Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Una storia dell’architettura moderna in Romania (1)

Giu 6, 2010

Arch. Sorin VASILESCU, direttore degli studi post-universitari della Università di Architettura e Urbanistica “Ion Mincu” di Bucarest

Il presente articolo propone ai lettori uno studio complesso che rigurda l’architettura moderna in Romania. Seguirà una seconda parte.

L’architettura romena, espressione viva della nostra latinità, è sensibilmente differente sia dai prodotti simili dei paesi neo-latini, circoscritti al mondo occidentale e cattolico, sia da quelli dei vicini slavi e magiari. L’architettura romena, rappresentata per la prima volta sulla Colonna di Traiano a Roma, vero atto di nascita del popolo romeno, è una delle testimonianze della straordinaria continuità. Le forme architettoniche che i legionari romani di Marcus Ulpius Traianus hanno incontrato nella Dacia Felix sono sopravvissute e si ritrovano nell’architettura rurale dei Carpatzi. Benchè durante tutta la nostra storia si sia affermato, con piena legittimità ed orgoglio, che “de la Ram ne tragem” (le nostre origini sono a Roma), il mondo romeno ha guardato verso Bisanzio e verso l’ortodossia, verso l’Impero Romano d’Oriente sopravvissuto un millennio a quello Occidentale. Questa particolare romanità, denominata dallo storico romeno Nicolae Iorga “Byzance après Byzance”, sarà l’elemento fondamentale della nostra intera cultura e civiltà, dell’intero processo di “divenire” dell’architettura romena che potrebbe essere caratterizzato in modo sintetico come appartenente all’universo formale bizantino letto in chiave latina.

Il processo normale e naturale di “divenire”, piuttosto che di evoluzione, dell’architettura dei Paesi Romeni è un processo che ha seguito in gran misura le stesse tappe stilistiche dell’Europa: l’antichità greco-romana, lo stile bizantino, romanico, gotico, quello rinascimentale e barocco, ma sopratutto quello post-bizantino.

Se la Romania fosse soltanto “un posto e non un paese”, come diceva Mircea Marghescu, allora il discorso sulla modernità non avrebbe alcuna motivazione. In quanto un posto – dove si incontrano l’Est, l’Ovest ed il Sud – è una realtà fisica, non una ideale, adattato ed adattabile a qualunque paese che si trova obbligatoriamente al “bivio delle principali vie e di fronte a tutte le vicissitudini ed a tutti i flagelli.”

Un posto è categoricamente l’espressione precisa di uno spazio, senza collegare lo spazio con il suo valore materiale intrinseco; anche uno spazio materiale ha relazioni di vicinanza, ma se non ha anche una carica spirituale non è altro che una definizione strettamente geometrica, con due dimensioni (se viene percepito come rappresentazione planimetrica) oppure con tre dimensioni (se viene percepito nello spazio); il posto non può aspirare alla trascendenza, indifferentemente se percepiamo lo spazio in maniera superiore, utilizzando varie e sottili “correzioni” ottiche.

La differenza tra un “posto” ed uno spazio architettonico (cioè lo spazio esistente tra “l’oggetto-creazione” e creatore oppure tra varie presenze naturali ed artificiali e colui che guarda) è simile alla differenza inspiegabile tra morto e vivo, tra creatura e cosa. Il posto è cosa, lo spazio (diventato attraverso la creazione spazio architettonico) è però vivo, è “creatura”. Essendo creatura ha un passato “genealogico” – e da qui il significato della tradizione – ed un presente che si confonde senza però identificarsi totalmente con la contemporaneità.

