Centro Culturale Italo Romeno
Milano

Breve sgurado sull’immigrazione romena in Italia. Rezistenza attraverso la cultura (2)

Ago 4, 2009




L’immigrazione romena in Italia ha creato una letteratura specifica d’esilio

Violeta P. POPESCU

Anche in Italia si può parlare di resistenza attraverso la cultura, infatti, a Roma nel 1957, un importante gruppo d’intellettuali romeni ha messo le basi della Società Accademica Romena per meglio affermare i valori culturali e scientifici portati dalla diaspora. Questa Accademia, con un’esistenza di tredici anni ed un’attività culturale e scientifica prodigiosa, raggruppava nomi di riferimento dell’esilio culturale romeno. Le sue origini e obiettivi fanno l’oggetto del volume Accademia di Granicolo firmato da Adrian Popescu (edizione Cartea Romanesca, nota 2008, Adrian Popescu 3/2007). E’ stata fondata dall’iniziativa di un gruppo di persone che avevano come presidente Mihai Fratila. Fra queste persone importanti c’erano anche il monsignore Octavian Barlea e il professore d’italiano, Mircea Popescu. Questa società rappresentava un’alternativa accademica, libera, nata dalla volontà di unificare una élite intellettuale del esilio romeno. Nel suo ambito, è nata La rivista degli scrittori romeni. Le qualità scientifiche dei membri della società, riconosciute anche all’estero, era completata dalla qualità umana di queste persone che dimostravano un grande patriottismo culturale, ma anche un grande umanesimo. Nel 1958, questa società aveva aperto una filiale in Germania e nel 1964 un’altra in Francia. Grazie alle sue riunioni, congressi annuali e pubblicazioni, si è mantenuto l’interesse degli uomini di scienza per la ricerca cominciata al loro paese prima di partire a girovagare. La società aveva più settori: di storia, di filologia, di storia letterale, di letteratura ed arte, di filosofia e teologia. Dati utili ed importanti per mettere in chiaro l’attività della S.R.A. si trovano nell’opera di Florin Manolescu (L’enciclopedia del esilio romeno letterario 1945-1990, scrittori, riviste, istituzioni, organizzazioni, Casa Editrice Compania, 2003).

Un importante ruolo nella Società Accademica Romena l’ha avuto Mircea Popescu, critico letterario, una persona che si è dedicata con tutto il cuore ai romeni dell’esilio. Studia e si laurea a Bucarest e continua i suoi studi a Roma dove arriva con una borsa di studi, nel 1940, accordata dall’Istituto Italiano di Cultura di Bucarest. Si laurea nel ’42 con una tesi, I cantari di Tristano, avendo come relatore Giulio Bretoni. Durante e dopo la guerra, Mircea Popescu rimane in Italia dove conduce una vita di sacrifici. Per potersi guadagnare il minimo necessario per sussistere, fa giornalismo e traduzioni dal romeno per riviste e case editrici. Negli anni ’50 ha condotto la sezione romena dell’emittente radio di Roma. Docente di lingua e letteratura romena all’Università di Milano, poi al liceo Virgilio di Roma. Fino al ’72 svolge il ruolo di funzionario presso il Consiglio di Ministri di Roma e nello stesso tempo, supplente nella specialità lingua e letteratura romena dell’Università Statale di Roma. In Italia collabora alla rivista La Rassegna d’Italia, di Milano, Studi francesi, di Torino, Iniziative, La Fiera letteraria, Giornale dei Poeti, Il Commentario, Caravella, Rivista latina, Strenna dei Romanisti, di Roma. Svolge incarichi di segretario rispettivamente di redattore presso la Società Accademica Romena e per la Revista Scriitorilor Români. Mircea Popescu ha fatto di questa rivista una pubblicazione sensibile alle tendenze culturali ed estetiche dell’esilio.

Dopo il ’64-’65, Mircea Popescu ha salutato il disgelo avvenuto in Romania, traducendo Nichita Stănescu, Ion Negoiţescu ecc. e ha scritto articoli su Ion Ţuculescu e Ana Blandiana. Nella rivista La Fiera letteraria ha commentato volumi di Mircea Eliade, Eugen Ionescu, Emil Cioran, Dumitru Ţepeneag oppure Paul Goma apparsi in Italia. Nel 1964 ha firmato, nella Critica d’Oggi, un saggio consacrato alla poesia clandestina della Romania e ha tradotto un ciclo di poesie scritte nei carceri. Nel 1969 pubblica un’antologia di poesia romena moderna, traducendo in italiano e presentando tramite profili di poeti autori come: Tudor Arghezi, George Bacovia, Ion Barbu, Lucian Blaga, Nichifor Crainic, Adrian Maniu, Ion Minulescu, Ion Pilat e Vasile Voiculescu.

