’Orchestra della Radiotelevisione Romena, sotto la guida dei maestri Iosif Conta ed Emanuel Elinescu…

Si, sono entrata in questa prestigiosa orchestra, percorrendo un vasto repertorio, dall’epoca barocca fino a quella contemporanea e sopratutto l’opera enesciana, le due rapsodie, le sinfonie ecc. Ricordo queste due personalità musicale romene come grandi sostenitori dei giovani compositori ed interpreti romeni.

“La prima uscita”, la prima tournée, è avvenuta nel 1968 in Cecoslovacchia e Germania dell’Est, un anno storicamente particolare – “La primavera di Praga” chiamata così in seguito alle riforme del presidente Dubcek.

Riforme che hanno portato all’invasione della Cecoslovacchia dalle truppe dell’URSS e i paesi del patto di Varsavia. E’ stata la mia prima tournée, che ricorderò per tutta la vita, emozioni infinite, in quel periodo non eri sicuro di partire finché non decollava l’aereo. Ognuno veniva controllato, fino al midollo, dalle autorità, malgrado la partenza in un altro paese comunista. Ma l’entusiasmo di uscire, di vedere paesi nuovi, faceva cadere qualsiasi problema. Le condizioni erano misere, era assicurato il viaggio e l’albergo ma nessuna diaria. Ognuno portava con se la “valigia miracolosa” con conserve e cibo da casa. Lo spostamento da una città all’altra si faceva ammassati in bus – anteguerra – viaggiando di notte dopo il concerto. Ma il giorno dopo eravamo instancabili, eravamo giovani ed entusiasti.

Che paradosso! Eravate in tournée in Cecoslovacchia. L’unico paese che si è dissociato dall’invasione di questo paese è stata la Romania, decisione presa da Ceausescu.

Veramente fu un momento storico importante. Ceausescu guadagnò tanto prestigio in seguito a questa decisione. La Romania viveva un atmosfera di grande tensione, si temeva l’invasione anche della Romania. Questa mossa fu considerata positivamente dal popolo, si aveva speranza nella capacità umana del nostro presidente. Che era una situazione particolare, l’abbiamo capito sopratutto in Germania Democratica dove c’era il coprifuoco – un ordine imposto solitamente dalle autorità statali, a militari, a tutti i civili, a tutti coloro che non avevano un permesso rilasciato dalle autorità. Sulle strade c’erano blocchi stradali delle guardie sovietiche. Ma il nostro compito era uno pacifico. Di portare la nostra arte, la nostra cultura, negli altri paesi, anche se i tempi non erano dei più propizi. Col passare del tempo, nelle tournée, mi tornava spesso in mente questa prima esperienza all’estero.

E’ arrivata in Italia, paese che rappresenta riferimento per tutti gli artisti dal punto di vista musicale. Si è stabilita a Milano. Come è avvenuta la sua evoluzione musicale?

Il primo impatto con la vita musicale italiana, specificamente milanese è stato, direi, scioccante. Vivendo in un paese chiuso, senza nessun contatto con la vita musicale occidentale, si creano dei miraggi, delle paure; l’informazione molto ridotta, avvenuta attraverso qualche fortunato che era riuscito ad uscire, o qualche disco, metteva in una posizione d’insicurezza totale. Il desiderio di continuare la mia professione era enorme, ma non sapevo a che livello era la mia preparazione, rispetto alle esigenze richieste qui, per entrare in un’orchestra sinfonica. Trovai sul “Corriere della sera” un annuncio del concorso bandito dall’Orchestra della Radiotelevisione Italiana di Milano. M’iscrissi. Fu immensa la mia felicità per l’esito positivo del concorso, vinsi tra i primi in graduatoria…

Intervista tratta dal volume “Personalità romene in Italia”, di Violeta Popescu, Edizioni dell’Arco, Milano 2008.

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