Nelle convenzioni stabilite per l’analisi di un qualunque fenomeno, un primo momento è rappresentato dalla delimitazione nel tempo del fenomeno stesso. La delimitazione può essere arbitraria oppure potrebbe basarsi sulla definizione del momento in cui si è svolto, sulla struttura intima del fenomeno analizzato, su un cambiamento o una mutazione profonda, significativa. Per il mondo delle arti in genere ed in particolare per il processo di divenire (non di evoluzione) dell’architettura, questo momento è quello in cui i principali “codici-convenzione” hanno perso la loro consistenza diventando caduchi, perdendo il significato ed il significante, mentre l’unico linguaggio coerente architettonico (come diceva Zevi), quello classico (con le innumerevoli varianti di “neo”) sarà gradualmente abbandonato per essere poi ripreso periodicamente. Tale mutazione, avvenuta nelle condizioni dell’apparizione di un nuovo concetto sul mondo e Dio, condizioni particolari del mondo moderno e dell’apparizione su scala industriale di nuovi materiali quali: cemento, ferro e vetro (però, materiali vecchi quanto “il mondo”) darà l’avvento ad un cambiamento maggiore nel linguaggio architettonico che si esprimerà per un certo tempo in forme storicistiche, perchè poi cominci ad esprimersi in forme architettoniche “astilistiche” – nel senso classico della parola “stile” – generando l’apparizione di un nuovo universo formale-funzionale che si definisce moderno.

Questo “moderno” che ha centocinquanta anni di vita ha avuto una incredibile avventura nello spazio romeno, spazio molto particolare e non un posto di disputa accaparratrice tra Est, Ovest e Sud.

Dopo aver definito in chiave ortodosso-latina la maniera romena di concepire l’architettura, con esiti che si possono rapportare sia a noi sia a scala universale, modesti, considerevoli e a volte eccezionali, l’architettura romena ha passato la soglia del XIX° secolo con discordanze normali, o meglio, con sfasamenti. Ciò che sorprende però è il fatto che tali sfasamenti sono considerevolmente diminuiti, sino alla totale sparizione, verso la fine del secolo scorso. La maniera in cui è stata fatta questa sintonizzazione con la modernità è una prova concludente del fatto che in “condizioni propizie”, grazie ad una cultura millenaria, sono stati ricuperati gli sfasamenti temporali e siamo riusciti ad entrare nella modernità “dalla porta principale”, partecipando con integrità e a volte con successo ai mutamenti dell’arte moderna. Dopo la Rivoluzione Francese la cultura romena ha abbandonato rapidamente i modelli bizantini, orientandosi decisamente verso i modelli occidentali, mentre per ciò che riguarda l’architettura si può parlare di un fenomeno di ridefinizione dei criteri estetici, componistici e linguistici che diventeranno elementi decisivi per l’architettura moderna.

Possiamo considerare la seconda metà del XIX° secolo, oltre alle tendenze estetiche verso il modernismo, come una tappa della “costruzione urbana” in cui nelle città patriarcali cambia il rapporto costruzione-spazio verde: se prima era a favore dello spazio verde, ora di fronte alle nuove richieste moderne sarà favoreggiato lo spazio costruito. Il passaggio dalle strutture urbane tradizionali alle strutture urbane moderne è stato indissolubilmente connesso al rapido processo di industrializzazione, senza però rinunciare totalmente agli ideali di abitazione specifici romeni: spazialità intima in perfetta sintonia con la natura attraverso un permanente legame tra interno ed esterno, una felice commisurazione e proporzione degli spazi interni ed esterni, coronate spesso da una sobria decorazione, vigorosa e fantasiosa. Si può dunque parlare dell’adempimento a livello urbano di alcune peculiarità nazionali che condurranno alla “definizione della specificità di ogni abitazione in parte, per conferire, in base alla continuità delle pregevoli tradizioni – ricca fonte di ispirazione – all’architettura romena una sua propria impronta.” (Gustav Gusti, L’architettura in Romania, Editrice Meridiane, Bucarest 1965).

