Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Elezioni addomesticate in Moldavia. L’Ocse aprova

Mag 5, 2009

Marco CAVALLOTTI  

Le elezioni in Moldavia, manco a dirlo, hanno dato la vittoria al satrapo comunista Vladimir Voronin, uomo di Mosca messo a capo di un paese che resta di lingua e cultura neolatina, malgrado i numerosi sforzi di snazionalizzazione e di travaso di popolazioni, tipici della strategia sovietica sulle nazionalità. In un clima di reciproco riconoscimento Ocse e Csi si sono affrettati a proclamare la piena regolarità delle operazioni di voto.

In tempi di crisi i primi valori a passare in second’ordine sono quelli della democrazia e della libertà: soprattutto fra chi questa libertà è disposto a cederla per un pieno di benzina. Non è così, invece, per molti cittadini moldavi, che nella giornata di lunedì a Chișinău sono scesi in piazza, non appena proclamato l’esito della votazione. Martedì mattina le proteste sono riprese più violente, e circa 10.000 persone sono sfilate con parole d’ordine antirusse e antigovernative, per la riunificazione alla Romania e all’Europa.

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Le vie principali della capitale moldava, come viale Stefano il Grande e la Piazza della Grande Assemblea Nazionale, fra bandiere romene e dell’Unione europea, si sono riempite di manifestanti che inneggiavano alla caduta del comunismo, alla Romania ed all’Europa. La manifestazione è stata sedata con un morto; gruppi di manifestanti sono entrati in molti edifici pubblici devastandoli.

Voronin ed i suoi hanno subito denunciato un complotto romeno che avrebbe provocato la rivolta, hanno espulso l’ambasciatore di Bucarest e hanno sospeso i visti di ingresso per i cittadini del paese vicino, abitato da una popolazione che parla la medesima lingua – si tratta spesso di parenti rimasti separati, come in molte altre situazioni analoghe ai confini del mondo sovietico e postsovietico. Insomma, ogni causa di protesta verrebbe dall’esterno.

Dal canto suo Bucarest ha ricordato ancora una volta le ragioni della disperazione del popolo moldavo, ed ha lasciato inalterato il regime speciale di ingresso e di circolazione ammesso per i vicini moldavi. Ma in fondo, in un momento di crisi internazionale e con tanti problemi interni non ancora risolti, pochi sono i cittadini romeni che, al di là della solidarietà, dell’amicizia e delle parole di sostegno, pensano davvero che oggi sarebbe possibile e opportuna una riunificazione: la quale comporterebbe costi assai elevati per migliorare la situazione dell’antica provincia romena di Bessarabia, la cui economia è stata distrutta da lustri di malgoverno e di sfruttamento semicoloniale vissuti da quando, con la fine della seconda guerra mondiale, è stata inglobata a forza al’interno dell’Unione Sovietica. In fondo uno dei modi per scoraggiare una politica di sostegno dell’autodeterminazione dei popoli è proprio questo: renderne la liberazione dal dominio dei regimi dispotici sostenuti da Mosca troppo onerosa, e la situazione economica troppo disastrata, per poter essere presa seriamente in considerazione.

Il tragico terremoto che ha colpito l’Italia ha fatto sì che tutto passasse fra noi sotto un sostanziale silenzio, e come se questi fatti riguardassero popoli lontani ed estranei. Ma forse varrebbe la pena di osservare, per coloro che si battono per la difesa dell’identità europea, che uno dei suoi elementi più fortemente caratterizzanti sta proprio nella sua identità e nei suoi confini storici: e il Principato di Moldavia, insieme a Polonia e Lituania, costituirono per secoli il primo serio antemurale cristiano contro le periodiche invasioni dei popoli nomadi dall’Est. È una consapevolezza che viene religiosamente coltivata nei libri e nei manuali di storia di ogni bambino di quei paesi – naturalmente, quando non siano stati sottoposti a censura. Ma deve essere ricordata di quando in quando anche fra noi, ed alle organizzazioni internazionali, che sempre più sembrano prestarsi a svolgere il ruolo di sanzionatori e legittimatori di una nuova Jalta.

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