Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Intervista, Maria Vittoria Ionutas – architette

Giu 1, 2009

“In ogni progetto di architettura esiste un equilibrio cosmico, l’armonia è fondamentale! È un concetto stesso della vita, e se si è in grado di cercarla, la si può trovare in tutto quello che ci circonda”

Le sue radici sono in due paesi: in Romania, da un’antica famiglia di Arad, e in Italia perché sua madre era italiana, nata a Bologna. Infanzia e l’adolescenza le ha trascorse in Romania. Dal punto di vista della sua identità quale è la parte che la caratterizza di più? Quella romena oppure italiana?

La famiglia di mio padre era molto nota in Ardeal, il nome Jonutas arriva da una regione storica della Romania, “Tara Motilor”, come si chiamava allora. I miei nonni avevano una posizione sociale importante nel periodo interbellico, ed hanno avuto la possibilità di mandare, come consuetudine a quei tempi, l’unico figlio a studiare all’estero. Arrivato in Italia, dove ha studiato e si è laureato in medicina all’università di Bologna, una delle Università più importanti ed antiche, ha conosciuto mia madre, e si sono sposati. Quindi, in Italia siamo nate io e mia sorella. Dopo poco tempo dalla nostra nascita, appena laureato, mio padre ha espresso il desiderio di ritornare in Romania, per farci conoscere i nonni paterni ed altri parenti. Quando siamo entrati in Romania, alla frontiera, ci hanno ritirato immediatamente i passaporti, e non abbiamo più potuto tornare in Italia. Siamo andati in visita da bambini e siamo ritornati in Italia dopo 16 anni.

I miei nonni, da parte di madre, preoccupati ed angosciati da questa situazione, hanno fatto centinaia di richieste alle autorità sia romene che italiane, hanno chiesto persino l’intervento del Papa, per la “riunificazione della famiglia”, ed il tutto senza alcun esito. Nel frattempo, in Romania, i miei genitori hanno fatto il possibile per poter ritornare, ma senza esito. Passavano i giorni, gli anni, senza ottenere alcun risultato. Per quanto riguarda la mia identità oggi, non so ancora quale è la parte con cui mi identifico di più. La Romania è stata la mia infanzia, l’adolescenza, i ricordi, i profumi, il primo amore… l’Italia, ancora l’adolescenza con l’università, la bellezza della maturità e l’affermazione professionale.

Parliamo sicuramente dell’epoca in cui si consolidava il regime comunista in Romania e c’era il divieto di abbandonare il paese. Come sono trascorsi gli anni in Romania, come si è integrata sua madre, un’ italiana, in quel’ ambiente per niente facile? Ha sofferto molto?

Era il periodo del crollo dei partiti storici e l’instaurazione del partito comunista a Governo dello Stato. Siamo arrivati in Romania nel periodo più difficile: un dopo guerra di fame, gli arresti con un nuovo regime di terrore della polizia, le sofferenze nelle carceri dei lager comunisti, la disinformazione totale sul resto del mondo. Tutto quanto possedevano i nostri nonni, e di cui ci raccontava spesso mio padre, è stato confiscato e non era rimasto più niente, quindi sono stati obbligati ad abbandonare le loro case, le proprietà, e non solo i beni materiali, ma soprattutto hanno perso la loro libertà. I nonni sono stati rinchiusi in prigione per 10 anni, avendo quale unica colpa, il loro stato di persone benestanti, chiamate in modo spregiativo “chiaburi”. Mio padre, Eugen Jonutas, persona di notevole cultura, oltre che ottimo medico, era anche musicista, collezionista d’arte e conosceva 7 lingue, si è limitato a lavorare negli ospedali delle ferrovie dello Stato a Arad e Timisoara per tanti anni. Per lui è stato un grande choc il ritorno a casa, non si capacitava più quanto fosse cambiata la Romania, il cambiamento della sua famiglia, del proprio stato sociale.

Mia madre era una persona particolare, con grande vitalità e comunicativa, ed amore per la vita, è stata in grado di superare infinite difficoltà, che ha voluto ricordare pubblicando, prima di morire due libri autobiografici. Hanno avuto un grande successo in Italia, ed ora sono in fase di traduzione per la pubblicazione in Romania. Anche dopo il ritorno in Italia, in casa nostra si parlava soprattutto il romeno, cercando di mantenere il forte legame con il paese abbandonato. Anche i miei figli sono stati cresciuti con questo spirito, parlano perfettamente la lingua romena e seguono tutte le iniziative legate alla Romania; il più grande, ora, ha scelto di fare “l’Architetto a Bucarest”. Assieme a mia sorella, ci siamo adattate molto bene alla nuova realtà romena, in quanto bambine, e non avendo altri riferimenti e confronti con mondi e realtà diverse.