Precursore degli interventi architettonici di espressione moderna, l’architettura neoclassica agli inizi dell’800 si è sovrapposta a Bucarest ad una città patriarcale in cui convivevano costruzioni neobizantine con costruzioni di fattura quasi rurale. La variante del neoclassico provinciale è rappresentata da una serie di edifici, dalle abitazioni aristocratiche a quelle borghesi, che sono diventate sempre più evolute dal punto di vista formale e funzionale. Alcuni lavori neoclassici hanno però superato il livello provinciale, toccando rapidamente la maturità, ottenendo forme e dimensioni spesso monumentali, come il Palazzo dell’Accademia, l’Università, il Grand Hotel du Boulevard (architetto Alexandru Orascu, Bucarest 1859); Hotel de France (architetto George Rosnoveanu, Bucarest ???); il Palazzo della Giustizia di Bucarest (architetto I. Ballu in collaborazione con arch. Ion Mincu, 1886); il Palazzo della Giustizia di Craiova (architetto Ion N. Socolescu, 1890); il Palazzo Arcivescovile di Iasi (iniziato nel 1833 da Gustav Freiwald e Bucher, al quale ha collaborato anche Gheorghe Asachi, ultimato appena nel 1887 da Alexandru Orascu); il Palazzo delle Poste di Bucarest (architetto Alexandru Savulescu, 18??); la Banca Nazionale di Bucarest (architetti Cassien Bernard e Albert Galleron, 1883 – 1885); il Palazzo Reale Cotroceni ed il Palazzo reale di Calea Voctoriei (architetto Paul Gottereau, 1891 – 1895, 1914); il Ministero dell’Agricoltura e dei Domini (Bucarest, 1886 – 1889) e la Facoltà di Medicina di Bucarest (1902) realizzate dall’architetto Louis Blanc; l’Atheneo Romeno (architetto Albert Galleron, la cupola è stata realizzata dall’ingegnere Elie Radu, Bucarest 1888); il Palazzo CEC (Cassa di Risparmio) (architetto Albert Galleron, Bucarest 1888); il Palazzo Amministrativo di Iasi, il Palazzo Cantacuzino di Bucarest (1914), il Palazzo di Floresti Prahova – non finito – e la casa Assan (1914) realizzate dall’architetto D. Berindei; i Teatri Nazionali di Iasi (1896), Oradea (1900) e Cluj (1906) realizzate da Felner e Helmer; il Palazzo del Parlamento ed il Circolo Militare (architetto Dimitrie Maimarolu, Bucarest ???); il Palazzo della Borsa, oggi la Biblioteca Centrale di Stato (architetto Stefan Burcus, Bucarest ???).

Le prime forme dell’architettura moderna, impropriamente denominate “architettura degli ingegneri”, hanno rappresentato il primo momento in cui la presenza romena fu proficua non per le “opere replica” di minore valore e dimensioni, ma per i lavori maggiori quali i ponti sul Danubio e Borcea, realizzati dall’ingegnere Anghel Saligny (ultimate nel 1895), ponti eccezionali per la loro logica e bellezza strutturale, vere sculture dei diagrammi della forza che erano a quell’epoca tra i più grandi del mondo. I più rappresentativi lavori dell’architettura degli ingeneri furono le principali stazioni delle Ferrovie Romene (C.F.R.) (Il binario della Stazione Nord di Bucarest, 1878), la fabbrica “Lemaitre” (Bucarest, 1864), la fabbrica di zucchero “Chitila” (1876), la fabbrica “Semanatoarea” (Bucarest, 1913 – 1915), il Mercato Unirea (Bucarest, 1919). Le strutture moderne metalliche erano state create, dal punto di vista stilistico, nello stesso spirito eclettico della Sala Beltard a Parigi (1843), del Crystal Palace di Pakton (Londra, 1852) e delle Gallerie “Vittorio Emanuele” di Mengoni a Milano (1863).

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ART NOUVEAU

La prima forma del modernismo, nota con il nome di Art Nouveau, fu un momento che ha aperto nuove vie nell’arte e soprattutto nell’architettura, un momento di totale rottura da qualunque altra maniera di considerare storicamente i problemi generati dalla relazione forma – decorazione. Una delle caratteristiche fondamentali del nuovo stile fu l’internazionalismo.

