Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Sanda Sudor, pittrice

Ago 4, 2009

Il mio mondo è fatto di luce e colori, di energia che avvolge la tela dando vita alle mie più remote emozioni

Leggevo, nella tua presentazione, dell’incontro che fu decisivo per la tua carriera, con una maestra di elementari; la signora, visto il tuo talento, consigliò i tuoi genitori di indirizzarti verso lo studio della pittura. Avevi 10 anni e copiavi i grandi maestri, disegnavi per intero una modella. La bambina giocava seriamente?

A quell’età c’è sempre una sovrapposizione tra il gioco e l’impegno, per me come per ogni bambino, diventava un gioco qualunque lavoro, quello che in età adulta diventa un impegno. Dunque per gioco prendevo come “mie modelle” le amiche e poi mi auto-educavo nel copiare i grandi maestri che penso sia la migliore scuola per un’artista in erba. Direi che giocavo con tanta serietà.

 

Sanda Sudor

Sanda Sudor

 

 

E i tuoi primi ricordi della famiglia e la città Iasi dove sei nata?

Sono cresciuta in una famiglia che comunemente chiamiamo tradizionale quando si vuole dire unità, continuità, principi e fermezza, dunque un ambiente con dei valori e principi ferrei. In una famiglia che con timidezza “nascondeva” un amore per l’arte dandomi cosi una spalla per appoggiarmi nei miei primi passi. Una famiglia che ha creduto in me, mia madre mi ha trasmesso il talento e mio padre (sognatore della sua grande anima) il suo lato ribelle. La città di Iasi è la culla della cultura romena, non solo come sito delle effigi storiche ma soprattutto con l’atmosfera bohemien, con un’aria di profumo di poesia, un’aria saggia che si formava come un’aureola anche intorno alle persone, una città piena d’artisti; scrittori, attori, musicisti. La cultura era all’epoca un’importante fonte d’economia e lo è stato anche nella storia. Ho avuto la fortuna di crescere nella città che ha formato i nostri più grandi poeti nazionali: Mihai Eminescu e Vasile Alecsandri.

Hai studiato ingegneria in un periodo quando sul mercato romeno c’era una grande richiesta, dopo la prima laurea ti sei decisa a studiare Belle Arti. Come hai creato il ponte tra ingegneria e pittura? Come sei riuscita a conciliare le due?

Direi che sono stati due percorsi paralleli che a volte interferivano senza disturbare la direzione della vita. La pittura era ed è “la Passione”, l’ingegneria è il lato concreto per poter affrontare la vita e in altre parole è il sogno e la realtà, e come per miracolo i due punti di convergenza tra i due percorsi, hanno dato dei risultati buoni in complesso. In quei tempi si trattava veramente di una richiesta di ingegneri sul mercato, era un mestiere che ti dava un posto sicuro nel piano della “grande industrializzazione” concepita delle autorità comuniste. In fondo c’è cosi tanta fantasia anche nella matematica, una delle materie che più ho amato a scuola. Per varie esigenze non ho finito interamente gli studi dell’Accademia di Belle Arti, ma ho seguito costantemente i corsi per due anni che mi hanno dato una visione più completa sull’arte e i suoi discepoli.

Come definisci quel periodo del regime comunista vissuto, sentivi una censura come pittrice?

Per fortuna o per una serie di condizioni fortuite non ho mai subito la censura e non l’ho sentita neanche. Probabilmente perché non ero impegnata in una forma di arte politicizzata, quello che sentivo fortemente, così come tutti gli artisti di quel periodo, era la mancanza di espressione della parola e libertà di poter viaggiare all’estero. In mancanza di questo mi esprimevo nell’arte che era il mio pane quotidiano. Il mestiere di ingegnere l’ho professato solo per due anni. Dopo i cambiamenti dovuti alla Rivoluzione Romena nel ‘89 consideravo che era arrivata l’occasione giusta di andare all’estero e di fare una mostra all’Accademia di Romania a Roma, un altro orizzonte e altre battaglie da combattere e vincere. Prima di parlare del mio nuovo percorso in Italia vorrei ricordare Aurel Leon (scrittore e giornalista per sei decenni, considerato una grande personalità culturale nella mia città) lui è stato il primo che ha creduto in me, mi ha sostenuta e seguita. Ho rimpianto a lungo di non aver potuto capire fino in fondo la profondità dei suoi pensieri per colpa della presunzione della gioventù. Ho continuato a “comunicare’’ con lui spiritualmente anche dopo la sua scomparsa. Ricordo mio nonno e gli amici stretti, perché ho avuto la grande fortuna di conoscere il lato profondo e ardente della vera amicizia.