Abbiamo fatto la scuola elementare a Arad, il liceo a Timisoara, studiando testi ed insegnamenti mirati e “dettati” dalla nuova realtà politica. La vita andava avanti, non c’erano altre soluzioni per i miei genitori, se non quella di accettare la nuova realtà. In quegli anni vissuti in Timisoara, ancora bambina, mi sono innamorata della persona che poi è diventata mio marito, un amore che a dato significato alla mia vita, e mi ha “realizzato come persona”, fortificandomi in mezzo a infinite difficoltà. Lo “Studio di Architettura” dove ci troviamo ora, porta anche il cognome di mio marito, col quale ho sempre lavorato e costruito le basi della nostra famiglia. Mio marito faceva parte di una famiglia di Timisoara, con tradizioni religiose molto ben radicate. Il padre prete greco-cattolico ha sofferto più di 12 anni nelle carceri comuniste, per aver rifiutato di abbandonare la sua confessione. E’ riuscito a sopravvivere grazie alla sua grande fede, ma uscito gravemente malato, è morto in breve tempo. Mi ricordo che diceva messa in casa, in clandestinità e tante volte partecipavamo anche noi. A quei tempi non riuscivo a capire, come una persona possa difendere un ideale, una fede con tanta forza, con tanta dignità ed infinita sofferenza fino al martirio. E’ molto difficile comprendere ora, quel periodo storico, quei momenti, vissuti con rinunce e sacrifici di generazioni.

La sua testimonianza mi fa ricordare un fatto storico vicino, intere generazioni sono sopravvissute a quegli anni di tortura nelle più terribili carceri comuniste della Romania. Non c’era famiglia senza martiri senza deportati, centinaia di persone, intellettuali, sacerdoti, borghesi (come erano chiamate, in modo dispregiativo, le persone con posizioni sociali elevate), erano considerati colpevoli e traditori, un periodo di vera crocifissione per il paese. Dopo una vera odissea che è durato 16 anni, avete ottenuto i passaporti siete riusciti a ritornare in Italia. Come vi siete reinseriti nella società italiana?

Dopo che siamo ritornati in Italia, piano, piano i miei si sono risvegliati da questo “brutto sogno”, hanno ricominciato a vivere, hanno cercato di inserirsi in un mondo diverso, ad apprezzare la nuova vita. Si parla di una separazione di più di un decennio… emozioni, tensioni, ancora difficoltà, riadattamento dell’intera famiglia. Mia madre ha rivisto i suoi genitori dopo tutto quel tempo passato in Romania, mio padre, come medico ha ripreso la sua attività. A Timisoara avevo finito un liceo, per alcuni aspetti di ottima qualità, soprattutto per le materie scientifiche, (la formazione classica è stata completamente ignorata dal regime comunista). Il mio sogno, da piccola, era l’architettura, mi piaceva molto disegnare, leggere le riviste che illustravano costruzioni. In una di esse ho visto un aeroporto, e ho pensato che un giorno avrei fatto l’architetto per poterne progettare anch’io uno…Un sogno da bambina. Ho sostenuto l’esame di ammissione con successo (dato la preparazione scientifica) alla Facoltà di Architettura a Venezia, e mia sorella ha fatto lingue a Cà Foscari. In quel periodo era veramente difficile superare gli esami tecnici del programma di studi, e il fatto che io ci riuscissi senza difficoltà, mi ha consentito di avere un apprezzamento iniziale notevole, che mi ha facilitato tutto il percorso universitario. Dopo aver finito l’Università, ho aperto lo Studio di Architettura di Milano dove ora ci troviamo, anche perché i miei genitori hanno deciso di trasferirsi da Bologna a Milano. E’ stato un periodo molto bello della mia vita, l’unica sofferenza è stata legata all’idea di raggiungere il mio sogno d’amore, il quale è stato realizzato solo dopo 8 anni.

Le autorità della Romania non ci hanno permesso di sposarci, in quanto lui lavorava come ingegnere alla costruzione della Centrale Idroelettrica sul Danubio, e lo Stato aveva investito in quel progetto, di cui aveva bisogno, e non gli consentiva di uscire dalla Romania.

Nel contesto di questa buona integrazione, con risultati professionali buoni, non ha mai abbandonato, nonostante le mille difficoltà, il sogno di portare Suo marito in Italia. Non si è fermata neppure davanti alla legge, correndo notevoli rischi?