In Romania e nelle province romene dell’impero austro-ungarico il “nuovo stile”, questa manifestazione internazionale della prima corrente “modernista”, ha avuto tre differenti vie di evoluzione a seconda della collocazione regionale specifica e della disponibilità socio–culturale–politica. Possiamo, dunque, parlare di influssi diretti della Secessione in Transilvania e Banat, grazie ai lavori degli architetti autoctoni o dell’Imperio austro-ungarico; inoltre, nel “vecchio regno” possiamo parlare di influssi francesi, grazie ai lavori degli architetti francesi o di quelli romeni che hanno studiato in Francia.

Dunque, se la fonte era l’Art Nouveau, gli influssi appartenevano al Secession e all’Art Nouveau. Il Secession della Transilvania e del Banat, nati dal Secession viennese, hanno attraversato le due fasi caratteristiche dello stile: la fase della decorazione fluida, curvilinea, sorta quasi da un universo vegetale e poi la fase geometrica, delle semplificazioni quasi astratte, la fase dello ‘stile lineare’. Il nuovo stile ha conosciuto varianti dovute al fatto che gli architetti che hanno studiato a Vienna o a Parigi avevano ideali artistico-professionali connessi a “modelli” che, coscientemente o no, hanno rispettato oppure hanno interpretato.

Durante il primo periodo dell’Art Nouveau in Transilvania si sente molto l’influsso della Secessione viennese grazie ad uno dei suoi rappresentanti più importanti, l’architetto Odon Lechner, creatore dello “stile” che porta il suo nome, che ha realizzato oltre a molti lavori importanti, la Casa Postale di Risparmio di Budapest, la sua opera più rappresentativa. Partendo da alcuni elementi stilistico-formali caratteristici dell’opera di Lechner, Jakob Dezo e Komor Maecell sono gli architetti che hanno incluso nelle loro opere “citati folcloristici” del Bihor e del Maramures, accanto a elementi tipici dello stile dell’intero Impero austro-ungarico. Tra i loro lavori spiccano gli edifici siti in via della Libertà a Oradea, che ricordano direttamente lo ‘stile Lechner’, la Prefettura di Targu Mures, opera di una monumentalità severa, frutto di un processo di epurazione del linguaggio decorativo e stilistico che sembra sia il risultato dell’innesto diretto di alcuni elementi decorativi ispirati, non copiati, all’arte popolare della Transilvania. Nello stesso stile, Jakob e Komor hanno ristrutturato a Oradea il centro commerciale “L’Aquila Nera”, mentre S. Baumgartner ha costruito a Targu Mures il Liceo ‘Bolyai’ e S. Sztaril ha realizzato un edificio in Piazza della Repubblica a Oradea.

Il secondo momento della Secessione in Transilvania lo si può considerare lineare; è il momento in cui si fanno sentire, accanto agli influssi formali viennesi di Wagner e Hoffmann anche quelli di Mackintosh. Il Museo di Sfantul Gheorghe (San Giorgio) costruito nel 1911, la Chiesa di Manastur-Cluj del 1012 e la Fabbrica Comunate di Targu Mures costruita tra il 1911 ed il 1913 sono alcune tra le più importanti opere di Eros Joska, le più rappresentative per il momento “lineare dello stile”.

In Romania, accanto alla “modernizzazione” di tutti i settori materiali e spirituali della società romena, iniziata dalla salita sul trono del Re Carlo I (1866-1914), è stato fatto un grandissimo sforzo di “trasfigurazione” del mondo romeno patriarcale del “Byzance après Byzance”, come diceva lo storico Iorga.

Un ruolo di grande importanza nella modernizzazione dell’architettura romena l’hanno avuto: la creazione da parte dell’architetto Alexandru Orascu della Società degli Architetti Romeni (1890), la rivista “Annali di Architettura” nonchè la creazione da parte di Spiru Haret della Sezione Architettura presso la Scuola di Belle Arti (1897), diventata indipendente nel 1904 sotto il nome di Scuola Superiore di Architettura, diretta da Ermil Pangratti.