Per anni e anni ha curato la rivista Romania, dedicata ad informare politici, scienziati e letterati, sulla triste situazione del paese occupato. Ha fatto numerosissime traduzioni dal romeno in italiano; ha pubblicato anche una Storia della letteratura romena nella collezione Storie delle Letterature del Sud-Est Europeo, curata da Luigi Cantucci, cui dedica Saggi di poesia popolare romena. E’ redattore per la parte romena dell’Enciclopedia dello spettacolo di Silvio D’Amico. Per Mircea Popescu – professore, giornalista e uomo di cultura – l’esilio scriveva Mircea Elide significa prima di tutto la libertà di far ricerca e di giudicare oggettivamente le realtà politiche e culturali di Romania. […] Ma per lui (Mircea Popescu) l’esilio significa anche il dovere di continuare la tradizione culturale romena, interrotta in Romania. (Mircea Eliade). (Adriana Alupoaei, Breve sguardo sull’immigrazione romena d’elite in Italia fino al 1989).

Un nome importante tra gli intellettuali romeni nel lungo periodo dell’esilio, durato 40 anni, si è distinto Teodor Onciulescu, professore e ricercatore, instancabile propagatore della letteratura e cultura romena in Italia. Tra il 1936 e il 1946 il professor Onciulescu è pagato dallo stato romeno nella qualità di professore alla cattedra di lingua romena. Dopo la seconda guerra mondiale la situazione era cambiata in patria e si era instaurata la dittatura comunista. Coloro che rappresentavano, in un modo o nell’altro, la cultura romena all’estero furono richiamati in Romania. Tra essi il professor Onciulescu che, alla pari di molti altri nelle sue stesse condizioni, si rifiuta di tornare e sceglie la libertà! Come borsista della Scuola Romena di Roma effettua ricerche sui legami linguistici e culturali italo-romeni, con un’attenzione particolare all’attività di Giovenale Vegezzi-Ruscalla. In seguito alla proposta dei professori Giulio Bertoni, E. Levi, D’Ancona e Claudiu Isopescu viene nominato, nel novembre 1936, lettore di Lingua e Letteratura romena presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli, dove rimane fino al 1958. Presso la stessa Università tiene, tra il 1958 e il 1971, un corso libero gratuito come libero docente di Lingua e Letteratura romena. Tra il 29 ottobre 1937 e il 29 ottobre 1944 è lettore di Lingua romena anche all’Istituto Universitario Orientale di Napoli dove, a cominciare dall’anno accademico 1944/45, è nominato professore incaricato, sempre di lingua romena, fino al 1 novembre 1971. Mediante concorso diventa professore aggregato (tra il novembre 1971 e il gennaio 1974) e, sempre per concorso, professore straordinario e professore ordinario tra il 1974 e il 1 novembre 1977 presso lo stesso Istituto. A 70 anni, età massima fino a cui si potevano tenere corsi universitari, Onciulescu diventa, il 1 novembre 1977, professore fuori ruolo, funzione che avrebbe dovuto ricoprire per 5 anni. Uno dei suoi meriti importanti è stato quello di essere fondatore, membro attivo e cassiere della Società Accademica Romena (S.A.R.), istituita a Roma nel 1957. Nella sua qualità di cassiere, funzione notevole all’interno della S.A.R., Onciulescu non solo ha amministrato con oculatezza i fondi, ma si è adoperato nel reperire mezzi (sponsorizzazioni) per lo svolgimento dell’attività di questo importantissimo foro di cultura che riuniva molte personalità dell’esilio romeno (Gheorghe Carageani, Un rappresentante dell’esilio romeno: il professor Teodor Onciulescu)

L’immigrazione romena in Italia ha creato una letteratura specifica d’esilio, ricca ed interessante, sulla quale i libri di storia letteraria potrebbero dedicare un capitolo. I romeni non hanno dimenticato la loro identità culturale e continuano ad integrare la cultura romena nel circuito dei valori universali. Devo affermare che in qualsiasi luogo dove si sono adattati, la maggior parte degli intellettuali romeni hanno portato con loro il rispetto per la lingua romena, per i libri romeni, provando a mantenere la loro identità. Lo spirito della cultura romena, la lingua romena e la nostalgia del loro paese, li ha sempre accompagnati.

L’esilio è caratterizzato dall’accettazione dell’identità culturale del paese dove si sono adatti, ma anche dell’appropriazione di una seconda lingua. Tutte queste caratteristiche sono state sincronizzate con il nuovo ambiente culturale. L’immagine dell’immigrazione romena nel periodo comunista è rappresentata da tanti intellettuali che, arrivati nell’Occidente, hanno dimostrato le loro buone preparazioni e competenze, quali gli hanno portato un riconoscimento sia in Italia che nel mondo. Lo dimostra anche il presente volume che, attraverso delle interviste, c’introduce nella vita d’alcuni artisti romeni, professionisti, apprezzati nei loro campi culturali e scientifici. Loro sono i promotori dell’immagine, della cultura e dell’istruzione romena ed ognuno è venuto con un messaggio proprio che rappresenta anche una prova di patriottismo.