Parlando dell’ambito artistico italiano come sono andate le cose e chi ha visto il tuo lato artistico e ti ha incoraggiata? E’ stata una strada facile?

Ho avuto l’occasione di incontrare l’artista romano Aldo Riso, uno dei grandi paesaggisti italiani, il “pittore della luce” molto attento nello studio del colore e della luce che mi ha accompagnato nei primi passi in Italia anche se condividevamo modi e tecniche completamente diverse dell’arte. Per esempio lui era riuscito a fare del suo lavoro una professione e una fonte importante di sostenimento finanziario, io invece vedevo l’arte come un ideale da raggiungere senza compromessi, forse per la mancanza di una conoscenza profonda della vita con le sue responsabilità ed esigenze che non si sono lasciati molto attendere e dopo poco tempo a Roma li ho assaporati in pieno…

L’Accademia di Romania a Roma al tuo arrivo in Italia negli anni ‘90? Come sono le andate le cose?

Ma sì, il debutto è stato una semplice casualità della vita ma come dicevo prima una casualità che porta con sé il cambiamento per sempre e ti apre gli occhi nel guardare e vedere altri traguardi all’orizzonte. Ho avuto la fortuna di conoscere tramite amici il direttore di allora dell’Accademia, direttore che ha apprezzato l’aria fresca dei quadri di una giovane pittrice. Penso che sia stato anche una scommessa e un rischio di ‘’spingere’’ sulla mancanza d’esperienza artistica di una pittrice ventenne ma con tanto spirito di sacrificio per l’arte, un rischio che nel tempo è stato appagato. Da quel momento la capitale diventa la mia città, dove per più di 10 anni mi sono dedicata ad approfondire lo studio della mia arte, alla creatività e innovazione di una mia tecnica personale. Roma mi ha dato tanto anche dal punto affettivo. Dopo poco tempo è nata mia figlia.

Pero, dopo questi anni belli trascorsi a Roma decidi di stabilirti a Spoleto, città “d’arte e per l’arte”come la definisci tu. Perché proprio in questo luogo sembra aprirsi per te “la fonte intima dell’esistenza”?

Spoleto è stata un’altra casualità direi, alla fine ho capito che mi devo affidare a queste casualità e che in verità è il mio istinto che mi spinge a fare tutto ciò, ed io fiduciosa lo seguo, dunque tornando a Spoleto posso dire che “una sconosciuta ha bussato alla sua porta, una porta che delicatamente si è aperta e che poi ci siamo innamorati”. Si, Spoleto è un posto che amo, a dispetto di una mentalità non facile ma ditemi voi quale amore ha solo il profumo delle rose? Nel prendere il fiore per sentire il profumo, si toccano le spine.

Parlando della tua tendenza artistica – mi dicevi che il ritratto è una “necessità di manifestare il recondito” da piccola non hai mai smesso di fare i ritratti. Quale è la difficoltà nel realizzargli?

Penso che sono rimasta ancorata, senza poter ancora sganciarmi, all’epoca del Rinascimento che metteva al centro del messaggio artistico “l’essere umano”. La difficoltà nei ritratti sta nel trovare l’essenza, quello che non si vede e questo attimo magico capita solo quando la persona che ho di fronte si sente a proprio agio. Ogni essere umano ha una sua energia che non dipende dalla bellezza, anzi è proprio questa energia, che porta la bellezza in superficie. Ad esempio alcuni visi forti e particolari mi regalano la metà del dipinto. E’ una mia testardaggine costante di svelare le mille maschere del viso umano, conosco la bellezza delle maschere umane ma non sono riuscita ancora a scoprire i valori “estetici” di quello che c’è sotto, comunque sto perseverando.