La modernizzazione della Romania è avvenuta grazie ad un complesso di ragioni, tra cui i più importanti sono i legami con l’Occidente ed in particolare quelli culturali ed affettivi con la Francia. Il fatto che nelle scuole francesi di architettura si siano formati oppure abbiano continuato gli studi gran parte degli architetti romeni con vere e sincere disponibilità culturali ed imitative, sarebbe stato un motivo più che sufficiente per l’apparizione di una variante romena dell’Art Nouveau simile più o meno con quella della “fonte”. La realtà è però totalmente diversa: senza definirci protocronisti, possiamo osservare il fatto che la maniera in cui la generazione di Mincu, rivolta verso il Modernismo grazie ad un vero pathos nazionale, ha fatto il passaggio dall’eclettismo al nuovo stile “romeno”, rappresenta una via propria che anticipa di quasi un decennio le esperienze simili dell’Occidente europeo. Lo stile apparso alla fine del XIX secolo in Romania può essere considerato, in gran misura, una variante carica di personalità autentica dell’Art Nouveau cui è stato non subordinato, ma eguale, tanto dal punto di vista cronologico quanto stilistico. Gli sforzi di “europeizzazione” fatti dalla società romena si sono espressi vigorosamente nell’arte di costruire, in cui sono apparsi, per la prima volta, molto distintamente i segni di un “nuovo stile”. Si può parlare praticamente dell’apparizione di un “proto art nouveau” prima dell’apparizione a Bruxelles delle prime opere di Horta e Hankar. Con una eccezionale intuizione l’architetto Ion Mincu “ha sentito” l’apparizione del rivoluzionario Art Nouveau che avrebbe “tagliato il cordone ombelicale” che legava organicamente con lo storicismo ridondante, realizzando così il primo modulo in cui la decorazione muta l’oggetto stesso in decorazione trasformandosi così da sovrastruttura in struttura. L’uso dei “citati”, non delle imitazioni, con carattere folcloristico romeno, è una delle principali novità dello stile che avrà la sua ovvia evoluzione, spengleriana, partendo da Mincu, toccando la maturità e concludendosi con le vittorie e le sconfitte inerenti nate sul suo cammino sempre minacciato dal pericolo delle “esagerazioni” presenti nella matrice stilistica stessa del “neoromeno”. I risultati della produzione architettonica furono considerevoli allorquando fu rispettata la difficile esortazione di Alexandru Odobescu: “Studiate i resti della produzione artistica del passato, alquanto piccoli fossero, e trasformateli nella fonte di un’arte grandiosa… non trascurate alcuna occasione di usare gli elementi artistici presentati dai monumenti romeni dell’antichità; però, cambiateli, modificateli, sviluppateli…”.

Si potrebbe considerare la casa del generale Lahovary, sita in via Ion Movila di Bucarest e realizzata da Ion Mincu nel 1886 la prima manifestazione del nuovo stile architettonico. Diplomatosi presso la Scuola romena di ponti e strade, Mincu ha continuato i suoi studi in Francia dove, nel 1884, ha ottenuto il diploma di architetto presso la celebre Ecole des Beaux Arts di Parigi.

Grigore Ionescu affermava che “l’accademismo e l’eclettismo, che dominavano alla fine del secolo scorso tutto il mondo, non hanno tentato Mincu, alla base della sua concezione sull’architettura stando l’idea che lo sviluppo dell’arte di costruire deve, certamente, appoggiarsi agli esempi classici delle antiche architetture… A sostegno di tale concezione, il nuovo nell’architettura non si basa sulla rottura della continuità di uno stile, ma rappresenta una crescita naturale, una ripresa su piano superiore ed una corrispondente rielaborazione dei nuovi programmi e delle richieste sociali, degli elementi e delle forme accumulate anteriormente.”

Nell’atmosfera effervescente dei primi del secolo, grazie all’opera di Mincu, è nata una vera scuola nazionale di architettura, denominata “neoromena” che, usando in maniera creativa citati dell’antica arte romena, ha definito felicemente una nuova sotto-variante dell’Art Nouveau, presente sia negli edifici officiali sia in quelli privati.