L’unica soluzione è stata la fuga, così tragicamente vissuta, in quel periodo storico, da migliaia di giovani che hanno intrapreso tale scelta. La nostra fuga ha dato finalmente un risultato positivo dopo anni di attesa!!! Ottenuta la cittadinanza italiana, dopo 5 anni, sono ritornata in Romania ed ho cominciato la mia personale battaglia, prima legale, poi illegale, infiniti viaggi, richieste alle autorità, udienze ai Ministeri, i continui rifiuti. Il tutto mi ha convinto che legalmente non si poteva ottenere niente. Le autorità di Bucarest rifiutavano continuamente le nostre richieste, sperando di scoraggiarci e farci così abbandonare per sempre l’idea di crearci una nostra famiglia. Era diventata per noi una follia, un desiderio di cercare la libertà a qualsiasi costo, di affrontare il regime che voleva sopraffarci ancora una volta uccidendo per sempre il diritto di vivere liberamente. Sapevamo che questi tentativi potevano costarci la vita; come sapete, a quei tempi se cercavi di scappare, o venivi catturato, venivi incarcerato a vita, oppure ti sparavano e venivi ucciso. Fra i tanti progetti che avevo ideato, c’era anche quello di attraversare il Danubio a nuoto, (avevo perfino fatto un corso di sommozzatore apposta). Ho cercato di “corrompere i camionisti” che commerciavano in carne, per riuscire a nasconderlo nei camion con il bestiame, oppure costruendo un doppio fondo nei camion stessi. Con l’obiettivo della fuga, ho fatto decine di viaggi con la mia piccola FIAT 850 attraversando la Iugoslavia, per studiare e preparare l’evasione. Nessuno osava darmi un appoggio, un consiglio, tutti avevano paura. Alla fine, un miracolo; una delle strategie studiate ha dato un risultato positivo. Mio marito è riuscito ad arrivare in Iugoslavia, a Belgrado, grazie al suo lavoro per il progetto della Centrale idroelettrica, dopo di che, per un anno e mezzo, abbiamo convinto le autorità della nostra rinuncia: non ci siamo più visti, né scritti. Sono andata a prenderlo a Belgrado con l’aiuto di una mia amica, la quale mi ha prestato il passaporto di suo fratello, siamo riusciti a passare, di notte, la frontiera con l’Italia, a Gorizia. Per questo viaggio sono stata assente 3 giorni dall’Italia, ed al rientro a Milano ho saputo che i miei genitori mi cercavano con la Polizia. Ho dovuto subito denunciare la presenza in Italia di mio marito il quale è stato, con grande dispiacere, chiuso per sei mesi nel campo profughi di Gorizia.

Ci siamo sposati in quel campo profughi in mezzo ad esseri disperati alla presenza dei miei genitori affranti, che sognavano un grande matrimonio per un grande amore, nella chiesa storica romanica di Grado.

Una volta finita questa bruta storia, avete cominciato non solo una vita familiare insieme, ma anche una vita professionale con tanti successi. Cosa rappresenta il mestiere di architetto per Lei? Come la definisce personalmente in rapporto a quello che si aspettano le persone quando si parla dei loro sogni, delle loro aspettative che cominciano a concretizzarsi nella realtà? Per non parlare del fatto che è un lavoro complicato e pieno di responsabilità…

Insieme abbiamo creato la nostra professione, insieme abbiamo lavorato a numerosi progetti importanti in Lombardia, in Italia, ed anche all’estero. Abbiamo trasformato ogni giorno il nostro sogno in realtà. E abbiamo costruito insieme, non solo una casa, ma anche la nostra vita, la nostra famiglia, i nostri due figli meravigliosi. Per quanto riguarda la professione di architetto, questa scelta è stata fondamentale nella formazione del carattere e nel raggiungimento degli obiettivi della mia vita. La mia passione iniziale è stata indirizzata al settore macro-urbanistico, partendo dalla pianificazione del territorio, predisponendo circa 180 Piani Regolatori: Piani Sovra comunali, Piani Attuativi, e Particolareggiati, e di Sistemazione Sponde Lago, fino alla progettazione dei singoli edifici, municipi, scuole, palestre, edifici sociali, etc. Dalla passione per un aeroporto vissuta da bambina, sono arrivata alla passione di proporre il futuro della città, dei paesi, del modo di vivere, nel rispetto il territorio, e della natura.

‘Intervista tratta dal volume ‘Personalità romene in Italia’, di V. Popescu, Edizioni dell’Arco, Milano 2008. Per acquisti contattare info@ediarco.it o telefonare allo 0245495465′

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