In un contesto ti esprimevi “considero i miei dipinti come un racconto autobiografico, questo perché narrano persone incontrate nella mia vita”… questa non è una nostalgia?

Più che nostalgia è il bagaglio della memoria, considero che i ricordi fanno parte del nostro grande progetto della vita, non si possono e non si devono eliminare i ricordi perché sono l’unica testimonianza del nostro vissuto, c’è chi dice che uno sguardo verso il passato ha il profumo di nostalgia. Per me il passato fa parte semplicemente così come il presente della vita reale

Quanto è importante il pubblico e la critica quando presenti una tua nuova mostra?

Sembra che non solo ai giorni d’oggi ma che e in ogni epoca, il pubblico è stato educato assai male. Il pubblico chiede incessantemente all’arte di essere popolare, di lusingare, di mostrargli quello che dovrebbe essere stanco di vedere e poi di distrarlo quando è stanco e così il pubblico rifiuta di vedere la realtà. L’arte non dovrebbe mai sforzarsi di essere popolare e cioè è contemporaneo, anzi l’arte è estemporanea per natura. Certo il pubblico è importante ed io sogno un pubblico con lo sguardo e l’animo di un artista. In quanto ai critici non ho ancora una giusta definizione nel loro riguardo. Certo che hanno una grossa importanza le recensioni sui giornali, loro possono influenzare molto il pubblico.

C’è un artista o una corrente che consideri più vicino al tuo lavoro?

Il mio maestro è stato Caravaggio, come artista e coscienza umana di un’epoca che galleggiava ancora nel buio, un anticonformista, una bandiera sociale dell’epoca… poi amo molto Salvador Dalì per la sua complessità nei messaggi che traspaiono nelle sue opere e amo Francis Bacon, per il suo coraggio di svelare e portare il lato brutto dell’essere umano al livello di sublimazione artistica.

Come vedi la pittura contemporanea rispetto a quella del passato? Mi riferisco al fatto che non è più definibile rispetto all’idea di pittura tradizionale…

Non penso di avere una conoscenza completa per poter inquadrare la pittura contemporanea ma timidamente potrei solo osservare che sta alla ricerca di nuove tecniche, che non riesce ancora essere lo specchio dei nostri ideali, dei nostri sogni, perché secondo me la pittura dovrebbe aiutare a svelare il nostro inconscio di quale spesso si ha paura, di portare alla luce quello che non si vede, o meglio, che non si vuol vedere.

Sono importanti le radici? Lontana dal tuo paese di origine, hai la sensazione che tramite il tuo dono artistico, fai conoscere qualcosa anche dello spirito romeno…

Io ci credo molto nell’impronta indelebile delle radici sul percorso della vita, anche se spesso non giusta o meglio, non voluta…per lungo tempo “il grigio’’ e il mondo “senza colori ’’ della Romania comunista, ha lasciato delle tracce nei miei quadri. Del resto siamo degli esseri che entrano in simbiosi con l’ambiente che ci circonda e di cui diventiamo l’immagine riflessa.

Il mondo “senza colori” del tuo paese?

Sì, era un epoca buia (da tutti i punti di vista) dove ci mancava la possibilità di poter esprimere le nostre emozioni e questo modo di reprimere quello a cui invece volevamo dare libero sfogo, ci faceva muovere a tutti noi come degli automi. Solo adesso voltandomi indietro a guardare, mi rendo conto della forza che ha avuto questo popolo di vivere fuori del mondo, ma nello stesso tempo costruendosi un’autodifesa fatta di fantasia e creatività, la memoria é segnata di odori e colori…ecco, io se penso al passato di quegli anni non riesco a dare dei colori, perché quel mondo mancava di colori e di luce, questo è stato per noi la più grande condanna, per me la luce è l’arte. Togliere la luce ad un intero popolo, farlo vivere nel buio, è come togliergli la vita. Per me, l’arte non ha religione, non ha pareti, non ha casa, non ha confini, l’arte è dappertutto, in ognuno di noi, basta riconoscerla e amarla…

 

Intervista tratta dal volume “Personalità romene in Italia”, di Violeta Popescu, Edizioni dell’Arco, Milano 2008.

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