Creando, in spirito tradizionale e allo stesso tempo “moderno”, la casa del generale Lahovary, Mincu affermava di aver scoperto “le radici sane di un albero abbattuto dalla tempesta”, realizzando un’opera che “emanava un’atmosfera romena” e che, così come diceva Grigore Ionescu, doveva essere “nel suo insieme una rielaborazione rinnovatrice di elementi e forme specifiche dell’architettura romena; l’edificio doveva essere caratterizzato dall’utilizzo idoneo dei materiali e della tecnica costruttiva tradizionale e, soprattutto, da una visione architettonica chiara, accompagnata dal buon gusto nella definizione delle proporzioni, nella dosatura delle decorazioni e nell’armonia dei colori.”

Un’altra opera eccezionale che esplora lo stesso filone è “Il Buffet” sul viale Kiseleff di Bucarest, realizzato nel 1892 secondo i piani del padiglione romeno dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889. “Il Buffet” riprende gli elementi tradizionali planimetrici, volumetrici e decorativi delle case dei boiari, non fa un decalco degli elementi stessi, più o meno storici, ma li filtra attraverso un processo superiore ricavandone lo spirito e non soltanto la forma dell’architettura tradizionale. “”Il Buffet” gode di una plastica architettonica mossa e di una grande, ma equilibrata, ricchezza di decoro che mette in evidenza solo le parti superiori delle facciate. Nell’insieme dell’edificio, l’accento plastico architettonico viene messo sul padiglione al primo piano, cui si accede da una scala monumentale esterna, protetta da un lembo del tetto che segue il piano inclinato della scala stessa. L’edificio ha solo pianterreno, ma il suo loggiato accoglie nella sua composizione, come una eco di varie risonanze, sia la ricchezza delle decorazioni floreali in terracotta variopinta, sia le arcate dell’elemento dominante dell’edificio: il loggiato”. (Grigore Ionescu, Storia dell’Architettura in Romania, Bucarest, 1963).

Un’altra opera di eccezionale importanza dell’architetto Mincu è la Scuola Centrale per Ragazze realizzata tra gli anni 1890-1894; opera di maturità con una planimetria complessa, perfettamente unitaria tanto nel suo insieme quanto nei particolari. I lavori che Mincu fece a Bucarest sono estremamente valorosi; gli elementi tradizionali usati subirono un processo di “divenire”, partecipando attivamente e creativamente alla definizione e alla consacrazione di alcune “invarianti stilistiche”, come direbbe De Fusco, di una “Nuova Arte” in cui gli accordi nazionali ricevettero nuove qualifiche, maturando in tutto il mondo sotto vari nomi quali Art Nouveau, Jugendstil, Secessione, Modernismo Catalan, Mir Astkustvo, Liberty o Stile floreale, ecc.

L’ingegnere Anghel Saligny, il rappresentante romeno più prestigioso dell’”architettura degli ingegneri”, creatore dei ponti sul Danubio e Borcea e dei primi depositi del mondo in cemento armato (Constantza, 1880), ha realizzato – come un vero precursore dell’Art Nouveau – anche alcuni lavori in cui la parte architettonica ha avuto un posto sorprendentemente importante, come la stazione di Ramnicu Sarat che include un intero repertorio formale che avrebbe potuto benissimo appartenere a Hankar. Simili furono la stazione Vamesu realizzata nel 1881 dagli ingegneri Spiridon Jorceanu, Anghel Saligny e Constantin Olanescu o la stazione Comanesti realizzata negli anni 1891-1899 secondo il progetto di Elie Radu. Ma la sorte della “proto” art nouveau era quella di realizzarsi solo su scala nazionale e di subire alcuni mutamenti che l’hanno allontanata dall’art nouveau “classica” trasformandosi in uno stile non privo di qualità’, lo stile “neoromeno”, in cui la lettura degli elementi del repertorio nazionale viene fatta grazie ad un dizionario in cui la monumentalità, che non dobbiamo confondere con il gigantesco, ha spesso avuto una parte molto importante.