In conformità con Adrian Marino, l’accettazione d’essere romeno, significa non avere nessun complesso d’inferiorità. Per quello che riguarda la riconoscenza dell’essere romeno, al contrario, di esporre dappertutto i valori autentici della propria nazionalità: “Chi si sente utile in Europa, è esposto a provare anche il bisogno di essere coinvolto nella sua vita spirituale, ma anche nella creazione e nel mantenimento di tante connessioni intellettuali, d’essere presente, come romeno, utile in qualsiasi posto dove ci sarà la possibilità di avere un dialogo obiettivo sull’affermazione culturale romena”. Il fatto che ciascuno di loro ha promosso un’immagine delle loro competenze culturale, è un’affermazione di un’identità culturale molto ben definita.

Dopo 1989, i contatti tra i romeni da casa e quegli dall’estero sono stati ripresi. Oggi assistiamo ad un processo diverso da quello degli anni tra le due guerre o dal periodo comunista. I romeni che hanno lasciato il paese dopo gli anni ’90, l’hanno fatto per motivazioni sopratutto economiche. Tra loro esistono anche persone che considerano l’integrazione nel nuovo paese, come una cancellazione delle radici e dell’identità romena. Ma la maggior parte dei romeni, venuti all’estero, ha bisogno del loro paese d’origine come punto d’inspirazione, d’emozioni e di sentimenti, così come dimostrano le interviste contenute in questo volume. Tutti loro si sono integrati molto bene e sono diventati rispettati nel paese che li ha adotto ma, nello stesso tempo hanno mantenuto un sistema di valori culturali romeni. In un’intervista trasmessa alla televisione romena negli anni ’90, un romeno emigrante negli Stati Uniti diceva con le lacrime negli occhi: “Mi manca la strada dove sono nato”. Il sentimento di una nostalgia sta diventando un leitmotiv di tanti migranti.

Il ricupero di questa élite culturale è una provocazione per i contemporanei. La loro mentalità è cambiata, passando da un sentimento di ritenersi (subito dopo la Rivoluzione romena), ad uno d’indifferenza, di mancanza d’interesse, per quelli che hanno abbandonato il loro paese. Durante il processo di preparazione del libro, ho notato che tutte queste persone erano poco conosciute nella media romena. Pochi di loro sono stati chiesti sulla loro evoluzione in Italia, sul loro contributo culturale ed artistico nel paese dove vivono.

Dopo la caduta del regime Ceauşescu, la realtà riguardante l’immigrazione cambia in maniera paradossale. Non si può più parlare di un esilio forzato, costretto da una realtà durissima come quella della dittatura comunista del regime Ceausescu. Dopo tanti anni vissuti come in una galera, in una chiusura da tanti punti di vista, una volta strada aperta, i romeni hanno cominciato a provare l’esperienza dell’Occidente, per alcuni con tanti rischi. Non è un segreto per nessuno la ragione per quale tanti romeni hanno lasciato il paese: la ricerca di una una vita migliore dal punto di vista economico.

L’emigrazione diventa, un gesto disperato e ha, in realtà, una sostanza politica. E’ un aspetto doloroso della crisi morale provocata da tutto quel che è successo dopo la Rivoluzione del 1989. Se le cose fossero andate secondo la strada aperta dalla rivoluzione, oggi non assisteremmo a quest’emigrazione, diventata endemica. Anzi, probabilmente molti romeni che sono emigrati decenni fa sarebbero tornati nel paese. La mancanza di prospettive, di una vita normale, di speranza, spinge disperatamente tanti romeni all’unica scelta: uscire del proprio paese. Certamente, esistono studi sociologici di specialità che analizzano questo aspetto particolarmente complesso. Per la grande maggioranza di queste persone, invece, paesi come l’Italia o la Spagna rappresentano di solito una fonte di guadagno, ma spesso anche una fonte di confusione. Una volta arrivati in questi paesi, si trovano d’avanti a dei sistemi meno burocratici e che funzionano, poi, quando ritornano nel paese d’origine fanno la differenza e cominciano non sentirsi più bene. In questo modo si ritrovano tra due case, due paesi, due mondi diversi e vorrebbero conciliare le due cose e farle coesistere in uno stato di bene comune. Questo bene significherebbe non soltanto la soddisfazione di un lavoro ben pagato ma anche il sentimento di un ambiente spirituale e sociale simile a quello di casa, dove hanno lasciato i genitori, i figli, i parenti e gli amici. La mancanza di questo sentimento diventa anche lui un dramma anche per tanti di quegli che hanno lasciato il paese per brevi periodi di tempo.

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