L’architettura neoromena ha avuto due sotto-varianti relativamente distinte dal punto di vista cronologico, dal punto di vista dei programmi ed implicitamente della scala. La prima sotto-variante, che possiamo considerare una specie di “proto Art Nouveau”, si è manifestata sino alla Prima Guerra Mondiale; i suoi principali rappresentanti furono Mincu, Cristofi Cerchez, Grigore Cerchez, Nicolae Ghika-Budesti, architetti le cui opere, dal punto di vista della scala, sono modeste o medie, mentre i programmi erano a ‘scala borghese’. La seconda sotto-variante che si è manifestata dopo la Prima Guerra Mondiale ed è sopravvissuta abbastanza molto, incrociandosi addirittura con l’Art Deco, e che non fu mai “arte di stato” della grande Romania, ha avuto programmi maggiori, siccome le fonti iniziali di ispirazione valide per la prima sotto-variante non furono più soddisfacenti, attingendo ora anche ad elementi del così detto “stile Brancoveanu”, variante romena del Rinascimento. I principali rappresentanti furono Petre Antonescu, Constantin Iotzu, T. D. Traianescu, Statie Ciortan, Toma T. Socolescu ed altri.

Nel vecchio Regno si può parlare sia di una scuola strettamente nazionale, iniziata da Mincu, sia di opere art nouveau di architetti romeni che hanno studiato in Francia, oppure di architetti francesi, come Daniel Renard, creatore di alcuni dei più rappresentativi lavori art nouveau, quali il Casino di Constantza e l’ex albergo Athenee Palace (ristrutturato negli anni ’40 dall’architetto Duiliu Marcu).

Alcuni elementi specifici del linguaggio del nuovo stile furono ripresi quasi organicamente anche dall’architettura “minore” di fattura neoclassica o eclettica; i risultati furono sorprendenti e avvolte difficilmente decifrabile lo stile cui appartenevano.

Il rinnovamento totale e perfettamente adeguato al “modernismo” – cosi come viene denominato da Giulio Carlo Argan, a buon ragione, l’Art Nouveau – porterà all’apparizione di un vero stile nazionale. Le opere rappresentative per questa rivalutazione dell’Art Nouveau sono molte e si ritrovano nelle più importanti costruzioni della Romania. All’Art Nouveau si dedicarono con successo i piu rappresentativi architetti romeni quali Grigore Cerchez (1852-1925), Nicolae Ghica-Budesti (1870-1943), Cristofi Cerchez (1872-1955), Petre Antonescu (1873-1965). Tra le più importanti opere architettoniche del nuovo stile ricordiamo: la Scuola di Architettura di Bucarest, lavoro monumentale, realizzato tra gli anni 1912-1917 da Grigore Cerchez; il Museo d’Arte Nazionale, oggi il Museo del Contadino Romeno, sito a Bucarest sul viale Kiseleff, realizzato negli anni 1912-1938 da Nicolae Ghica-Budesti; la casa Dr. Minovici sita in Bucarest sul viale Kiseleff, la casa Nae Popescu sita a Bucarest su via Sf. Stefan, la casa Manoilescu sita a Bucarest su via Remus, la casa parrocchiale della Chiesa Santi Apostoli di Bucarest sono costruzioni realizzate da Cristofi Cerchez; la casa Lipatti di Bucarest, viale Lascar Catargiu, case sulle vie Orlando e Aurel Vlaicu, la casa Oprea Soare (oggi casino Bucur) sita in Bucarest su via P. Bordea, le case del complesso Bratianu sito in via Biserica Amzei sono costruzioni realizzate prima della Prima Guerra Mondiale, nonchè il Ministero delle Costruzioni Pubbliche (oggi il Municipio di Bucarest), la banca Marmorosch-Blanc, in via Doamnei di Bucarest, ed il Palazzo Comunale di Craiova sono opere dell’architetto Petre Antonescu.

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